Pasqua come rigenerazione
Ebrei 13,20-21
Predicazione del pastore Pawel Gajewski, Domenica 23 Marzo 2008 - Pasqua
Con questo testo si conclude il nostro breve ciclo di riflessioni sull’ultimo capitolo dell’Epistola agli Ebrei (domenica, 9 marzo, Venerdì Santo).
Il nostro breve brano contiene un chiaro ed esplicito annuncio della risurrezione: Dio (…) ha tratto dai morti il grande pastore delle pecore, il nostro Signore Gesù.
L’espressione è “il grande pastore delle pecore” compare soltanto in questo brano. Non ci sorprende minimamente il sostantivo “pastore”: Io sono il buon pastore; il buon pastore dà la sua vita per le pecore (Giovanni 10,11). Possiamo ricordare anche il bellissimo versetto di Ezechiele: Come un pastore va in cerca del suo gregge il giorno che si trova in mezzo alle sue pecore disperse, così io andrò in cerca delle mie pecore e le ricondurrò da tutti i luoghi dove sono state disperse in un giorno di nuvole e di tenebre (Ezechiele 34,12). L’aggettivo “grande” sembra stonare un po’ in questo contesto. Tutto diventa più chiaro se lo ritraduciamo in ebraico ‘gadol’. L’orecchio ebraico coglie qui un chiaro riferimento al “grande sacerdote” oppure come siamo soliti dire “sommo sacerdote”, la massima carica cultuale del tempio di Gerusalemme.
In questo modo ai consueti titoli di Gesù, Signore e Cristo, si aggiunge un’altra qualifica: il sommo sacerdote e pastore. Non dimentichiamo che tutta l’Epistola agli Ebrei insiste sul sacerdozio di Gesù. Alla luce della Pasqua dunque possiamo affermare che in questo collegamento alle due funzioni di Gesù si rivela il senso profondo della risurrezione: il congiungimento dell’Antico e Nuovo Patto nella persona di Gesù; l’uno come l’altro raggiungono il compimento nell’opera di Dio compiuta in Gesù.
Il resto del brano sembra una benedizione o un’esortazione. La forma è quella di una benedizione; il contenuto invece fa pensare piuttosto a un’esortazione. Si tratta di un’esortazione particolarmente impegnativa: perfetti in ogni bene, sottomessi alla volontà di Dio… Potrebbe sembrare la quintessenza del moralismo religioso.
In questo caso ancora una volta ci viene in soccorso una semplice analisi logica della frase. Chi è il soggetto della nostra frase? Il Dio della pace. Tutto il resto diventa oggetto della sua azione, anche la risurrezione di Gesù è un atto “passivo”. Vale la pena ritornare alle radici ebraiche del termine “pace”. Vorrei ricordare che non si tratta del silenzio delle armi, né della concordia tra le nazioni del mondo, la cui mancanza sentiamo così profondamente in questi anni. Lo ‘shalom’ ebraico significa la perfetta armonia dell’essere. La morte, intesa come disordine, frattura, minaccia continuamente questa armonia. La risurrezione di Gesù significa invece la rigenerazione dell’intero creato, l’armonia viene ripristinata e la morte biologica perde la sua forza distruttiva.
Il senso della Pasqua, tanto quella ebraica, quanto della nostra cristiana è il passaggio dalla morte alla vita. L’attualità della Pasqua sta invece in questa particolare armonia che Dio ri-crea in ogni momento della nostra esistenza. Qualunque sia la natura della nostra azione, se tale azione trasmette agli altri lo ‘shalom’ si tratta sempre di un’azione pasquale, si tratta di un segno chiaro dell’azione rigeneratrice di Dio che si è manifestata pienamente nella Pasqua di Risurrezione.
Predicazione del pastore Pawel Gajewski, Domenica 23 Marzo 2008 - Pasqua, Chiesa Metodista e Chiesa Evangelica Valdese di Firenze.