Questa frase si riferisce a Giuseppe, figlio di Giacobbe, odiato dai suoi fratelli appunto perché sognatore e perché essi non riuscivano a capire i suoi sogni.
I sognatori, infatti, sono pericolosi perché superano la razionalità funzionale al mantenimento dello status quo e portano nei recinti stretti del realismo immagini e visioni che rompono ogni barriera.
Sono pericolosi perché non si adattano, ma si intestardiscono a immaginare “altrimenti”.
Anche quando sono costretti dalle condizioni storiche a vivere in una realtà che non li soddisfa, continuano ad immaginare, vedere, progettare un mondo ed una situazione altra, diversa.
Per questo ogni cambiamentose vuole essere vero, ogni rivoluzione, ogni alternativa non possono non partire da un sogno.
Confessiamolo subito: vogliamo essere qui, siamo qui oggi, ci riuniamo di fronte al Signore, ci impeganmo nella chiesa e nella sua diaconia perché abbiamo un grande sogno, un grande sogno di pace!
Vogliamo essere qui perché abbiamo ancora la capacità di avere delle visioni: “E vidi un nuovo cielo ed una nuova terra…..e non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né pianto perché le cose di prima sono passate” (Ap. 21: 1-4).
Mi domamdo: perché dobbiamo dare per ineluttabile che il male continui, che la guerra vada avanti, che le armi siano indispensabili alla difesa, che non ci possa essere altra soluzione ai conflitti che la violenza?
Perché non pensare che sia possibile costruire un mondo su basi diverse?
Perché non cominciamo ad agire ed operare come se questo “nuovo mondo” che – almeno potenzialmente – è nelle aspirazioni di tutti già fosse totalmente presente?
Sappiamo come credenti di essere in cammino verso quello che chiamiamo Regno di Dio: che è già presente, anche se non ancora realizzato.
La sfida che ci è posta nella storia è proprio quella di vivere a partire da quel “già” che sta continuamente in tensione con quell’altro “non ancora”.
Analogamente la pace.
Non è realizzata ancora totalmente, anzi, pare lontana, molto lontana.
Eppure è presente, almeno nei sogni, nell’impegno, nella vita di tanti:
la sfida che è posta a chi crede veramente nella pace è proprio quella di porre dei gesti, di fare delle azioni che si situino in questo “già” anche se è continuamente in tensione con un drammatico “non ancora” che sembra continuamente smentirlo.
Se interrogo Gesù come uomo mi accorgo che potrei definirlo l’incarnazione della nonviolenza in un mondo violento.
E’ apparso in lui un progetto di vita non basato sulla volontà di potenza. Infatti il momento della sua piena manifestazione è stato la croce.
Ma si può assumere la croce in modo ideologico, facendone uno strumento che può andare bene persino a Costantino “In hoc signo vinces”.
La croce diventa in questo modo strumento di guerra, di oppressione, sviando così il mistero di colui che disse: “rimetti la spada nel fodero”.
La croce del Signore, la sua morte, è invece la manifestazione che la vera potenza di Dio si manifesta là dove, secondo la mentalità dell’uomo, vi è l’impotenza ed il fallimento. Attraverso le cose deboli Dio vince le cose forti.
Il mondo dei tempi di Gesù era violento, come lo è il nostro. L’Evangelo ce lo presenta bene: fin dall’inizio quando Erode vuole uccidere Gesù, anzi, fin quando Maria e Giuseppe non trovano posto nell’albergo.
Gesù è nato fuori dalla città, così come è stato ucciso fuori dalla città.
E’ nato come un poveraccio è morto come un delinquente, un indegno.
La croce rappresenta la rivelazione radicale del mondo violento che scaccia la donna e l’uomo secondo il criterio dell’arbitrio politico, del potere economico, della cultura sopraffatrice.
L’alternativa che essa presenta è la scelta di coloro che nel mondo non contano. Ecco allora che il discorso della montagna è l’esegesi vera della croce: “avete udito che fu detto, amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico, ma io vi dico amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi perseguitano”.
Gli spazi che come credenti siamo chiamati ad occupare nel mondo sono allora là dove si divarica il mondo tra il solco della volontà di potenza ed il mondo della non volontà di potenza.
Ma c’è di più.
La croce di Gesù ci dimostra che Dio non fa pace perché l’uomo è diventato buono, non perdona perché ci si è convertiti. Fa pace! Punto e basta: perdona, punto e basta. UNILATERALMENTE.
Dice Paolo nella lettera ai Romani: “Mentre noi eravamo ancora peccatori, Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito. Ora, a stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto; forse ci può essere chi ha il coraggio di morire per una persona dabbene. Ma Dio dimostra il suo amore per noi perché, mentre ancora eravamo peccatori, Cristo è morto per noi” (Rm 5: 6-8).
Chi crede sa che il solo suo scudo è il Signore e che ogni arma in cui pone la propria sicurezza è espressione di idolatria.
Dio non è il Dio degli eserciti. All’espressione veterotestamentaria che definisci Dio così, Paolo oppone la definizione di Dio come Dio della pace.
Colui che rompe l’inimicizia, facendo, sem’pre lui, il primo passo. Sempre in modo unilaterale.
Come sarebbe bella una chiesa che proclamasse, come chiedeva il past. Gollitzer, di non accettare mai, in nessuna maniera di essere difesa dalle armi, che non accampasse diritti o privilegi, che non accettasse di presenziare alle parate di coloro che esprimono volontà di potenza, che fosse nel mondo segno della nonviolenza radicale della croce.
E’ un compito che tutti noi che di queste chiese facciamo parte dobbiamo assumerci senza paura di difficoltà di sorta.
Certo, occorre resistere alle lusinghe ed ai privilegi che il potere da a chi si prostituisce al lui: “tutto questo io ti darò, disse Satana a Gesù, se prostrato mi adorerai”.
In questo senso mi viene in mente una frase di Bonnhoeffer che rimproverando i silenzi della sua chiesa durante il nazismo scriveva: “oggi non ci è chiesto di resistere facendo la confessione di fede, ma di fare la confessione di fede resistendo”.
Per questo sorelle e fratelli:
Io scelgo di identificarmi con i bisognosi, scelgo di identificarmi con i poveri. Scelgo di dare la mia vita per gli affamati. Scelgo di dare la mia vita per coloro che sono stati esclusi dalla luce delle opportunità. Scelgo di vivere per e con quelli che si trovano a vedere la vita come un lungo e desolato corridoio senza un segno che indichi l’uscita. Questa è la strada che seguo. Se significa soffrire un po’, seguo questa strada. Se significa sacrificarsi, seguo questa strada. Se significa morire per loro seguo questa strada, perché ho sentito una voce che diceva: “fai qualcosa per gli altri”.
Amen
Predicazione tenuta da
Alessandro Sansone