Tutto questo è pace

di Joerg Zink

 

Avere del pane, poter vivere,
appartiene alla pace.
Non morire di fame,
non dover lottare per la sopravvivenza
è pace.

Avere un posto, che non ti viene
sottratto da un altro
è pace.

Vivere in comunità invece che da soli
è pace.

Avere un compito,
che è più che darsi da fare per mangiare,
che ha senso e dà pienezza
è pace.

Avere una casa, una tavola,
un essere umano che ti comprende:
tutto questo è pace.

 

Vestiti a festa

di Patrizia Barbanotti

 

"Mi fece vedere il sommo sacerdote Giosue', che stava davanti all'angelo del Signore e l'accusatore che stava alla sua destra per accusarlo. Il Signore disse all'accusatore: "Ti sgrida il Signore! Il Signore, che ha scelto Gerusalemme ti sgrida! Non e' forse costui un tizzone strappato dal fuoco? Giosue' era vestito con abiti sudici e stava davanti all'angelo. L'angelo disse a quelli che stavano davanti: "Levategli di dosso i vestiti sudici!" . Poi disse a Giosue': "Guarda: ho tolto la tua iniquita' e ti ho rivestito con abiti da festa". Io dissi: "Gli sia messo un turbante pulito sul capo!". Quelli gli posero sul capo il turbante pulito e lo rivestirono: l'angelo del Signore era presente. L'angelo del Signore esorto' Giosue' dicendogli: "Cosi' dice il Signore degli eserciti: Se cammini nelle mie vie e osservi quello chi io ti ho comandato tu governerai sulla mia casa, custodirai i miei cortili e io ti daro' libero accesso tra coloro che stanno qui davanti a me" (Zaccaria 3/ 1-7)

Il Giosue' del nostro testo e' assai meno noto dell'omonimo condottiero della conquista della terra promessa. Ci troviamo in tutt'altro contesto: dopo anni di esilio in Babilonia finalmente esistono condizioni favorevoli al rientro di alcuni esuli. Si tratta di un ritorno dunque, di un reinsediamento, tra mille difficolta'. Questo Giosue' e' un Sommo Sacerdote che si appresta ad affrontare un compito decisamente complesso e di grande responsabilita': riavviare il culto al Tempio di Gerusalemme. Peccato che il Tempio ancora non ci sia! Purtroppo anche la comunita' ha scarsa dimestichezza con la questione: sia coloro che sono rimasti a Gerusalemme, senza Tempio e senza sacerdoti per anni, sia coloro che tornano dalla diaspora dove hanno lottato per mantenere vivo il senso della loro identita', ma non hanno certo potuto celebrare un culto.
Aggiungiamo ancora che le due componenti del popolo, quelli rimasti e quelli tornati dall'esilio, hanno enormi difficolta' a comprendersi reciprocamente e si arriva facilmente al conflitto. Probabilmente molti sono convinti che Giosue' non abbia la stoffa per farcela. Probabilmente Giosue' sa bene che alcune critiche mosse nei suoi confronti sono assolutamente fondate e si rende perfettamente conto delle difficolta' oggettive della situazione...
E' il caso di fidarsi di Giosue'? Sara' davvero in grado di portare termine questo compito? Zaccaria, un profeta, scende in campo raccontando come lui ha "visto" le cose. E non e' un qualunque punto di vista, egli dichiara, ma e' quello che Dio stesso gli ha mostrato.
Nella visione Giosue' viene "esaminato" da una "corte celeste" .
E' presente un accusatore e un difensore. C'e' una evidente asimmetria tra i due personaggi: l'accusatore viene stroncato prima ancora di poter aprire bocca. "Ti rimprovera il Signore, che si e' eletto Gerusalemme!" E' come se dicesse "Taci! C'e' tutta una storia che esiste, una storia d'amore infinito alle spalle. Qualunque cosa tu dica, per quanto "vera" formalmente, non potra' essere accettata". La difesa pone le premesse e pone lei la domanda, e' l'accusatore che deve rimettere in discussione i propri presupposti: "Non vedi? Non sai da dove arriva? Da dove e' scampato? Per forza e' brutto e sporco! Cosa vuoi pretendere!" Nella visione Giosue' e' li' nel mezzo, in piedi davanti a tutti con abiti sporchi. Il male non viene negato ne' minimizzato, le "vesti immonde" non sono adatte, il peccato deve essere tolto. Ma questo non e' un problema di Giosue'. L'angelo del Signore da' ordine che Giosue' venga rivestito con abiti da festa e gli viene posto sul capo il simbolo del ruolo che e' chiamato a svolgere.
Dio dichiara di averlo scelto come collaboratore e di avergli dato libero accesso alla sua presenza. Il Signore stesso, che lo ha scelto, lo ha reso degno di questo compito.

Nonostante tutte le difficolta' oggettive che rimangono tutte li' ad ostacolare il suo lavoro Giosue' ha ora la possibilita', ascoltando le parole di Zaccaria, di "vedersi" in un altro modo e quindi di essere determinato, sicuro della sua "autorita'". Vorrei... essere come Zaccaria, andare da qualcuno e dirgli: guarda che l'accusatore e' stato messo a tacere, guarda che i tuoi vestiti sporchi sono stati sostituiti con abiti da festa , guarda che ora la tua frustrazione nel misurarti con tutto cio' che non sei e non sai non ha piu' motivo di essere, guarda che Dio ha deciso di sceglierti come collaboratore ed amico. In Cristo so che posso dirlo.

 

Il male individuale: la sofferenza

di Valdo Ricca

(Conferenza tenuta sabato 17 gennaio al Centro Culturale Protestante “P.M.Vermigli” per il ciclo “Il problema del Male”)

 

Sono un medico psichiatra che lavora da 15 anni con persone che soffrono. L’occasione di questo incontro mi ha permesso di riflettere sia sul concetto di sofferenza, sia sull’ottica privilegiata che il mio lavoro mi consente di avere rispetto agli uomini o alle donne che si rivolgono a un professionista per un problema psicologico. Nel mio mestiere, spesso si ha modo di entrare abbastanza velocemente in un contatto assai intimo con le persone, si ha modo di conoscere, di loro, più aspetti di quelli che potrebbero conoscere i loro parenti o amici più stretti, si ha la possibilità di capire il sistema di valori, i bisogni, le convinzioni che caratterizzano gli individui e,quindi, venire a conoscere i percorsi individuali della loro sofferenza, della loro difficoltà di vivere.

In modo schematico, ma forse utile da un punto di vista didattico, possiamo distinguere due principali capitoli della sofferenza psicologica individuale tipica di un soggetto adulto che vive oggi in un paese occidentale:

quello che attiene alla sfera privata, più intima di un soggetto, ed è strettamente legata alla stima che una persona ha di se stesso e ai suoi desideri

quello che attiene alla sfera relazionale, che si estende dai rapporti con le persone care fino ai problemi legati al vivere nel mondo, nonché ai problemi del mondo stesso.

