Secondo il Vangelo di Giovanni anche Gesù si pensa in rapporto a Mosé: “Voi investigate le Scritture, perché pensate di avere per mezzo di esse vita eterna, ed esse sono quelle che rendono testimonianza di me…” (5, 40) “…Se credeste a Mosé credereste anche a me, poiché è di me che egli ha scritto” (v.46).
Dire di Gesù “è stato un profeta” ci sembra un po’ deludente, però è nell’immaginario del Deuteronomista; quando poi si parlerà del Messia o di un re davidico (anche in senso spirituale) si dirà di più, fino a giungere alla testimonianza del Battista, secondo il Vangelo di Giovanni, che lo definisce “Colui che viene dal cielo è sopra tutti”. Naturalmente è la testimonianza dell’evangelista stesso, perché del Battista sappiamo dagli altri Vangeli che non era troppo sicuro che Gesù fosse il Messia. Qui comunque Gesù viene definito come “colui che viene dal cielo”, come “testimone”, “colui che Dio ha mandato”, “che dice le parole di Dio”, che ha ricevuto “lo Spirito di Dio” senza misura, è “il Figlio”, “Dio gli ha dato ogni cosa in mano”, credere in lui significa “avere vita eterna”. Un compendio della cristologia giovannica in poche righe!
“Uno dei profeti” faceva parte delle risposte dei discepoli alla domanda di Gesù “Chi dice la gente che io sia?”, ma Pietro poi dà la risposta giusta: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mat. 16, 16). Gesù proclama “beato” Pietro, perché ha ricevuto una rivelazione dal “Padre nei cieli”.
Gesù come “profeta mandato da Dio” è naturalmente su un altro piano… ma “profeta” è qualcosa che può esser condiviso con i nostri fratelli ebrei e con i nostri fratelli islamici: con loro possiamo dire che Dio si è rivelato a Mosé, poi a Gesù, e poi a Mohammed? Non è facile dirlo, perché mentre non abbiamo dubbi sui primi due e diamo per scontato che colui che viene dopo conferma il precedente ed è maggiore, non vorremmo affermarlo anche per Mohammed, come invece fanno gli islamici. Ovvero si può porre il quesito sul criterio per dichiarare “maggiore” (al di sopra di tutti) uno dei tre: il più antico, perché è il primo? Il più recente, perché è l’ultimo? Come si fa a sapere che è l’ultimo? Si vorrebbe rispondere: quello in cui Dio si identifica, su cui Dio fa posare il suo Spirito, che dice le sue parole, quelle che Dio ha messo nella sua bocca. Si tratta di un criterio biblico, è l’affermazione centrale e più carica di conseguenze del Nuovo Testamento. Tutti gli autori, Paolo, gli evangelisti, gli scrittori delle epistole non affermano altro e ne fanno l’annuncio fondamentale.
Testimoniando che Dio si identifica nel Cristo ci trasmettono una immagine di Dio diversa dal solito; se Cristo è la sua icona non è l’Onnipotente risolutore dei problemi terreni, non il Motore Immobile che fa girare l’universo, non la Forza di Vita universale e misteriosa che è insita in ogni parte della natura. Il Dio di cui Gesù è l’immagine è il Padre misericordioso che dà a tutti la possibilità di “ritornare”, il Dio che non vuole riti e feste solenni, ma ama la giustizia e il diritto, il Dio che risana i malati e che accoglie gli emarginati, che sfama gli affamati, che fa giustizia ai poveri; la sua via è l’unica vera per sottrarsi all’idolatria di Mammona.
E’ possibile che altre rivelazioni trasmettano la stessa “icona” di Dio? Forse sì. Quando lo fanno, confermano in pieno la rivelazione attraverso Gesù. Dunque non esitiamo a testimoniare gli uni agli altri quello che sappiamo di Dio, quello che abbiamo ricevuto e che testimoniamo. In un certo senso, il termine “profeta” non basta, ma non solo a noi per il Cristo, ma neanche agli ebrei per Mosé (lo hanno anche per legislatore, liberatore, mediatore) o agli islamici per Mohammed (parlano del suo senso di pace e della giustizia, di un riassetto giuridico, familiare e nazionale e di fenomeni ultra-terreni che lo avrebbero contraddistinto).
Oggi si tende a criticare gli incontri interreligiosi perché metterebbero in sordina la figura di Cristo assolutamente centrale per il cristianesimo, per creare ponti di pace e di ascolto reciproco… A parte che se avessero questa finalità sarebbero già meritevoli di rispetto in tempi oscuri di guerre, terrorismo, pessima gestione delle risorse della terra, pericolo di inquinamento generale, come sono i nostri tempi! Ma il vero problema non è “Gesù al di sopra di tutti” che noi affermeremo oggi come ieri fino all’ultimo, è l’immagine o il pensiero di Dio che trasmettiamo. Noi dicendo “Gesù al di sopra di tutti” non annunciamo la purezza di un dogma, quello della natura divina e della natura umana di Gesù, distinte ma coesistenti non confuse etc.; là ci inoltriamo in un complesso sistema di pensiero nel quale sono prevalse preoccupazioni di traduzione in termini ellenistici e più tardi bizantini, di tipo filosofico.
Il Gesù dei Vangeli, compreso il Vangelo di Giovanni, che è quello che lo vede più vicino a Dio (era presso Dio, era Dio), non ha insegnato ai discepoli ad adorarlo come Dio; Gesù distingue sempre fra sé e il Padre e insegna a pregare il Padre. E’ la comunità apostolica che, dopo la sua risurrezione, ha pregato Dio nel nome di Gesù (quello che chiederete al Padre nel mio nome, lo farò Gv.14,13). In sostanza ci sono anche nel Nuovo Testamento molti modi per descrivere l’affinità di Gesù con Dio, uno dei più noti è nei termini di “adozione”: “Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto” (Mat. 3, 17). Però poi c’è la nascita miracolosa (Matteo e Luca), c’è l’incarnazione del Logos eterno di Dio. Sono linguaggi diversi: dire profeta è poco, ma è molto dire “il Legislatore”, “il Mediatore”.
Giovanni ne fa il punto di svolta della vita (la vita eterna= quella vera): “chi crede nel Figlio ha vita eterna, chi invece rifiuta di credere al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio rimane su di lui”. Credere in Dio (l’unico) attraverso il Figlio (l’unico), che possiede lo Spirito (l’unico). La chiesa primitiva ha usato lingue diverse nell’adorazione del Dio unico. Il Vangelo di Giovanni non si fa illusioni sul “ricevere la testimonianza del Cristo” : “nessuno riceve la sua testimonianza” (v.32). Le tenebre sono più forti della luce? A volte lo pensiamo e lo diciamo apertamente. Ci sembra che il mondo ormai vada alla deriva un po’ su ogni piano.
Questo è non credere, è non ricevere Gesù: Gesù portatore dello Spirito mette in luce la vita, ma si crea un cono d’ombra per chi lo rigetta, che resta nelle tenebre. Il Natale che festeggia il sopravvento della luce sulle tenebre ci ricorda che le ombre non prevarranno, ma Dio fa vincere la vita: Sapremo far risplendere la luce di Cristo anche in questi giorni in cui ricordiamo la sua venuta nel mondo?