Genesi 24,1-14

Il Signore provvede

 

Nell'intero patrimonio letterario dell'umanità sono pochi i racconti la cui drammaticità possa essere paragonata alla storia del sacrificio d'Isacco. Nella storia del pensiero occidentale il saggio di Søren Kierkegaard Timore e tremore segna indubbiamente una tappa che non può essere lasciata da parte. Gli studiosi dell'Antico Testamento affermano con convinzione che il senso dell'intero racconto è racchiuso nel versetto 14: il Signore provvede, ovvero “sul monte il Signore vede”.

Il verbo ebraico rā'āh può essere tradotto in tutti e due i modi e anche la nostra lingua italiana mantiene questo gioco di parole nel detto “Il Signore vede e provvede” che usiamo piuttosto spesso. Si tratterebbe dunque di un racconto eziologico che spiega sia le origini del nome di un monte (la cui posizione esatta non è stata mai definita con certezza) nonché approfondisce le origini dell'antico detto appena citato. Vale la pena ricordare che questo detto esiste in molte lingue di origine sia semitica sia indoeuropea.

Walter Brueggemann tuttavia nel suo magnifico commentario a Genesi è abbastanza convincente quando mette in evidenza l'elemento della prova che domina sull'intero racconto. La provvidenza non esiste senza la prova. La prova a cui viene sottoposto Abraamo è la più dura tra quelle che un essere umano possa immaginare. Uccidere il figlio unigenito tanto atteso e desiderato. La durezza della prova va ancora oltre l'inimmaginabile sofferenza umana. Questo figlio è il depositario della promessa che l'Eterno stesso ha fatto e confermato in maniera più che chiara.

Il dubbio sulla bontà di questo Dio che sembra così capriccioso sembra più che legittimo. Sorge inoltre spontanea la lacerante domanda: egli esiste davvero oppure si tratta soltanto dell'immaginazione, della chimera creata dalla mente umana? Kierkegaard ha saputo trasformare queste domande comuni a tutti gli esseri umani in un capolavoro di filosofia perfetto nella sua composizione. Io non so in grado né di riassumere, né, tanto meno di imitare il pensatore danese.

Ritorniamo quindi al nostro Bruggemann, il quale mette in evidenza un convincente collegamento della storia del sacrificio d'Isacco con la penultima richiesta della preghiera “Padre Nostro”: non esporci alla tentazione. Egli ricorda giustamente che il senso di questa richiesta può essere riassunto in modo seguente: non permettere che la prova diventi più forte della nostra capacità di sopportazione.

Io aggiungerei: non lasciarci soli nella prova. Condivido pienamente la necessità di legare la provvidenza alla prova, vorrei tuttavia impostare la questione della prova in una prospettiva più esistenziale che teologica. Che sia però chiaro: non si tratta soltanto dell'esistenza in sé bensì di un'esistenza segnata dalla Grazia. La vita di ognuna e ognuno di noi è segnata da una serie di prove. Alcune di lieve entità le altre di gravità enorme. Alcuni riescono a superare brillantemente ogni prova gli altri cadono in depressione, alcoolismo, tossicodipendenza o escono di scena con un gesto estremo. Fin qui ci muoviamo su un piano puramente umano. I servizi sociali e di igiene mentale dispongono (almeno teoricamente) di tutti gli strumenti in grado di sostenere chi non riesca a farcela.

In tutto questo c'è però un'altra dimensione, quella della fede. Come pastore sono di solito chiamato confrontarmi con chi a causa delle prove della vita (qualche volta nemmeno particolarmente gravi) cade in una crisi spirituale spesso assai grave. Ecco qui l’attualità della penultima richiesta del “Padre Nostro”! Io tuttavia continuo a nutrire la convinzione che questa richiesta andrebbe letta come una particolare forma d'asserzione (come d'altronde lo è l'intera preghiera): Dio è con noi in ogni istante della nostra esistenza e nessuna prova può mettere in discussione la sua promessa.

Quale promessa?

Quella di ricondurci a Sé da ogni angolo della terra e da ogni sentiero della nostra esistenza. Questo è il succo del messaggio che domina sull'intera Bibbia. Questo è il messaggio che ci trasmettono i più grandi pensatori e i più grandi mistici: da Agostino d'Ippona a Giovanni Calvino, da Caterina da Siena a Martin Lutero.

Il vero problema rimane però la nostra presa di coscienza di questa promessa di Dio. Credo che la storia del sacrificio d'Isacco voglia affermare proprio questo: Abraamo supera la prova perché grazie a questa situazione estrema egli è messo in condizione di prendere pienamente atto della promessa, della bontà e della provvidenza di Dio.

Predicazione del Past. Pawel Gajewski, Chiesa Valdese di Firenze, Domenica 10 Aprile 2011