Mi pare di poter affermare che, contrariamente a quello che si potrebbe a prima vista pensare, la sofferenza dell’individuo legata a fatti esterni alla propria persona ha una parte assai modesta nel definire uno stato di malessere psicologico prolungato, una difficoltà nel vivere quotidianamente in modo libero da angosce o pensieri disturbanti.

Nonostante la diffusione delle informazioni, tali per cui oggi è ben difficile poter dire “io non sapevo”, fatti quali le carestie, le

guerre, le epidemie, l’oppressione di interi popoli, la distruzione di culture, nazioni, foreste non hanno un riflesso psicologico marcato sulla maggior parte delle persone, o almeno non è possibile considerare tali informazioni come causa, diretta o anche indiretta, di sofferenze psicologiche individuali prolungate. Tutt’al più esse possono, nel caso ad esempio di guerre scatenate vicino al proprio paese, indurre una transitoria paura per l’incolumità propria o dei propri cari, tale però da non impedire il normale svolgimento della vita quotidiana, comprensiva di svaghi, divertimenti e distrazioni.

La sofferenza individuale è invece assai più spesso dovuta a un disagio o a una vera e propria grande difficoltà di vivere facendo i conti con se stessi, le proprie caratteristiche e le proprie mancanze. Essa accompagna in misura variabile tutti gli individui, e può essere distinta in:

forme di sofferenza di pertinenza non medica, altrimenti dette esistenziali,

forme di sofferenza patologiche, tali da determinare una condizione clinica che compromette quotidianamente, in misura marcata, la qualità della vita.

Sofferenze esistenziali

Si sta male perché la propria persona, a causa delle sue caratteristiche intrinseche e per periodi più o meno lunghi, non riesce a rispondere in modo adeguato a determinate richieste che il soggetto fa a se stesso e non è in grado di modificare quello che di se stesso e del proprio modo di vivere non è ritenuto adeguato.

Le principali fonti di sofferenza di un soggetto possono essere così riassunte:

Bassa stima di sé. Tipica, nella sua accezione clinica, del soggetto depresso, è propria anche di persone educate secondo principi rigidi e con standard di rendimento elevati.

Ansia e angoscia. Caratterizzano quelle persone, probabilmente una larga fascia di popolazione, che vivono in modo esageratamente apprensivo la maggior parte dei fatti quotidiani.

Sentimento di limitazione o perdita della libertà. L’individuo si sente costretto nel proprio modo di essere, o dal proprio ambiente, in modo tale da non poter vivere in autonomia secondo le proprie aspettative o desideri.

Sentimento di inutilità di se stesso e della propria esistenza. Tipico dei soggetti maggiormente dotati di capacità introspettive.

Sensi di colpa. Propri degli individui con una coscienza morale molto sviluppata.

 

Queste possibili fonti di sofferenza non insorgono, generalmente, a seguito di difficoltà contingenti, quali problemi affettivi, economici o lavorativi, ma sono strettamente connessi con le caratteristiche di personalità del soggetto e con l’educazione ricevuta durante l’infanzia e l’adolescenza. Esse non compromettono la capacità del soggetto di stare nel mondo, ma condizionano pesantemente lo stare con se stessi. Spesso non sono percepite dall’esterno e non vengono comunicate. Si manifestano in modo più esasperato in presenza di contingenze sfavorevoli, tali da mettere l’individuo di fronte a quelli che considera i propri limiti o difetti.

Criterio di valutazione

Giudizio di normalità

Anormalità e/o patologia

Statistico

Frequenza del comportamento

Rarità di comportamenti simili

Biologico

Normale funzionamento dei processi cerebrali

Alterazioni biologiche di tali processi

Devianza della condotta sociale

Conformità rispetto al gruppo di appartenenza

Comportamenti diversi da quelli attesi o approvati

Antropologico

Comprensibilità secondo la cultura

Non comprensibilità

Sviluppo psicoaffettivo

Maturità dello sviluppo raggiunta

Insufficiente maturazione del pensiero e dell’affettività

Vissuti del soggetto e Sofferenza

Bassa sofferenza, libertà conservata

Alta sofferenza, perdita di libertà

Sofferenze esistenziali

Si sta male perché la propria persona, a causa delle sue caratteristiche intrinseche e per periodi più o meno lunghi, non riesce a rispondere in modo adeguato a determinate richieste che il soggetto fa a se stesso e non è in grado di modificare quello che di se stesso e del proprio modo di vivere non è ritenuto adeguato.

Le principali fonti di sofferenza di un soggetto possono essere così riassunte:

Bassa stima di sé. Tipica, nella sua accezione clinica, del soggetto depresso, è propria anche di persone educate secondo principi rigidi e con standard di rendimento elevati.

Ansia e angoscia. Caratterizzano quelle persone, probabilmente una larga fascia di popolazione, che vivono in modo esageratamente apprensivo la maggior parte dei fatti quotidiani.

Sentimento di limitazione o perdita della libertà. L’individuo si sente costretto nel proprio modo di essere, o dal proprio ambiente, in modo tale da non poter vivere in autonomia secondo le proprie aspettative o desideri.

Sentimento di inutilità di se stesso e della propria esistenza. Tipico dei soggetti maggiormente dotati di capacità introspettive.

Sensi di colpa. Propri degli individui con una coscienza morale molto sviluppata.

 

Queste possibili fonti di sofferenza non insorgono, generalmente, a seguito di difficoltà contingenti, quali problemi affettivi, economici o lavorativi, ma sono strettamente connessi con le caratteristiche di personalità del soggetto e con l’educazione ricevuta durante l’infanzia e l’adolescenza. Esse non compromettono la capacità del soggetto di stare nel mondo, ma condizionano pesantemente lo stare con se stessi. Spesso non sono percepite dall’esterno e non vengono comunicate. Si manifestano in modo più esasperato in presenza di contingenze sfavorevoli, tali da mettere l’individuo di fronte a quelli che considera i propri limiti o difetti.

Sofferenze psicologiche di significato clinico

Il lavoro del medico, e quello dello psichiatra in particolare, è finalizzato a individuare, diagnosticare e successivamente curare una condizione patologica che rappresenta :

una alterazione del funzionamento fisiologico dell’individuo

una possibile minaccia per la sua integrità psicofisica

assai spesso una condizione che genera e mantiene nel tempo uno stato di sofferenza.

Nel lavoro dello psichiatra, uno degli aspetti centrali è rappresentato dal confine tra normale e patologico.

Le principali dimensioni della norma su cui basare i criteri per il confine tra normalità e patologia sono qui di seguito accennati:

 

Quest’ultimo criterio rappresenta il terreno principale del lavoro dello psichiatra.

