Seconda lettera  a  Timoteo 1, 1-10

Adempi fedelmente il tuo servizio

 

Paolo è incarcerato a Roma, il processo che lo condannerà alla morte è appena iniziato, nessuno della forte comunità di Roma si è presentato alla prima udienza in sua difesa, Paolo comprende che per lui non c’è speranza. Con questo animo e con questa coscienza scrive al più fedele dei suoi collaboratori che si trova in Asia Minore e che lo ha accompagnato per molti anni, Timoteo. Questo giovane è con lui dai tempi del duro scontro teologico con Pietro di cui sappiamo dalla lettera ai Galati. Timoteo è diventato col tempo il maggior collaboratore di Paolo, un ottimo pastore e evangelista, incaricato a più riprese di organizzare e disciplinare le comunità dell’Asia minore, che sappiamo molto entusiaste e contemporaneamente molto rissose. Il rapporto fra Paolo e Timoteo è molto profondo tant’è che Paolo lo chiama figlio e in questa lettera personale piena di amorevoli consigli per il lavoro di testimonianza non manca di incitarlo e di lodarlo. Non a caso lo vuole accanto a sé in questo ultimo scorcio di vita : è un invito, quasi una supplica, che enuncia già al versetto 4 e che ripeterà al capitolo 4 , al versetto 9 “vieni da me il più presto che puoi”.

Paolo è solo e desidera che il suo giovane amico e collaboratore sia accanto a lui , come è stato con lui nella prima prigionia romana. Questa è l’ultima lettera di Paolo, almeno l’ultima che ci è giunta: pur avendo questo forte carattere di lettera personale a Timoteo, possiamo pensarla come una sorta di testamento che in poche righe riassume il pensiero di Paolo, un testamento che si rivolge in primis sicuramente a Timoteo, ma anche a tutti i conduttori delle comunità e ai fedeli. Leggiamo alcune righe della lettera:

3:14 Tu, invece, persevera nelle cose che hai imparate e di cui hai acquistato la certezza, sapendo da chi le hai imparate,

3:15 e che fin da bambino hai avuto conoscenza delle sacre Scritture, le quali possono darti la sapienza che conduce alla salvezza mediante la fede in Cristo Gesù.

3:16 Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia,

3:17 perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.

4:1 Ti scongiuro, davanti a Dio e a Cristo Gesù che deve giudicare i vivi e i morti, per la sua apparizione e il suo regno:

4:2 predica la parola, insisti in ogni occasione favorevole e sfavorevole, convinci, rimprovera, esorta con ogni tipo di insegnamento e pazienza.

4:5 Ma tu sii vigilante in ogni cosa, sopporta le sofferenze, svolgi il compito di evangelista, adempi fedelmente il tuo servizio.

Sono parole forti, sentite, sono le parole di un padre che con la morte nel cuore chiede ai propri figli di seguire con fedeltà la strada tracciata. E’ un’eredità che consegna a Timoteo, non fatta di beni terreni, di case, di denaro, ma di fedeltà a colui che è sempre fedele, Dio. E’ un’eredità, una fedeltà sempre trasmissibile di generazione in generazione e, come ci dice Paolo, è passata, come un testimone di una staffetta, dalla nonna Loide, alla mamma Eunice fino a lui, il giovane evangelista, Timoteo.

Questo messaggio di Paolo non è datato, ma serve anche a noi che viviamo in un mondo dove contano contemporaneamente possesso materiale e apparenza e autoesaltazione dell’io. Serve a noi genitori nella nostra testimonianza verso i figli, serve a tutti noi come membri di una comunità cristiana per non perdere mai nei nostri pensieri e atti la giusta direzione. Questa fedeltà alla Parola , dice Paolo, è dono di Dio ed è supportata da Dio, infatti egli ci ha dato uno spirito non di timidezza, ma di forza, d'amore e di autocontrollo.

