PASQUA

di Oretta Nutini

Solo i discepoli, ora, sono insieme,

crocifisso è Gesù, non è con loro,

ma una voce li infiamma e scuote e preme

sommessa prima e poi si alza in coro:

“Le donne han detto che han trovato il foro

vuoto alla roccia dove fu sepolto,

neppure nella morte ebbe ristoro!

Chi fu che lo rubò? Chi ce l’ha tolto?”

Ognuno guarda all’altro ed è stravolto,

cercan di Gesù il corpo e nel dolore

ritrovan solo il lino in cui ravvolto

era il Cristo. Com’è turbato il cuore!

Ma sulla via di Emmaus il Signore

è apparso ai suoi discepoli che a torto

l’hanno ignorato; al desco il Redentore

s’è fatto riconoscere. “E’ risorto!”

Veramente è risorto e non è un morto,

non è vinto dal male, dalla croce,

è qui con noi come era al Tempio, all’Orto,

sempre ci farà udire la sua voce!

Il peccato dell’uomo, il male atroce

è stato vinto e fino alle più estreme

terre sia predicato e come foce

sia di speranza e grazia a chi ancor geme.

“Rivivano i tuoi morti..."

(Isaia 26, 19-21)

di Gianna Sciclone

 

"Quelli sono morti e non rivivranno più; sono ombre e non risorgeranno più; tu li hai così puniti, li hai distrutti, ne hai fatto perire ogni ricordo" (v.14): non sappiamo di chi stia parlando il profeta Isaia, ma comprendiamo che lui veda nell'oblio il giudizio inesorabile di Dio, che colpisce i suoi nemici. A questi contrappone al v.19 "i tuoi morti" che sono quelli che hanno confidato nel Signore, questi sono esortati a risorgere e rivivere (i termini greci della Settanta sono quelli usati anche per la risurrezione di Gesù). Per noi che apparteniamo, per chiamata di Dio e nostra timida risposta, ad un popolo martire come quello valdese queste parole sono cariche di significati. La storia umana ricorda quasi solo i vincitori e dominatori (Alessandro Magno, Giulio Cesare, Napoleone...) e dimentica le vittime, i popoli conquistati, i martiri delle infinite resistenze degli oppressi. Non così la storia dal punto di vista di Dio: "Quando i tuoi giudizi si compiono sulla terra, gli abitanti del mondo imparano la giustizia" (v.9). Con gravi ritardi, ma ogni tanto anche la storia umana fa un balzo in avanti nella comprensione della giustizia, quando legge nella caduta dei tiranni il compiersi dei "giudizi" di Dio.

Se ripensiamo alla storia valdese non possiamo parlare di un sentiero reso "perfettamente piano" (v.7) per i giusti, né che gli oppressi abbiano calpestato la polvere della "città superba" (v.5), ma ci basta vivere all'interno della supplica "Rivivano i tuoi morti... Svegliatevi ed esultate...La terra metterà allo scoperto il sangue che ha bevuto e non terrà più coperti gli uccisi". Il Crocifisso, unico ritornato in vita della nostra storia, traccia una via dove sono possibili il ricordo degli offesi e la loro esultanza per la liberazione iniziata.

Quali morti chiediamo che risorgano? Il Valdismo ha avuto diverse anime in più di 800 anni di storia: dal pauperismo di Valdès e dei poveri di Lione ai gruppi clandestini intorno a una Parola che si voleva proibita, ma che nessuno può incatenare; dal simpatizzare con le eresie libertarie (Fra Dolcino, la rivoluzione del Calice) alla disciplina delle chiese della Riforma; dal coraggio della resistenza alla persecuzione e al genocidio alla lotta per i diritti civili fino all'Emancipazione del 1848 che ricordiamo, come la Festa della Libertà religiosa per tutti; dal Risveglio, con la riscoperta della necessità della conversione, alla teologia riformata barthiana o alle teologie contestuali di liberazione dei tempi nostri; dall'inesaudito desiderio di una larga diffusione del protestantesimo nel nostro paese espressa nell'Ottocento alla crisi attuale di identità e di testimonianza.

Vorremmo che risorgesse un grande capo carismatico, gran predicatore, iniziatore di una nuova corrente spirituale e morale? Dovrebbe essere un grande libertario o un astuto polemista, uno stratega o un diplomatico ecumenico? Un grande uomo o una grande donna? Un grande vecchio, un papa? o un giovane rivoluzionario, capace e voglioso di ripensare completamente lo schema del mondo? Viviamo nella nostalgia di un grande personaggio a cui fare riferimento, che ci faccia piangere di commozione per le prediche travolgenti e ci trascini col suo esempio ad atti di eroismo?