E’ innanzitutto il criterio che attraversa la psichiatria in tutta la sua evoluzione storica, ed ha il suo perno centrale sull’esperienza soggettiva del paziente, sui suoi pensieri e sulle sue emozioni, nonché sulla capacità del medico di coglierli e comprenderli.

Le patologie psichiatriche sono quasi sempre legate a una condizione di sofferenza. La sofferenza psichica del soggetto è il risultato dei suoi pensieri e delle sue emozioni, più o meno transitori o permanenti, ed ha quattro caratteristiche principali:

 

Uno stato di sofferenza soggettiva, “lo stare male”, anche se non spontaneamente riferito a livello verbale

Una riduzione o perdita della libertà sui propri pensieri e sulle proprie azioni

Una alterazione del proprio progetto di esistenza e della capacità di progettare il proprio futuro

Una alterazione, riduzione o annullamento della volontà.

 

In presenza di una condizione di sofferenza individuale, si confrontano il punto di vista del paziente e quello del medico.

Punto di vista del paziente

Il paziente è portatore dei suoi vissuti, vale a dire di un insieme di esperienze interne che connotano, in modo transitorio o permanente, il suo essere nel mondo, e che sono associati a:

una sofferenza più o meno accentuata

un senso di perdita delle normali capacità, emozioni, convinzioni, più o meno marcata

una consapevolezza di malattia più o meno adeguata che determina

desiderio o meno di essere aiutato

 

Punto di vista dello psichiatra

Di fronte al paziente che soffre, lo psichiatra si propone di:

Ascoltare il paziente in modo partecipe, al fine di cercare di entrare nel suo mondo caratterizzato da pensieri, emozioni, bisogni

Osservare il paziente rispetto a:

i suoi comportamenti

il suo adattamento sociale

 

 

I vissuti del paziente si potranno distinguere in

Vissuti comprensibili

Vissuti incomprensibili.

 

1) Vissuti comprensibili

Si tratta di convinzioni ed emozioni che, pur legate a uno stato di sofferenza anche elevato, sono intelligibili sulla base della condizione premorbosa del paziente, la sua storia individuale e familiare, gli eventi caratterizzanti la sua vita e che eventualmente hanno preceduto l’insorgenza della condizione morbosa.

Tali vissuti caratterizzano condizioni morbose che si associano a:

 

a) consapevolezza di malattia adeguata

b)desiderio di essere ascoltati e successivamente curati

c) conservazione dell’identità personale e del proprio sistema

di convinzioni

 

Esempio di quadri clinici caratterizzati da vissuti comprensibili sono:

i disturbi d’ansia

i disturbi depressivi

i disturbi del comportamento alimentare meno gravi

 

2) Vissuti incomprensibili

Si tratta di convinzioni e emozioni che, spesso associate a comportamenti insoliti o francamenti bizzarri, determinano uno stato di sofferenza elevato e che rappresentano una frattura nella continuità dell’esistenza dell’individuo.Non sono comprensibili sulla base delle caratteristiche premorbose del soggetto, della sua storia individuale o familiare, di eventuali eventi significativi insorti prima dell’inizio della condizione morbosa.

I vissuti incomprensibili caratterizzano condizioni morbose che si associano a:

scarsa o assente consapevolezza di malattia

poca disponibilità a essere curati e talvolta anche ad essere ascoltati

profondo cambiamento rispetto all’identità personale e al proprio sistema di convinzioni, che spesso diventa non condivisibile con i membri della propria famiglia o del proprio ambiente sociale.

Esempi di quadri clinici caratterizzati da vissuti non comprensibili sono:

le psicosi dello spettro schizofrenico

gli stati maniacali

le forme più gravi di anoressia nervosa

 

Esempi di sofferenza

Lutto

Il termine lutto indica la reazione alla morte di una persona cara, in genere un genitore, un figlio o il coniuge. Si tratta di una risposta a un grave evento di perdita che, pur avendo un significato soggettivo catastrofico e determinando livelli di sofferenza spesso molto elevati, viene vissuto dal soggetto colpito dal lutto e considerato da chi gli è vicino, come un’esperienza fisiologica.

Benché diversi fattori individuali e ambientali possano influenzare la reazione al lutto, questo abitualmente evolve in tre fasi ben individuabili in tutti gli individui. La prima, dello “shock”, può durare da alcuni minuti a qualche settimana, ed è dominata dall’incredulità, dalla negazione e dalla confusione.

La seconda, del dolore acuto, si protrae per settimane o mesi ed è caratterizzata dalla ricerca della persona amata, dalla rievocazione e da sentimenti di intensa nostalgia. In questo periodo sono comuni i malesseri fisici (mancanza d’aria, vuoto allo stomaco, sensazione di debolezza, tensione muscolare), l’isolamento sociale, la perdita di interessi, le ruminazioni sull’evento, le idee di colpa, l’irritabilità, i sentimenti di rabbia verso se stessi o il defunto, gli atteggiamenti rivendicativi, ad esempio verso i medici.

Nell’ultima fase, detta della “risoluzione”, che può richiedere mesi o anni, il soggetto prende atto dell’ineluttabilità del decesso per cui ritorna alle proprie attività, riacquista il proprio ruolo nella società, ricompaiono gli interessi, sviluppa nuove relazioni.

Nelle società occidentali sono generalmente sufficienti 6-12 mesi per il compimento dell’intero processo, ma in alcuni soggetti possono occorrere due o più anni oppure si può assistere a una risoluzione incompleta.

Tale reazione si verifica generalmente con le modalità prima descritte, in soggetti anche assai diversi tra di loro, ricalcando un percorso da considerarsi adattativo e finalizzato a un recupero del funzionamento psicologico e relazionale il più possibile vicino a quello che era presente prima dell’evento luttuoso.

E’ come se la natura avesse previsto un programma finalizzato a far vivere, elaborare ed esprimere il dolore con precise finalità adattative; per superare il momento della perdita e creare le premesse per l’instaurarsi di nuovi legami sembra che sia necessario un processo articolato in più fasi, ciascuna delle quali è di preparazione alla successiva e rappresenta il compimento della precedente.

L’osservatore esterno, sia esso un parente, un amico, un medico,

è portato a considerare il soggetto che sta vivendo il periodo del lutto come una persona del tutto normale. Anzi, spesso viene considerato atipico colui il quale reagisce a una grave perdita in un modo diverso da quello classicamente considerato. Quindi la presenza di sintomi psicologici e fisici sicuramente importanti (dolore, assenza di appetito, insonnia, assenza dal lavoro etc), in quanto riconducibili a un evento specifico comprensibile, fanno si che il soggetto colpito dal lutto non venga considerato un malato, seppure gravemente sofferente.

