L’episodio di oggi, una lezione sulla preghiera, inizia proprio con una preghiera,
con l’espressione di un’aspirazione che viene dal più profondo di noi: “Signore, insegnaci a pregare!”.
La maniera in cui questa richiesta viene presentata, ci dice già tanto sulla preghiera: si tratta di qualcosa che si può imparare, qualcosa a cui possiamo coscientemente decidere di dedicarci; non si tratta affatto di una questione di emozioni o di sensazioni. Non c’è bisogno di sentirsi di pregare; si può decidere di pregare; si tratta di un privilegio e di un dono che ci sono stati fatti.
Gesù qui si trova da qualche parte in Giudea; i discepoli stanno peregrinando con lui e proprio come noi hanno potuto constatare questa relazione intima che aveva con Dio; proprio come noi si sono sentiti punti sul vivo, perché hanno constatato la propria povertà spirituale, perché hanno visto che durante la loro vita, perfino durante questo strano periodo di contatto diretto col Cristo, hanno visto che la loro comunione con Dio è poca cosa.
E allora, ecco che uno di loro si avvicina al maestro e pone la domanda, una domanda ben semplice, ma che testimonia realisticamente del nostro stato: veniamo in chiesa, spesso leggiamo pure la Bibbia, forse leggiamo pure altri libri per ottenere dell’edificazione spirituale, riconosciamo l’importanza di Dio nella vita, e tuttavia all’occorrenza, probabilmente perfino spesso, ci rendiamo conto che la vita sembra trascinarci nel suo corso e che Dio diventa o può esser diventato un miraggio lontano o soltanto un bel ricordo.
Ecco allora affiorare questo grido dell’anima “Signore, insegnaci a pregare, insegnaci a trovare, o ritrovare, insegnaci a vivere in questa relazione continua con Dio”. Si va qui diretti al centro della nostra anima, della nostra stessa ragion d’essere di esseri umani creati da Dio.
Si esprime con questa richiesta un bisogno che fa parte della nostra struttura stessa d’individui, e proprio perché questo bisogno è così importante, Gesù risponderà alla domanda del discepolo in modo da chiarire i diversi piani sui quali la preghiera si gioca:
- chi è che noi preghiamo, a chi dobbiamo rivolgerci;
- che cosa chiedere;
- su quali basi chiedere: perché, e forse anche, come.
La preghiera in questo modello che Gesù ci propone, e che non è altro che una versione abbreviata del Padre Nostro, diventa uno spazio dove andiamo a situarci tali quali siamo, come esseri umani che riconoscono la loro dipendenza da Dio, i loro bisogni materiali per la vita, i loro bisogni spirituali – come il nostro bisogno continuo di perdono –la loro natura sociale, il fatto che non viviamo isolati, ma che siamo inseriti in relazioni spesso difficili, spesso conflittuali, e anche che riconoscono la propria debolezza ed il proprio bisogno d’aiuto.
Per farla breve, attraverso questo modello di preghiera ci presentiamo davanti a Dio così come siamo, senza nasconderci, in tutta la nostra umanità; ci presentiamo davanti a lui nella nostra vita, con la nostra vita e non per cercare di fuggire.
Il vescovo anglicano Tom Wright ha ben espresso il concetto con queste parole:
“la preghiera è il nostro modo per dire al Padre: Gesù mi ha catturato nella rete della sua buona novella. Voglio fare parte del suo movimento del regno di Dio.
Sono attirato dalla sua maniera di vivere, di vivere come se il cielo fosse qui e adesso sulla terra. Ho bisogno di perdono per me, per i miei peccati, e voglio vivere questo perdono anche nella mia relazione con gli altri.
E proprio perché vivo nel mondo reale dove il male ancora imperversa, ho bisogno di protezione e di soccorso”.
Quale affermazione è più realista di questa ?
“Signore, insegnaci a pregare” è un’aspirazione, un desiderio, una sete che l’uomo si porta con sé da sempre.
Come lo dice l’autore del Salmo 145, “Il tuo regno è un regno eterno, e la tua signoria dura per ogni età”. La nostra esperienza di fede, la nostra relazione con Dio, non sono un’esperienza isolata, noi non siamo quelli che reinventeranno la ruota, e non siamo neppure più furbi di coloro che ci hanno preceduto o di coloro che ci seguiranno; noi siamo esattamente come loro, in uno stato di bisogno; ed è a della gente come loro e come noi che Gesù rivolge le parole - le istruzioni si potrebbe perfino dire – che abbiamo appena letto, per darci un modello da seguire, non sotto forma di ripetizione automatica, ma come un punto di riferimento per riflettere su quelli che sono i nostri veri bisogni e formulare la nostra preghiera di conseguenza, o anche per seguire questo modello così com’è, non nella ripetizione meccanica, ma piuttosto riconoscendo che altri hanno già percorso il nostro stesso cammino, spinti dagli stessi bisogni
e dalla stessa ispirazione che noi. È anche questo riconoscersi come parte della chiesa universale o cattolica, riconoscere che non siamo soli, ma che condividiamo l’esperienza e l’eredità di coloro che ci hanno preceduto, di coloro che ci accompagnano, di coloro che verranno dopo di noi, e soprattutto che condividiamo l’eredità di Cristo stesso, che fino in fondo a scelto di vivere tutta la nostra condizione, e dunque anche il nostro bisogno di pregare, di parlare a Dio, e che – forte della sua esperienza – ci indica la via da seguire.