Queste parole, in questi giorni, che pensavo al sermone di oggi, le ho meditate mentre il pastore Vincenzo Sciclone, padre di Gianna, ci lasciava. Senza ombra di dubbio posso affermare che Vincenzo, dapprima colportore, poi evangelista, poi pastore della nostra chiesa ha preso alla lettera queste raccomandazioni apostoliche. Rileggo un versetto: Ma tu sii vigilante in ogni cosa, sopporta le sofferenze, svolgi il compito di evangelista, adempi fedelmente il tuo servizio. Ha svolto il suo compito di testimonianza in posti dove gli altri non volevano andare, andava con ogni mezzo con lunghe ore di cammino a raggiungere fratelli e sorelle in paesi di montagna della Sicilia, dell’Abruzzo e più in generale dovunque c’era bisogno. Portava con sé non beni materiali di cui era assolutamente sprovvisto, ma, scusate se è poco, la speranza che ci ha dato la Parola che si è fatta carne in Gesù Cristo. Certamente Vincenzo non appartiene alla schiera delle personalità che rimarranno negli annali della Storia, quella scritta con la S maiuscola, della nostra chiesa, non verrà rammentato come Timoteo per aver incrociato nella propria vita l’apostolo Paolo, ma sicuramente egli ha svolto il suo compito con dignità, forza e gioia. Egli appartiene invece alla storia della salvezza perché insieme alla nonna e alla mamma di Timoteo e a tutte le generazioni che ci hanno preceduto hanno svolto fedelmente il loro servizio di testimonianza con gli strumenti culturali in loro possesso.

Ognuno di noi, se ripensa al proprio passato, ha in mente chi ha parlato loro di Gesù, con le parole giuste, che hanno aperto il loro cuore al dono della fede. Tutti noi abbiamo una nonna Loide, una mamma Eunice, un papà, un amico che hanno svolto questo compito.Noi tutti abbiamo un debito di riconoscenza verso tutte queste persone, ma soprattutto verso chi ha chiamato loro a questo compito, il nostro Dio fedele. L’esempio di costoro, ma specialmente l’esempio di Gesù, ci può sorreggere nei momenti difficili, dove sembra che le nostre parole, la nostra testimonianza di vita cada nel vuoto. In particolare in tempi come questi dove tutti ricercano facili soluzioni per difficili problemi, dove molti affidano la loro fiducia incondizionata a persone dal forte carisma, siano essi maghi o politici, dove troppa gente è alla ricerca di un dio amuleto pronto a risolvere tutti i loro problemi personali queste testimonianze sorrette nella fede in Gesù Cristo possono esserci utili.

Se le persone che incontriamo tutti i giorni sono “sull’orlo di una crisi di nervi” perché disilluse dalle facili proposte di vita in cui hanno creduto o ancora credono in facili soluzioni per sentirsi forti e inattaccabili dalle contrarietà della vita, noi abbiamo il dovere di dire che questo modo di vivere porta all’angoscia e alla solitudine. Queste persone sono pericolose a sé e agli altri perché non sanno vedere negli altri che nemici che impediscono loro di raggiungere fama, successo, tranquillità materiale. Se quindi la nostra vita, seppur piena di momenti tristi e difficili, di momenti e decisioni complicate, è sorretta dalla presenza costante del Nostro Signore che ci insegna a vivere i rapporti con gli altri nell’ottica dell’amore e della pace, noi possiamo essere utili a queste persone.

Il saluto iniziale di Paolo a Timoteo: “Grazia, misericordia, pace da Dio Padre e da Cristo Gesù nostro Signore” sia quindi non un modo di salutarsi antico ed obsoleto, ma la giusta ottica per incontrare l’altro, il fratello. Siano la proposta di vita che facciamo nostra, siano l’opportunità antica e nuova per tutti coloro che sono nell’angoscia. Amen

Predicazione di Ignazio David Buttitta, Chiesa Valdese di Firenze, Domenica 19 settembre