 

Depressione maggiore

 

Al pari della reazione da lutto, anche la depressione maggiore condivide quale sintomo fondamentale la profonda tristezza, un umore profondamente depresso, che genera intensi stati di sofferenza prolungata. La sintomatologia tipica di una depressone maggiore si caratterizza per una varietà di sintomi che insorgono a ciel sereno, vale a dire in assenza di un evento scatenante che “giustifichi” la presenza di tale quadro clinico. Può avere un esordio acuto o graduale, e nella fase di stato si caratterizza per la presenza di un umore gravemente depresso per la maggior parte della giornata, perdita di interesse per le attività normalmente fonte di piacere, idee di colpa, indegnità, inutilità, alterazione dell’appetito e del sonno, assenza di desiderio sessuale, diminuzione della capacità di riflettere e concentrarsi, incapacità a decidere, compromissione del funzionamento familiare, sociale e lavorativo, faticabilità marcata, visione drammatica del futuro, idee di morte e, talvolta, comparsa di propositi suicidiari.

Tale quadro clinico condivide con il lutto numerosi aspetti sintomatologici, ma viene vissuto dal paziente e da chi lo conosce in modo completamente differente rispetto alla reazione nei confronti della perdita della persona amata.

Il paziente si sente colpevole per il fatto di stare male e, conseguentemente, di non riuscire a vivere come precedentemente all’insorgenza della depressione. Soffre in solitudine e parla con vergogna della propria sofferenza in quanto non riesce a giustificarne l’insorgenza. Appare oppresso da sensi di colpa, che sono sia legati alle caratteristiche nucleari della malattia, sia alle conseguenza affettive, lavorative e relazionali della stessa. Inevitabilmente la solitudine che caratterizza le sue giornate accresce la sua sofferenza e riduce ulteriormente la sua voglia di stare al mondo.

Le persone vicine a un grave depresso, la cui malattia sia insorta senza una causa scatenante riconosciuta, in un primo tempo percepiscono la sofferenza del paziente, nei confronti del quale provano simpatia e preoccupazione. In seguito, prendendo atto della cronicizzazione di una condizione morbosa dalle rilevanti implicazioni affettive e lavorative, tendono ad alternare compassione a irritazione, associata a consigli dettati da una logica secondo la quale la volontà riesce a sovvertire anche condizioni così pesanti e gravi. Solo una minoranza di soggetti si rivolge al medico, e spesso lo fa con vergogna o quantomeno con riluttanza. A differenza del cardiopatico o del soggetto andato incontro a una frattura di un osso, il soggetto depresso e i suoi congiunti provano imbarazzo se non vergogna a parlare di un problema che, nonostante sia legato a uno stato biologico, viene vissuto come una colpa più che come un problema che richiede aiuto. Tutto questo esaspera la sofferenza.

Deve essere sottolineato come il lutto e la depressione maggiore, pur presentando molti sintomi a comune, vengano vissuti in modo assai diverso sia dal paziente che dai suoi congiunti. Tale differenza è riconducibile al concetto di “giustificato” o “non giustificato”, “motivato” o “immotivato”, e contengono implicitamente un giudizio e una valutazione di permesso o non permesso. Se è morta tua madre è naturale che tu non vada a lavorare; se tu non vai al lavoro perché sei molto triste “anche se hai tutto e non è successo niente di particolare” diventi sostanzialmente colpevole per il fatto stesso che stai male.

 

Anoressia Nervosa

E un disturbo del comportamento alimentare che colpisce preferenzialmente femmine adolescenti, e la cui prevalenza è in aumento.

Si caratterizza per un quadro clinico che, nelle forme meno gravi, presenta sintomi legati a una insoddisfazione per il proprio corpo e la propria persona, che sono presenti in forma più sfumata in una larga parte di adolescenti; nelle forme più gravi presenta sintomi che denotano una grave compromissione del modo di considerare il proprio corpo e la propria stima di sé.

La modalità di esordio è graduale: la ragazza, spesso realmente sovrappeso, intraprende una dieta per perdere i chili in eccesso; altre volta comincia a ridurre l’introduzione di cibo lamentando difficoltà digestive o una perdita di appetito.Il dimagrimento contrasta con il dinamismo e l’intensa attività fisica dell’anoressica, associata alla minimizzazione dell’esistenza di un problema fisico, nonostante che nel frattempo sia scomparso il ciclo mestruale e la trasformazione del proprio corpo.

Se il desiderio di essere magri è oramai condiviso da larghi strati della popolazione, specialmente se adolescenti o giovani adulti, il persistere nel desiderio di perdere peso nonostante il deperimento organico ingravescente e il fatto di percepire visivamente il proprio corpo come grasso, flaccido o enorme nonostante la magrezza estrema rappresenta il salto di qualità verso una patologia che, a questi livelli, si caratterizza per delle alterazione delle percezioni del proprio corpo e del modo di considerare se stessa di natura tale da alterare pesantemente il rapporto con la propria persona e la capacità di stare al mondo in modo autonomo. Il vivere in funzione della correzione di deformità somatiche inesistenti, il considerare la magrezza come un valore irrinunciabile, comporta un progressivo isolamento sociale, una compromissione delle attività lavorative e relazionali, un restringimento degli interessi e dei desideri a una sfera sempre più personale e meno condivisibile.

Questa patologia rappresenta quindi un esempio di come i vissuti di una persona sofferente possano essere in una prima fase compresi e anche condivisi, ma qualora la patologia evolva verso una forma di emaciazione, questa rappresenti l’espressione di pensieri e emozioni che risultano non legati ad un adeguato esame della propria realtà fisica, ma che esprimono una frattura fra il dato di realtà, il modo con cui questa viene vissuta e i comportamenti conseguenti.

L’osservatore, sia esso un parente, un amico o un medico, avrà delle preoccupazioni, se non delle vere e proprie angoscie, dovute a una condizione clinica, la grave magrezza, che è perseguita con estrema determinazione dalla paziente. Al tempo stesso tale magrezza non è riconosciuta dalla paziente, la quale pur essendo estremamente magra continuerà a vedere il proprio corpo come grasso e deforme. La sua sofferenza appare quindi non solo non condivisibile e non comprensibile, ma anche determinata da criteri percettivi del tutto distorti. Di conseguenza, aiutare una persona che soffre a causa di tali distorsioni legate al proprio corpo è compito assai difficile.

 

Conclusioni.