Nel fatto stesso di dire “Quando pregate dite...” Gesù ci indica che pregare è soprattutto un atteggiamento che si prende intenzionalmente; si può decidere di farlo. In quel preciso momento, se non riusciamo ad esprimere delle parole che siano nostre, possiamo appropriarci delle sue, dicendole, ripetendole perfino, purché siamo coscienti di quel che stiamo dicendo, purché siamo capaci di dare ad ogni parola il peso del suo significato.
Si tratta semplicemente di pregare con intenzione, ed a quel punto la nostra preghiera raggiungerà il trono di Dio, che essa sia spontanea o basata su formule prestabilite, come per esempio il Padre Nostro.
Attraverso queste parole noi presentiamo a Dio il nostro grido umano, quello che più ci accomuna ad ogni altro essere umano, un grido che ci identifica per ciò che siamo, delle creature di Dio, con i nostri bisogni di ogni genere, e che Cristo stesso ha condiviso.
“Signore, insegnaci a pregare”, ed ha risposto subito a questa richiesta, il che ci fa vedere quanto essa sia importante. Nel modello che Gesù offre ai suoi discepoli, bisogni materiali e spirituali si incontrano: presente e futuro – il futuro nel regno di Dio – si incontrano; segno che la vita con Dio comincia già qui e adesso, e che ne facciamo parte tali quali siamo, come individui.
Fin dall’inizio Gesù chiarisce a chi ci stiamo rivolgendo, e direi perfino, a chi dovremmo rivolgerci: “Padre”, semplicemente.
Non un concetto lontano, non un’idea distante, non un’entità di cui non si sa troppo se si preoccupi veramente di noi, ma piuttosto un padre, qualcuno che è vicino e favorevole, qualcuno che è coinvolto in una relazione basata sull’amore, qualcuno che ha della saggezza e che vuole sempre, in ogni circostanza, il meglio per i suoi figli, qualcuno il cui amore è costante e incrollabile, poco importa i nostri alti e bassi che viviamo nel corso della relazione.
Qualcuno anche da cui riconosciamo che siamo dipendenti. E una volta riconosciuto, accettato, e perfino direi digerito il tipo di relazione che siamo invitati a comprendere che dovremmo avere con Dio, che cosa dovremmo concentrarci a domandrgli, quali bisogni dovremmo riconoscere come fondamentali per le nostre vite?
La formula tradizionale del Padre Nostro dice
“sia santificato il tuo nome”;
una traduzione più moderna dice
“fa’ che tutti roconoscano te come padre”.
Il fatto che la preghiera cominci con questa richiesta ci dà già un indizio che Dio ne è al centro e non solamente i nostri bisogni materiali; la cosa più importante è che il nome di Dio sia glorificato, il che sarà sempre qualcosa di favorevole all’uomo, visto che Dio ci ha creati e che è nostro padre.
La seconda richiesta segue direttamente dalla prima, “Venga il tuo regno”.
Che cosa può voler dire ?
Si tratta certo di un riferimento alla venuta definitiva del regno di Dio in quelli che chiamiamo gli ultimi tempi, ma in fondo c’è anche qualcosa di più; teniamo sempre presente che ci troviamo in una dinamica di già e non ancora, di qui e dopo.
Lo si vede bene per esempio nella versione di Matteo di questa stessa preghiera:
dopo la richiesta “Venga il tuo regno”, Matteo aggiunge “Sia fatta la tua volontà, come in cielo e così in terra”. Quando la volontà di Dio è fatta - e ci abbiamo la nostra parte, poiché possiamo collaborare affinché sia fatta – ecco che il regno de Dio è presente, poiché pur vivendo qui – in Canada o altrove, ha poca importanza – noi riconosciamo anche che abbiamo un altro re, la cui autorità è al di sopra di qualsiasi altra autorità, la regina Elisabetta compresa.
Il regno di Dio non è dunque una questione che riguarda solamente l’aldilà; al contrario.
Ed è per questa ragione che subito dopo si passa alla richiesta per il nostro pane quotidiano, per il sostegno, giorno dopo giorno, della nostra vita qui sulla terra.
Una volta che attraverso queste richieste abbiamo riconosciuto che siamo totalmente dipendenti da Dio - i suoi sudditi, e perché no, i suoi strumenti – ecco che possiamo presentare i nostri bisogni, poiché saremo capaci di valutarli alla luce del primato di Dio nella nostra vita.
Ed i nostri bisogni saranno di natura materiale e spirituale, includendo dunque tutti gli aspetti della nostra natura e della nostra vita:
“Dacci oggi il nostro pane quotidiano”, che può venire anche tradotto “il pane per il giorno dopo”; dunque, provvedi ai nostri bisogni essenziali affinché non dobbiamo vivere nell’ansietà.
