Giovanni 11, 47 – 53

Tenebre e luce

 

47 I capi dei sacerdoti e i farisei, quindi, riunirono il sinedrio e dicevano:
«Che facciamo? Perché quest'uomo fa molti segni miracolosi.
48 Se lo lasciamo fare, tutti crederanno in lui; e i Romani verranno e ci
distruggeranno come città e come nazione».
49 Uno di loro, Caiafa, che era sommo sacerdote quell'anno, disse loro:
«Voi non capite nulla,
50 e non riflettete come torni a vostro vantaggio che un uomo solo muoia
per il popolo e non perisca tutta la nazione».
51 Or egli non disse questo di suo; ma, siccome era sommo sacerdote
in quell'anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione;
52 e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire in uno i figli di Dio dispersi.
53 Da quel giorno dunque deliberarono di farlo morire.
54 Gesù quindi non andava più apertamente tra i Giudei, ma si ritirò nella regione
vicina al deserto, in una città chiamata Efraim; e là si trattenne con i suoi discepoli.

 

Care sorelle, cari fratelli,

è una storia vecchia. Quando le cose non vanno, basta trovare un capro espiatorio, scaricare su di lui le responsabilità e le colpe e farlo fuori. Così il gruppo si ricompatta, togliamo il fattore di disturbo, mettiamo in salvo il nostro gruppo, i nostri interessi, la situazione che vogliamo conservare. A volte funziona, a volte la manovra, particolarmente crudele per la vittima scelta, crea soltanto l’illusione di aver risolto o salvato qualcosa.

C’è qualcosa che non va a Gerusalemme, e il sinedrio, il consiglio del Tempio di Gerusalemme e al tempo stesso la massima autorità per tutti gli ebrei, sparsi nelle varie diaspore, se n’è accorto. Da un lato c’è la posizione difficile della città come centro della fede ebraica che dipende da equilibri delicati nel rapporto con gli occupatori romani, dall’altro lato c’è il popolo messo in agitazione dai segni miracolosi di Gesù che i romani potrebbero interpretare come minaccia alla “pax romana”. Gli equilibri che permettevano a Gerusalemme una certa libertà di culto, al sinedrio il suo pur limitato spazio di potere, erano delicati, molto meno delicati erano i romani, quando si trattava di ristabilire l’ordine politico, o come si sarebbe espressa l’ideologia della “pax romana”, di rappacificare una parte ribelle dell’Impero, come poi Gerusalemme e il popolo ebraico hanno dovuto sperimentare nelle Guerre giudaiche.

Il sinedrio si trova veramente in una situazione complicata. A noi cristiani, come all’Evangelista, Caiafa e i suoi colleghi del sinedrio appaiono nella loro meschinità lampante come avversari del Figlio, in cui il Padre si è rivelato al mondo. Cercano di salvare soltanto loro stessi, i loro privilegi, il loro potere. Ma è veramente così? Esprimeremmo un giudizio ugualmente negativo ad es. sulla storia della Riforma protestante, quando Lutero, per salvare il protestantesimo che aveva cominciato ad affermarsi, diede in pasto ai principi i contadini o i capi carismatici della cosiddetta Riforma radicale Andreas Carlostadio e Thomas Münzer ed i loro seguaci? Sul piano della storia della salvezza, Caiafa è l’avversario di Dio, sul piano della storia umana, l’ironia della storia gli conferisce un tratto tragico. Non ha l’intenzione di agire contro Dio, ma di proteggere la possibilità di vita che si è creata per la città di Gerusalemme e per il popolo ebraico.

Ed è proprio questo il tema del nostro testo: la morte di Gesù Cristo come punto in cui la storia della salvezza e la storia umana si incrociano. Il prologo dell’Evangelo di Giovanni chiama la storia dell’umanità sulla terra tenebre. La vita nelle tenebre gira intorno a se stessa, perché al buio non si vede nulla, non si capisce la direzione in cui andare, per avere l’illusione di sicurezza, l’essere umano si aggrappa a se stesso, si muove nella direzione del proprio naso, pensa di essere molto avveduto, perché riesce a vedere fino alla punta del proprio naso. Caiafa è, nel nostro testo, il rappresentante di questa storia delle tenebre.

A questa storia delle tenebre viene contrapposta una storia dinamica con una direzione precisa: la storia della Parola che si è fatta carne, che è la luce degli uomini, che splende nelle tenebre della storia umana, illumina le tenebre. Chi vive sempre nelle tenebre, non se ne accorge, non conosce altro, pensa che la vita debba essere così. La luce fa vedere le tenebre, smaschera le tenebre, fa vedere la differenza tra una vita nelle tenebre e una vita alla luce. Ma affinché chi è sempre vissuto nelle tenebre possa imparare a vedere, l’illuminazione deve iniziare piano, se la luce è subito troppo forte, acceca. Di fatto, l’Evangelo di Giovanni racconta come la luce della rivelazione di Dio nel Figlio diventa sempre più chiara, dal primo segno miracoloso alle Nozze di Cana, miracolo domestico di cui soltanto pochissime persone sono testimoni, al segno sconvolgente della risurrezione di Lazzaro a Betania che mette in agitazione gli abitanti della vicina Gerusalemme. Più la luce aumenta, più diventano nitide le ombre, più diventa chiara la differenza alla vita nelle tenebre.