Questa breve presentazione ha voluto lanciare uno sguardo sulla sofferenza psichica, la quale può presentarsi con molteplici caratteristiche, sia che questa rappresenti un transitorio momento di malessere esistenziale, sia che venga espressa da una grave alterazione dei propri vissuti, che rendono lo stare nel mondo estremamente complicato e sofferto. In ogni caso, di fronte a una persona che soffre, è necessario essere disposti ad ascoltare per cercare di capire la natura del suo disagio e le eventuali motivazioni che ne sono alla radice. In assenza di tale disponibilità, o peggio ancora in presenza di una tendenza al giudizio sommario e frettoloso, si rischia di aggravare una delle caratteristiche universali delle persone che soffrono psicologicamente, vale a dire la solitudine.

 

 

Lezioni di Russo

L’Associazione “Il Sassolino Bianco”, che promuove iniziative a favore dell’infanzia abbandonata e dell’adozione internazionale, per sostenersi propone per il 2004 un Corso di Lingua Russa seguito dalla prof. Laura Micheletti Rostagno.

In Via Manzoni 21, presso il Centro Comunitario Valdese. tutti i lunedì dalle 20.00 alle 21.30 a partire dal 9 febbraio 2004 fino a giugno. Iscrizioni presso la Segreteria del Sassolino: Tel. 055 2346933.

 

Preghiera per la pace

di Piera Egidi Bouchard

Occidente compiaciuto e pasciuto
li hai mai visti gli occhi di quei bambini?
che fioriscono come stelle del cielo
che ridono come oscuri fiordalisi.
Tu che tieni i pargoli come gingilli
e veneri la maternità come una dea.
Bambini nel sangue e nel fango
bambini tra le mosche e i fetori
bambini sotto un cielo di bombe
sotto il sangue dal cielo.
Cielo stellato che noi violentiamo
il cielo delle albe che noi laceriamo
urlando la nostra primaria violenza
il nostro livido e bianco dominio.
Signore, stendi la tua mano
la tua mano possente sui loro occhi
che non vedano, che non sentano
che passi oltre l’uragano di morte
che l’ombra si allontani
e la spada degli avvoltoi d’acciaio.

Liberali, liberaci,
che possano crescere in pace
e nella pace fiorire
e divenire donne e uomini insieme
per coltivare
il tuo giardino di miele
e rendere irrigui i loro deserti
e divenire sposi sotto un baldacchino di gigli
e insieme cantare il nostro cantico antico;
il Signore è uno solo, della terra e dei cieli
con nomi diversi invocato.
Oh sorelle, fratelli dimoriamo
abbracciati nella pace insieme. Amen.

 

Piera Egidi Bouchard

Pace, giustizia e dialogo

nella tradizione ebraica.

di Rav Joseph Levi

La pace interna ed esterna è l ‘aspirazione più profonda di ogni credente. Ognuno di noi, a qualunque religione e fede appartenga, cerca la pace con se stesso e con il proprio D-O, con il mondo e la società.

La pace è la più nobile aspirazione dell'uomo. Essa è il risultato di un lungo viaggio interno, di una ricerca a relazionarsi meglio con il mondo esterno, per avvicinare noi stessi e gli altri a distinguere fra i movimenti degli accidenti, che passano, che ci sfuggono sulle onde della vita reale e le eterne onde del mare e della terra dalle quali siamo venuti e alle quali torneremo.

Che cosa ci insegnano la Torà e la tradizione, che cosa ci insegnano i nostri saggi che hanno meditato a lungo sulla realtà umana e sulla nostra vita quaggiù, a questo proposito?

Quali sono le loro conclusioni sul relazionarsi a noi stessi, alle nostre passioni, alle nostre onde di emotività, di invidia, di competizione o di rabbia?

Che cosa ci insegnano sul nostro rapporto fra la nostra vita e salute individuale e la vita sociale, sulla storia, sull'umanità?

Interrogarsi sulla pace e sul dialogo significa interrogarsi sulla storia dell'umanità, sul significato dei rapporti umani, sulla storia e la fenomenologia delle religioni, sui fondamenti reali psicoantropologici della natura umana ed il suo rapporto con la natura, la sua capacità di relazionarsi con quello che è all'origine e al di fuori di noi, con la divinità.

L ‘ebraismo e la Torà ci insegnano a non sperimentare la nostra vita in isolamento, a non cercare solo una salvezza personale idiosincretica, attraverso un rapporto individuale con il divino. La nostra pace e la nostra salvezza non possono essere complete se la nostra famiglia, la nostra società, le altre nazioni non sono anche loro sul camino della giustizia e della pace.

La costruzione del mondo, della storia e della società affidata a Adamo, è stata affidata all'umanità intera.

Ecco perché giustizia e via retta, misericordia e pace sono così intimamente legate. La nostra crescita personale, l'elaborazione e costruzione dell' immagine divina che è in noi, come la nostra giù grande, più bella e più forte potenzialità, si elabora e si costruisce attraverso la nostra consapevolezza, che non solo il divino si specchia in noi, nel nostro animo, ma anche che tutto il sociale, i rapporti reali fra gli uomini e le nazioni che ci circondano, si specchiano in noi, ed è la fiamma divina che è in noi che può altrettanto rispecchiarsi, illuminare, indirizzare il mondo intero e la società.

Le mitzvot, i precetti, sono gli strumenti che ci ha offerto la Torà, per poter costruire in noi, nel mondo della natura e nella società, un rapporto di rispetto, di armonia e di giustizia che come dice Isaia, costituisce la via, la strada nel deserto, che ci porta verso 1 ‘armonia e la pace, che induce in noi la presenza divina. “ Is. 40,1 : Sgomberate la via del Signore nel deserto, spianate nella pianura la strada per il nostro D-o, ogni valle s‘innalzerà ogni monte ed ogni altura si abbasseranno, quel che era ondulato diverrà piano, le catene dei monti faranno luogo a distesa piana si manifesterà la gloria del Signore e tutti gli esseri viventi insieme vedranno che la bocca del Signore ha parlato.”

 

Cosi dicano i profeti: Zaccaria, 8,16-17. “Però queste sono le cose che dovrete fare esprimètevi vicendevolmente con verità, giudicate secondo verità e giustizia, che recano la pace, non alberghino nel vostro cuore sentimenti malevoli verso il vostro prossimo, non amate il giuramento falso perché queste sono tutte cose che Io odio, dice il Signore”

E poi ancora il salmista: “Per Salomone o D-o concedi al re la conoscenza delle tue leggi ed instilla il tuo senso di giustizia nel figlio del re sicché egli possa giudicare i popoli con giustizia ed i tuoi poveri con rettitudine. Portino i monti pace al popolo e le colline siano coperte di giustizia, faccia giustizia ai poveri del popolo. Salva i figli del misero ed umilia l‘oppressore, ti temeranno o re finché dureranno sole e luna per generazioni infinite. . Il giusto fiorirà i suoi giorni e molta sarà la pace. ... “Salmo 72. 1-7.

