Matteo 24,1-14

… allora verrà l'inizio



Quand'ero adolescente il capitolo 24 di Matteo mi spaventava non poco. Con gli occhi della mente vedevo città distrutte e persone a me care svanite nel nulla. Poiché all'epoca in Polonia la televisione e il cinema ci nutrivano abbondantemente con diverse immagini della Seconda guerra mondiale il mio spavento interiore non poteva che aumentare.

Col tempo e grazie allo studio della teologia ho superato tali paure adolescenziali. La parola “fine” tuttavia ancora adesso suscita in me reazioni un po' contrarie. La fine di un romanzo o di un film è per me un momento bello e brutto al tempo stesso. Bello perché la storia narrata trova il suo punto più alto. Per chi ama i romanzi gialli la fine della storia significa scoprire l'identità dell'assassino e smascherare tutti i cattivi. Al tempo stesso è un momento brutto. Devo congedarmi dai protagonisti, dai personaggi che mi seguivano per giorni o addirittura per settimane. Rimane in me un senso di vuoto. È piuttosto ovvio che questa seconda sensazione accompagni i nostri pensieri quando riflettiamo sulla fine della nostra vita. La lingua italiana ha però una bellissima caratteristica che a noi stranieri crea inizialmente qualche difficoltà. La stessa parola “fine” può essere declinata sia al maschile sia al femminile: la fine o il fine.

Qualcosa di simile accade con la parola greca 'tèlos'. Questa parola significa entrambe le cose, in più può anche essere interpretata come compimento di una realtà e quindi l'inizio di un'altra. Proviamo a fare un piccolo esercizio. Sostituiamo nel testo “la fine con “l'inizio”.

Mentre egli era seduto sul monte degli Ulivi, i discepoli gli si avvicinarono in disparte, dicendo: «Dicci, quando avverranno queste cose e quale sarà il segno della tua venuta e dell'inizio dell'età presente? Come vi sembra? Suona piuttosto contraddittorio? Può darsi... Per me invece ciò che conta, ciò che fonda la mia fede è la prima venuta di Cristo. Il versetto Matteo 24,3 allude chiaramente alla seconda ma io credo che l'età presente sia già la “nuova era”, l'era del regno di Dio. Nella prospettiva narrativa di Matteo la domanda viene posta a Gesù prima della sua morte e della resurrezione. Basta ricordare la narrazione della morte di Gesù redatta da Matteo: Ed ecco, la cortina del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si schiantarono le tombe s'aprirono e molti corpi dei santi, che dormivano, risuscitarono; e, usciti dai sepolcri, dopo la risurrezione di lui, entrarono nella città santa e apparvero a molti (Matteo 27, 51-53).

Voi udrete parlare di guerre e di rumori di guerre; guardate di non turbarvi, infatti bisogna che questo avvenga, ma non sarà ancora l’inizio (Matteo 24,6). In questo versetto lo scambio delle parole muta radicalmente la percezione del messaggio. Lo scopo, infatti, dell’intero discorso di Gesù non è di spaventare i suoi seguaci bensì di rassicurarli. Secondo me la chiave interpretativa di questo testo si trova nel v. 8 che trascrivo nel suo suono originale ‘panta de tauta archê (= l’inizio!) ôdinôn’. La nostra Nuova Riveduta parla semplicemente del “principio di dolori” (tanto per spaventarci ancora di più). Il testo greco si riferisce invece molto chiaramente alle doglie del parto, vale a dire la manifestazione di una nuova vita. Credo che la differenza di significati tra queste due espressioni sia enorme.

Ma chi avrà perseverato sino all’inizio sarà salvato (Matteo 24,13). Qui l'operazione riesce ancora meglio. Certo che nel versetto si intende la fine delle persecuzioni, la fine dei conflitti interni che affliggono la chiesa cristiana, la fine delle false profezie. Ma quando tutto questo sarà finito, che cosa succederà? Sicuramente qualcosa di bello e di rassicurante. Come nei vecchi film western quando allo sparuto manipolo dei buoni giungono i rinforzi della cavalleria che corre per salvarli. Mi rendo conto che l'immagine sia leggermente naif. Il testo esprime una verità assai più profonda: la verità di un nuovo inizio, la verità di un mondo liberato dagli oppressori di ogni genere e da ogni forma di violenza.

E questo vangelo del regno sarà predicato in tutto il mondo, affinché ne sia resa testimonianza a tutte le genti; allora verrà l'inizio (Matteo 24,14). La maggior parte degli interpreti di questo versetto la spiega in questo modo: quando tutti gli abitanti della terra (nessuno escluso) avranno la possibilità di ascoltare la predicazione dell'evangelo allora ci sarà la conversione universale e la fine di questo mondo. In molte chiese di matrice fondamentalista questo versetto diventa la spinta propulsiva di tante azioni evangelistiche e missionarie. Tutto questo ovviamente in un futuro remoto e indefinibile. Io credo invece che nell'anno 2010 (quasi 2011) siano ormai pochissimi gli esseri umani che non siano stati raggiunti dall'annuncio cristiano. Certo se si volesse interpretare la situazione nel senso superstizioso e letteralista ci sarebbe sempre qualcuno non ancora raggiunto dalla predicazione cristiana. Per essere intellettualmente onesti dobbiamo ammettere che questa predicazione non è stata vana. L'umanità negli ultimi decenni in qualche modo ha reso concreto l'insegnamento morale di Gesù: penso alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, penso alla Costituzione delle Repubblica Italiana e a tante altre costituzioni delle società democratiche e aperte. Certo, tante cose devono ancora migliorare. Io però sono fiducioso. Ho visto nei giorni scorsi migliaia di giovani riversarsi sulle vie e sulle piazze delle nostre città. Non per rivendicare l'egoistica necessità di uno stipendio fisso e a tempo indeterminato ma per annunciare l'imperativo morale della solidarietà con i più deboli e la necessità di ridistribuire in maniera più equa i diritti e i beni. L'inizio di un mondo nuovo è vicino...

Predicazione del Past. Pawel Gajewski, Chiesa Valdese di Firenze, Domenica 5 Dicembre 2010