Ma chi è sempre vissuto nelle tenebre, chi non ha mai conosciuto la vita alla luce, ad es. il fatto scomodo, impegnativo che alla luce non puoi nascondere nulla, alla luce le cose mostrano immediatamente la loro evidenza, ama la sua vita nelle tenebre e quindi la difende contro la luce. E’ un po’ come il toscano, tanto amante della ciccia, due salsicce, una bella bistecca, non per forza sempre alla fiorentina, ma un bel pezzo di carne ci vuole per avere la sensazione di aver mangiato bene, e poi il medico gli dice che ha il colesterolo alle stelle, che se non cambia drasticamente dieta, si scava la fossa con la sua buona cucina gustosa. Poiché il medico ci ha illuminato su come vivere in modo sano, noi tutti immediatamente cambiamo dieta? Non è che rimaniamo attaccati ai buoni e ricchi piatti della tradizione e che ogni occasione per fare uno sgarro alla dieta prescritta è buona? Non rimaniamo in fondo i grandi nostalgici della ciccia?

L’Evangelo di Giovanni racconta come più la luce diventa chiara, più cresce la resistenza delle tenebre, fino al punto di decidere di uccidere la fonte della luce per salvare la vita nelle tenebre. Il culmine del conflitto tra luce e tenebre, Giovanni lo racconta attraverso la profezia di Caiafa e la decisione del sinedrio. E qui avviene una cosa pazzesca: la strategia di salvare la vita nelle tenebre e il progetto di Dio di portare la vita alla luce alla vittoria, passano per lo stesso evento: la morte di Gesù Cristo sulla croce. “Voi non capite nulla, e non riflettete come torni a nostro vantaggio che un uomo solo muoia per il popolo e non perisca tutta la nazione.” Così dice Caiafa. Gesù invece dice ai discepoli: “E’ utile per voi che me ne vada; perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma se me ne vado, io ve lo manderò.” Gesù deve essere tolto di mezzo,  secondo Caiafa, un uomo deve morire per salvare lo status quo delle tenebre, della vita nel mondo; secondo il progetto di Dio, quell’uomo in cui la Parola si è incarnata e rivelata, deve morire per portare a compimento il progetto di Dio, per liberare il campo per la vittoria della luce. Secondo Caiafa, la meta è la salvezza della nazione in senso politico, nel mondo, secondo il progetto di Dio, la salvezza del popolo, inteso come insieme dei figli di Dio, nel mondo di Dio.

La fondamentale differenza è che Caiafa pensa di sacrificare Gesù al suo progetto politico, Gesù invece va incontro alla morte consapevolmente, sapendo che con questo passo egli porta a compimento la volontà del Padre. Agli occhi del mondo, Gesù è vittima, nella prospettiva di Dio, Gesù rimane soggetto sovrano, la scelta ubbidiente della morte è la manifestazione della signoria di Gesù Cristo, della sua perfetta unione con il Padre. Caiafa dice, che “un uomo muoia”; Gesù non usa la parola morte o morire, ma dice, “me ne vado”, “torno al Padre”. 

Rimane però questo fatto stupefacente che nella croce di Cristo si sovrappongono le parole di Caiafa e la volontà di Dio, che nonostante le intenzioni del tutto diverse, le parole di Caiafa diventano parole profetiche, testimonianza della verità di Dio.

E’ soltanto l’ironia della storia? L’Evangelo di Giovanni con le sue polemiche contro i giudei è testimonianza di un momento storico in cui il conflitto tra chiesa e sinagoga è diventato ormai insanabile. L’Evangelista sa che la strategia dell’ebraismo, rappresentata da Caiafa, non ha funzionato: il Tempio di Gerusalemme è stato distrutto, la situazione degli ebrei nell’Impero si è ulteriormente complicata. Ma le parole di Caiafa si stanno verificando nella diffusione della fede in Gesù Cristo, nella crescita della Chiesa di Gesù Cristo.

O l’Evangelista con questa strana coincidenza vuole dare il messaggio che le tenebre, nonostante la loro inimicizia nei confronti di Dio, non sono del tutto insensibili e impenetrabili per la salvezza di Dio? Che Dio, nonostante il suo progetto di portare alla vittoria la luce, non abbandona del tutto le tenebre? Il testo di Giovanni sottolinea che Caiafa “non disse questo di suo”, ma perché era il sommo sacerdote dell’anno. Che cosa vuole dire questo? Che Dio, nonostante la sua rivelazione nel Figlio, non priva il tempio e le sue strutture religiose del tutto della sua verità, della presenza del suo Spirito, facendo in modo che anche le tenebre vengano coinvolte a rendere testimonianza alla verità? Che finché c’è la luce, c’è la possibilità che le tenebre siano trasformate in luce, che il popolo che vive nelle tenebre sia trasformato in figli e figlie di Dio?    Amen

 

Pastore Klaus Langeneck, Chiesa Valdese di Firenze, Domenica 17 Marzo 2013