E poi ancora a proposito di Davide e Salomone in Cronache (1, 22 7-10) E disse Davide a Salomone” O figlio mio io avevo pensato di edificare una casa dedicata al Signore D-o mio, ma la parola del Signore mi fu rivolta in questi termini, tu hai versato molto sangue ed hai fatto molte guerre perciò non potrai edificare la casa dedicata al mio nome, proprio perché hai versato molto sangue sulla terra davanti a me ecco che ti nascerà un figlio che sarà un uomo di pace Ed Io darò la pace fra lui ed i suoi nemici attorno, egli si chiamerà Salomone ed Io darò pace e tranquillità ad Israele.durante la sua vita, sarà lui che costruirà una casa dedicata al mio nome..”

Dice l'antico~Midrash: diceva rabbi Yehuda "Grande è la pace, senza il dono della pace voluto dal Signore, la spada e gli animali selvatici distruggerebbero la terra intera".

 

Rabbi Simeon soleva dire: "Su tre pilastri si fonda il mondo: sulla giustizia, sulla verità e sulla pace. Se voi direte, ecco il cibo, ecco il bere, (che cosa ci manca?) se non c'è la pace, nulla c’è:

 

Disse Rabbi Yosuè: Grande è la pace, il nome del D-O benedetto santo è pace”

 

Quali sono le cose delle quali 1‘uomo può avere meriti in questo mondo e nel mondo a venire: portare la pace fra 1‘uomo ed il suo compagno, fra moglie e marito.

 

Diceva Rabbi Yohanan figlio di Zakai: Pietre intatte userai per costruire il tempio di D-O. Pietre che non hanno toccato metallo (da cui si costruisce la spada) che portano la pace fra Israel ed il Signore. Se le pietre intatte possono portare la riconciliazione fra Israele ed il Padre celeste, altrettanto a un uomo che porta la pace fra marito e moglie, fra una famiglia ed un’altra, fra una città ed un’altra, fra un paese ed un altro, fra una nazione ed un’altra, è assicurata la benedizione del Signore.

 

Infine Filone ci dice: "Quello che il profeta Mosè voleva raggiungere con la sua legislatura era: pace ed amicizia, responsabilità pubblica, giusta conoscenza delle cose ed un carattere armonioso, qualità con cui possono raggiungere la felicità.

 

Se nella tradizione ebraica e rabbinica la pace è uno dei nomi o meglio ancora degli attributi divini e quindi 1’armonia alla quale aspiriamo, se in rispetto a ciò che afferma la tradizione rabbinica antica, il salutare con pace ogni persona ed ogni creatura, mattina e sera, è il nostro dovere, se la pace è considerata lo strumento più benevolo che il Signore ha voluto creare, è perché attraverso questa armonia e questa pace avremo la possibilità di realizzare e di condurre la società ed il mondo intero verso la loro ultima ed unica realizzazione: un mondo ed una società piena di giustizia e di libertà. Infatti la storia dell’umanità e la realizzazione del suo punto d‘arrivo non sono distaccati dal percorso che la persona privata, l‘individuo, può e deve fare in questo mondo.

“Non è un tuo obbligo finire la costruzione del mondo”, dice il saggio rabbinico nelle Massime dei Padri, “ma non puoi neanche sentirti esentato da questo dovere, che ti compete fino all‘infinito.”

L ‘uomo retto e giusto, 1‘uomo saggio, riesce a collegarsi con la divinità attraverso il suo inserimento nella strada infinita che conduce l‘uomo verso la costruzione di un mondo ad immagine della divinità.

L ‘ebreo quindi non si dispera mai, non perde mai la speranza ed il senso del dovere, di creare una società giusta, sana, umana, armoniosa, ad immagine di D-O. E' lui il custode del mondo reale, della natura e della società, fuori e dopo 1’Eden, ed è lui che è stato investito del dovere di condurre il mondo verso il suo ultimo obiettivo, il più vicino al mondo dell‘Eden, un mondo giusto e misericordioso come dice Isaia (Is. 11, 1-5) : ”Uscirà un ramo dal tronco di Ishai ed un rampollo spunterà dalle sue radici e si poserà su di lui lo spirito del Signore, spirito di sapienza e di discernimento, spirito di consiglio e di potenza..."

Alla costruzione di un tale mondo non si arriva con la forza, militare, statale o imperiale, ma attraverso la diffusione delle qualità umane più profonde che sono in noi.

Così ebrei e cristiani hanno voluto sfidare la corrotta visione umana, sociale, militare e politica dell’ impero romano. Ebrei e cristiani hanno condiviso nei primi due secoli della e.v. gli stessi valori etici sociali, gli stessi valori umani e la stessa visione del profondo valore dell‘uomo, la creatura beata da D-O, 1’essere creato a Sua immagine: hanno condiviso le stesse sfide alla prepotenza del sistema imperiale romano. Solo la volontà degli imperatori di distinguere fra ebrei e cristiani, fra antichi e nuovi, per meglio affrontare la nuova consapevolezza e cultura religiosa ed umana, che si diffondeva velocemente nei ceti popolari e in quelli più alti della società romana, ha portato nel terzo secolo la rivalità e 1’odio fra i figli di una stessa sensibilità umana.

E’ la sfida, è l‘invidia del potere, che ci divide ancora, ebrei e cristiani, sopraffatti per secoli dalla forza e dal fascino del potere dell‘impero romano.

 

Permettetemi di portarvi, dopo questa lunga introduzione, alcune parole ed alcuni detti dei nostri avi farisei, e poi ancora le parole di un grande pensatore ebreo del novecento Leo Baeck.direttore del Collegio rabbinico a Berlino fra le due guerre. Alla fine della prima guerra mondiale, polemizzando con uno scritto di Theodor Lessing sulla storia come tentativo di dare un significato a ciò che è privo di significato, ci dice Leo Baeck:

 

"Non è possibile per noi concepire l‘idea della storia senza cercare di capire la visione storica. Se 1’essenza di tutte le nostre azioni è la legge ed il nomos che si realizzerà in esse, allora è logico aspettarsi che prima ancora della speranza e della fine, si manifesterà e si eleverà una realtà alla quale aspirano tutti i tempi, e nella quale questo profondo nomos si manifesterà.. . nella speranza dell‘uomo nel futuro si manifesta tutto il significato della storia ... solo ciò che contiene la giustizia è la vera storia. In verità esiste un solo futuro, il

futuro del bene e della giustizia.

Il precetto divino e la giustizia uniscono. Uniscono le persone e le nazioni con un unico precetto con un’unica giustizia, con una unica morale, in una conoscenza di un solo D-O. Così formano un‘umanità unità. Ciò che separa e distingue passa e non ha esistenza, ciò che unisce esiste ed è vero. Perciò è possibile solo quel futuro nel quale esisterà una sola umanità, unita nel precetto divino. Il futuro è il tempo della riconciliazione.”