Notiamo bene che qui si sta domandando ciò che è necessario per la nostra vita, e non il sovrappiù, non delle cose che non sarebbero altro che capricci.
Una vita semplice, vissuta nella coscienza della presenza di Dio; ecco ciò che ci viene offerto qui comme modello di riferimento per ciò che dovrebbe essere una vita realistica e normale.
Ed è in questo senso che si colloca anche la richiesta che segue: “perdonaci i nostri peccati, poiché anche noi perdoniamo ad ogni nostro debitore”.
Una vita semplice, nella quale riconosciamo che siamo poveri davanti a Dio, che abbiamo costantemente bisogno del suo perdono.
E la constatazione di questo bisogno, della nostra povertà, della nostra incapacità di essere all’altezza di una vita giusta e di esserlo sempre, deve condurci a voler offrire agli altri lo stesso tipo di misericordia, la stessa disponibilità che cerchiamo da parte di Dio.
E siccome la nostra vita si svolge qui e adesso, la grazia che possiamo offrire agli altri è espressa da Gesù in termini ben materiali, come rimettere i debiti, cancellarli nel senso concreto del termine, essere pronti a fare in modo che mai i nostri possedimenti, i nostri beni materiali, gli interessi economici abbiano il sopravvento sulla comunione fraterna, su una maniera rinnovata di vivere la relazione con gli altri, essere dunque pronti perfino a rinunciare a ciò che ci è dovuto, a cancellare i debiti.
Attraverso una preghiera come questa ed un’affermazione come questa, assumiamo su di noi il nostro impegno cristiano a voler vivere in una maniera diversa rispetto al modello che la società ci propone.
La società propone, ma Gesù, lui, offre. E infine l’ultima richiesta, quella che più di ogni altra non è che una confessione, un’ammissione della nostra debolezza: “Signore, non ci esporre alla tentazione”, non lasciarci entrare nel momento della prova, come a dire, proteggici, non permettere che veniamo a confronto con delle situazioni nelle quali potremmo facilmente abbandonare la fede e vivere come se Dio non esistesse.
Tutti i diversi aspetti della condizione umana sono stati presi in considerazione e sono stati affrontati da Gesù in questo modello di preghiera; tutti i nostri bisogni di qualsiasi natura essi siano, vi trovano il loro posto. Ma non è tutto; se Gesù ci mostra chi pregare e cosa domandare, ci spiega anche perché pregare, nel caso in cui fossimo tentati di vedervi un’esperienza esigente ed inutile.
Siamo invitati a pregare perché il carattere di Dio è tale che Egli risponderà perché vuole dare le cose buone, buone ovviamente secondo i suoi criteri e non necessariamente secondo quel che sembra buono a noi.
La parabola dei due amici è stata spesso equivocata.
Il punto non è che Dio finirà per esaudire le nostre preghiere se noi insistiamo e siamo persistenti, come se potessimo manipolarlo; al contrario, la risposta di Dio alla preghiera è dovuta al carattere stesso di Dio. La parola al versetto 8 che è spesso tradotta con “insistenza” o “importunità”, in realtà significa qualcosa di simile a vergogna; ma non si riferisce al fatto che l’amico che chiede i pani sia uno svergognato, ma piuttosto alla vergogna di colui che se li fa domandare
e che rifiutandoli viola il comandamento dell’ospitalità - una cosa sacra nel Medio Oriente di ora e di allora – poiché rifiutando di alzarsi per dare del pane al suo amico, egli finisce per impedirgli di essere un buon ospite nei riguardi del visitatore inatteso.
Dio dunque non si lascerà mettere in una situazione di vergogna per il fatto di restare indifferente alla preghiera; al contrario, dice Gesù, “Chiedete, e vi sarà dato; cercate, e troverete; picchiate, e vi sarà aperto”.
Questo è il carattere di Dio, il Padre, e non si smentirà, fino al punto che Egli è pronto a dare il dono per eccellenza, lo Spirito Santo, la presenza di Dio con noi,
se glielo domandiamo. Gesù disse in altre occasioni “l’uomo non vive di solo pane”, la vita spirituale fa parte di chi noi siamo, fa parte della nostra struttura di esseri umani, e dunque anche di questi bisogni si deve prendere cura.
Chiedere, cercare, picchiare, sono cose che si applicano a tutto, non soltanto ai nostri bisogni di ogni sorta, ma anche alla vita spirituale.
Chiediamo, cerchiamo, picchiamo, non ci rassegniamo a una vita senza comunicazione con Dio, poiché è parte della sua stessa natura di volere la comunicazione con noi, di volerci dare lo Spirito Santo.
Il primo amico cercava del pane per poter essere un buon ospite; non dimentichiamo che anche Dio è un buon ospite pronto a provvedere secondo i nostri veri bisogni. Amen.
Giancarlo Fantechi Chiesa del Redentore (Montréal) 29 luglio 2007