 

Ogni nazione è capace di scegliere la via del futuro, ad ogni nazione è aperta la strada della teshuvà, anche se ha fatto delle scelte sbagliate, avrà ancora a disposizione un lungo periodo, fino alla fine dei giorni, e potrà quindi trovare salvezza, riscoprire se stessa, rinascere. Solo così potrà dare un significato alla propria storia, un valore al proprio futuro. Anche in questo senso il futuro dell‘umanità risiede nella riconciliazione.

Per segnalare questa riconciliazione, questa percezione della storia e del suo futuro, la Bibbia ha coniato la parola Shalom. La Torà non intende segnalare qualcosa di sentimentale, che si estingue in una visione astratta. La pace, della quale parlano i profeti, include un dovere ed un indirizzo morale, ed indica una strada che 1‘uomo deve seguire, una strada da costruire.

L ‘uomo che conosce il Signore e segue i suoi precetti, avrà la possibilità di godere la pace. Ogni aspirazione al potere fa di chi la cerca un essere errante (come Caino), ma colui che invece cerca la giustizia, trova serenità e sicurezza.

Dove c‘è pace, egli si sente realizzato e trova 1 ‘adempimento ad un precetto divino. Il mondo della pace è il territorio nel quale il bene realizza se stesso e l‘uomo gode della vicinanza di D-O. Questa sicurezza nel futuro è il dono che la Torà ha voluto dare all‘umanità intera e della quale si nutrono tutte le speranze umane.

 

E questo era per i profeti d‘Israele anche 1’ immagine del futuro del popolo. In mezzo alle speranze dell‘umanità risiede anche la speranza d ‘Israele e la sua consolazione, la salvezza del genere umano intero che apparirà da Sion. L ‘umanità intera si riunirà sotto le ali dell'unico D-o che si è espresso per la prima volta in Israele: “Perché la mia casa si chiamerà una casa di preghiera per tutti i popoli”.

Se per Leo Baeck la salvezza è soprattutto nella dimensione storico-collettiva, noi abbiamo voluto ricordare che, anche per 1’ individuo, anche per la salvezza personale intima, la via verso il Signore passa attraverso questa capacità di collegarsi alla ricerca del bene e della pace, del sentirsi responsabile per 1‘umanità intera. Ed è in questo continuo divenire, dell‘uomo e della società, questa continua riscoperta e ricostruzione dell‘immagine divina, che risiede nel nostro profondo essere, nel profondo sé, che ci dà la capacità di essere fra i discepoli di Aaron: amanti della pace e costruttori della pace, amanti della specie umana e di ogni persona, giudicandola per il lato buono, avvicinandola alla Torà.

Che sia volontà del Signore che anche noi ebrei e cristiani, ci libereremo della rivalità e dell’odio che ha voluto infliggere in noi, figli di Abramo venuto dal lontano oriente, il potere dell’ impero romano.

 

Preghiera nella Settimana Ecumenica

di Ignazio David Buttitta

 

Padre, ancora una volta ci rivolgiamo a Te,
per chiederti di intervenire presso di noi
per risolvere i nostri problemi.
Uomini e donne che ci diciamo "fedeli"
ti chiediamo di fare cose
che avremmo potuto compiere da soli,
seguendo la tua Parola
che ci propone mille consigli.
In questa settimana poi ti chiediamo con forza
di far pace con Te,
di far pace con noi stessi
di far pace con il prossimo.
A noi che abbiamo il cuore indurito
e l'orecchio tappato
non ci è bastata neanche la pace
che tuo Figlio ci ha regalato,
Eppure, nonostante noi, Tu Padre nostro
hai soffiato potente il tuo Spirito...
Nonostante che non siamo stati buoni testimoni,
nonostante che non siamo riusciti
a fermare le guerre, le carestie, la fame,
la malattia, la morte cruenta, la desolazione e l'odio,
Tu continui "fedele" al tuo patto con l'umanità
a soffiare potente il tuo Spirito.
Continua a farlo, Signore!
In questa settimana poi
che invochiamo l'unità dei credenti,
spogliaci delle nostre sicurezze ecclesiali
fatte di dogmi, di tradizioni, di autoreferenzialità
e facci riscoprire che siamo tutti
figli della tua Parola che si è fatta carne
per noi in Gesù Cristo.
Signore, forse l'unica cosa in particolare
che potremmo chiederti è
il dono dell'accoglienza.
Accogliere le persone che
hanno bisogno d'amore come fratelli,
accogliere i piccoli come padri e madri,
accogliere i vecchi come figli,
accogliere i diversi senza essere giudici,
accogliere tutti per quello che sono.
Ma soprattutto insegnaci
ad accogliere nel profondo
del nostro cuore e della nostra mente
la promessa, la speranza tangibile e concreta
che il tuo Regno è vicino,
anzi è alle porte.
L'alba del regno di Dio già s'intravede.
Facci andare nelle strade e nelle piazze,
fra l'umanità incredula e senza speranza,
a raccontare questa buona notizia. Amen

 


Falò del 17 Febbraio

Festa della Libertà

A Casa Cares sabato 14 alle 17: incontro con Paolo Naso, direttore della Rivista Confronti; cena a cura del Cares (si può fare un’offerta) e falò con canti intorno al fuoco.

A Greve in Chianti (Montefioralle) sempre sabato 14 febbraio, località “I Quattro Venti” insieme ai giovani di Siena e alla past. Milena Martinat, nella campagna del dr. Marco Santini a partire dalle ore 20; dopo il falò si terrà un’agape alla quale si può partecipare, portando qualcosa. Per informazioni telefonare direttamente al dr. Santini: 335 335000.

 

Il naso fra i libri

a cura di Sara Pasqui Rivedi

 

Asne Seierstad

Il libraio di Kabul

Ed. Sonzogno 2003 17€

 

Cenni biografici: A.S. nata nel 1970 in Norvegia è forse la più giovane, ma anche la più apprezzata corrispondente di guerra in Europa. Laureata in russo, spagnolo e storia del pensiero filosofico all’Università di Oslo, parla correttamente cinque lingue. Per i suoi reportage di guerra dal Kosovo, dalla Cecenia e dall’Afghanistan ha ricevuto numerosi riconoscimenti nazionali ed internazionali, fra i quali il prestigioso Free Speach Award nel 2002 come miglior reporter di guerra. Attualmente è inviata di guerra a Baghdad per diversi giornali scandinavi. Il libraio di Kabul ha riscosso un tale successo in Norvegia da essere eletto libro dell’anno. Pubblicato in Italia presso Sonzogno nell’aprile 2003, già nel mese di maggio ne usciva la seconda edizione. In settembre A.S. ha partecipato al Festival Letteratura di Mantova.

 

Il libraio di Kabul

A.S. scrive a Kabul nel novembre 2002 dopo un periodo avventuro e rischioso trascorso al seguito dei comandanti dell’Alleanza del Nord. Un giorno, percorrendo le strade della città semidistrutta, s’imbatte con gioia e stupore, in una libreria dagli scaffali sovraccarichi di libri, entra, ne acquista alcuni e soprattutto fa conoscenza con il proprietario Sultan Khan, un garbato e cortese signore afgano con il quale s’intrattiene a parlare di storia e letteratura: una boccata d’aria fresca e vivificatrice dopo aver sentito parlare per lungo tempo solo di tattiche militari, attacchi, scontri e agguati !

La giovane giornalista compiaciuta, ma anche meravigliata della vasta conoscenza del libraio, tornerà speso nella libreria spinta dal desiderio di sottrarsi allo scenario di guerra e di distruzione in cui vive quotidianamente e di ritrovare la sua identità spirituale e culturale sfogliando volumi, soffermandosi a leggere poesie e leggende afgane ed intrattenendosi con piacere a colloquio con il gentile proprietario che ama conversare rivelando la sua grande passione per i libri che acquista, vende, scambia e fa anche stampare. L’uomo soffre per le vicende politiche che travagliano il suo paese da troppo tempo e narra alla giovane donna gli avvenimenti più tragici della sua vita: l’arresto da parte dei Talebani, la libreria saccheggiata e devastata, i libri tanto amati dati alle fiamme. Ma la giornalista avverte nell’uomo anche l’orgoglio di essere ricco, stimato, temuto e soprattutto capo assoluto ed indiscutibile di una numerosa famiglia.

A.S. dopo un invito a cena a casa di Sultan Khan dove incontra mogli, figli, figlie, madre, sorella, capisce di essere entrata in contatto con il vero Afghanistan, con la realtà afghana e decide di narrare in un libro la vita e le vicende di questa famiglia, ma la sua realizzazione richiede di vivere un po’ di tempo nella casa del libraio, insieme ai suoi familiari secondo il loro costume e la loro tradizione. Quando la giornalista espone il suo progetto Sultan si esprimerà con una sola breve parola “Benvenuta”.

Così la giovane donna occidentale, durante la primavera del 2002, vivrà un’esperienza unica e straordinaria condividendo tutto con la famiglia del libraio di cui diventerà “la figlia bionda”.

Il libro scritto in forma narrativa si basa su episodi veri, vissuti dalla donna oppure narrati a lei dai vari membri, anche i pensieri, i sentimenti, le aspirazioni, le frustrazioni che emergono non sono supposti, inventati o immaginati, ma confidati dalle persone che le vivono accanto e di cui si guadagna la fiducia giorno dopo giorno. La lingua parlata è l’inglese, cosa eccezionale perché buona parte della popolazione afghana è analfabeta. D’altra parte non va dimenticato che A.S. vive questa esperienza in una famiglia che appartiene alla buona borghesia, dunque fruisce di alcuni privilegi sociali ed economici, per cui non è immersa nella miseria e nell’ignoranza così totali che ogni giorno rappresenta una sfida per la sopravvivenza, come accade alla gran parte della popolazione.

Procedendo nella lettura si delineano sempre più marcati i personaggi principali. Sultan padre padrone, despota assoluto con diritto di vita e di morte su tutti i membri della famiglia. Sharifa, insegnante

di persiano, la prima moglie, ormai emarginata, che si sente umiliata e offesa perché il marito si è scelta una seconda moglie, ignorante ma giovane e graziosa. Mansur, il figlio sedicenne, in piena ribellione adolescenziale, che aspira all’indipendenza e perciò mal sopporta l’autorità paterna, lotta fra il risveglio sessuale e il senso angoscioso del peccato che scaturisce dal suo credo religioso. Bibi Gul madre di Sultan e dunque la matriarca, esercita il suo potere sulla figlia Leila, ancora nubile. Quest’ultima è figura emblematica della condizione femminile afghana: corre tutto il giorno, dall’alba al tramonto, per accudire alle faccende domestiche, strapazzata e maltrattata da tutti, soprattutto da Mansur che la considera al pari di una serva.

Leila vorrebbe emanciparsi e cerca disperatamente, senza ottenerlo, un riconoscimento per insegnare. Alla caduta del governo talebano sarà la prima delle donne di casa a togliersi il burka, ma al tempo stesso resta legata alla tradizione e non avrà il coraggio di ribellarsi al sistema, si sposerà con un uomo ignorante che disprezza, ma che è stato scelto dalla famiglia.

L’autrice ha preferito usare degli pseudonimi invece dei nomi veri, anche se la famiglia di S.K. fraternizza ben presto con lei e l’accetta benevolmente. Il libro scritto con stile sobrio, conciso, asciutto è assai esauriente per riferimenti storici, geografici e politici e si sofferma accuratamente sugli usi, costumi, tradizioni, fede religiosa. Ampio spazio viene dato alla descrizione della condizione femminile da cui emerge che la donna è considerata sempre e solo come oggetto di scambio, piacere, sfruttamento, la sua volontà e le sue aspirazioni non sono tenute in alcun conto. Il burka non è solo parte dell’abbigliamento che copre il volto e la persona, ma soprattutto un simbolo di invisibilità e sottomissione.

 

Calendario di Febbraio

Sabato 7 febbraio in v. Manzoni alle ore 17 Conferenza del prof. Giorgio Spini su “Cultura Italiana e pensiero teologico protestante nel primo Novecento”, moderatore prof. Giorgio Vola.

 

Martedì 10 febbraio alla Claudiana: Dopo Lavoro Teologico sul libro di F. Ferrario alle 19.30.

 

Sabato 14 febbraio: falò a Casa Cares e a Greve in Chianti.

 

Domenica 15 febbraio: culto della Festa della Libertà (17 febbraio) a chiese riunite presso la Chiesa Valdese di via Micheli, con Cena del Signore, presiede il past. Bruno Rostagno.

 

Lunedì 23 febbraio incontro con un gruppo di giovani rioplatensi in visita in Italia, cena e dibattito in Via Manzoni a partire dalle 19.30.

 

Martedì 24 febbraio: incontro dei Predicatori Locali, lezione del past. R. Volpe su “Bibbia, attualità, linguaggio”.

 

Giovedì 26 febbraio in v. Manzoni alle 18 Laboratorio Biblico Ecumenico, su Abramo e Isacco.

 

Sabato 28 febbraio in v. Manzoni Conferenza del prof. Massimo Rubboli, docente di storia nordamericana all’Università di Genova, su “Le molte facce del Dio americano”.

 

6-7 marzo presso il Gould: 14° Convegno della Diaconia “Quale diaconia per quale chiesa?”, coi proff. Ermanno Genre, Paolo Ricca, il mod. Gianni Genre e molti altri.