Il nostro tempo ha vissuto il disincanto degli eroi, la psicologia ha svelato quali meschinità possono nascondersi anche dietro i personaggi più sublimi, l'economia inchioda ogni cosa ai suoi meccanismi basati sull'avidità di potere e di possesso. Tuttavia un gran personaggio ci manca, in effetti. Riconoscerlo è una sconfitta rispetto alla scoperta di poter vivere senza grandi capi, inventando una democrazia serena e controllata, dandoci collettivamente una disciplina e delle mete e dei traguardi durante i Sinodi. Il nostro sarà un sistema quasi perfetto, ma la perfezione non si può migliorare, annoia col tempo... Dal punto di vista dei contenuti umani è meglio un tempo di aspre tensioni e passioni che uno di irenismo e di sobria banalità.

A chi, come quelli della mia generazione, ha vissuto la grande contestazione dei padri e capi carismatici in realtà non è un capo che manca, ma piuttosto un progetto: un grande progetto umano

che coinvolga la nostra vita e quella dei nostri contemporanei, la speranza di far risorgere il mondo a una vita più giusta per le masse affamate e ammalate, la speranza di rapporti umani di pace.

La Parola del Signore smantella ogni nostro vanto e ci mette nudi davanti al suo specchio a vedere tutte le nostre imperfezioni ed anche noi ci sentiamo come la donna incinta che crede di partorire con grande fatica, ma invece non esce nulla perché era una gravidanza isterica: "non abbiamo portato nessuna salvezza al paese" (v.18). Il profeta ci continua a stupire per l'acutezza delle sue metafore che si attagliano perfettamente a tante circostanze umane, anche le nostre a così grande distanza di tempo!

La forza della poesia ci coinvolge al v.19: "la tua rugiada è rugiada di luce e la terra ridarà alla vita le ombre". La rugiada sull'orlo delle foglie e dei petali dei fiori ci ricorda la freschezza del nutrimento del mattino; si può arrivare come le piante stremati alla sera della nostra vita, ma la rugiada di luce fa rivivere le membra stanche degli umani come fa rivivere tutta la natura intorno a noi. Si moltiplicano le metafore (luci e ombre - acqua e polvere arida), ma quella della rugiada è la più bella: da dove viene la rugiada? dall'escursione termica fra il giorno e la notte; ma per chi non lo sa ed è tormentato dalla sete è un dono gratuito che viene al termine di una notte di arsura. Improvvisamente c'è e il mondo si illumina, come quando sorge il giorno, come al mattino della risurrezione di Gesù per i discepoli e le discepole disperati. La grazia gratuita e insperata di Dio ci raggiunge nella nostra notte e ci disseta con la rugiada del suo Spirito.

"Nasconditi per un istante" è la raccomandazione del Signore, per bocca del profeta. "Va o mio popolo, entra nelle tue camere, chiudi le tue porte dietro a te; nasconditi per un istante, finché sia passata l'ira..." Il discorso sulla camera e l'uscio da serrare ci ricorda la raccomandazione di Gesù su come pregare (Mat.6,6). Non occorre fare molte parole e non occorrono neanche troppi silenzi; siamo davanti a Dio e abbiamo fiducia nel suo intervento. Noi viviamo per sua grazia e alla sua gloria, vogliamo "imparare la giustizia" seguendo e conoscendo i suoi giudizi. E' necessaria ancora la resistenza? Per quella non ci mancano le forze, ci mancano invece per un progetto, e questo fa parte della nostra crisi di identità.

Cosa saremo nei prossimi anni? Un piccolo gruppo di intellettuali democratici ed ecumenici o riusciremo ad essere il piccolo popolo che confida in Dio, la roccia dei secoli, e perciò conserva la sua pace? Saremo dei "risvegliati" non fanatici, disposti a riconoscere l'opera di Dio anche fuori del nostro ambito? Riusciremo al di là nel nostro ipercriticismo a riconoscere in positivo i doni ricevuti dal Signore? Soprattutto riusciremo a vivere della grazia di Dio che rende salda la vita, proprio quando è più debole e minacciata? Ecco la Sua offerta e la nostra speranza.

Non preoccuparsi di sé

 

In una predicazione pronunciata all’apertura del Giorno dell’Espiazione, il Rabbi di Gher usò parole audaci e piene di vigore per mettere in guardia contro l’autofustigazione: “Chi parla sempre di un male che ha commesso e vi pensa sempre, non cessa di pensare a quanto di volgare egli ha commesso, e in ciò che si pensa si è, egli è dentro alla cosa volgare; costui non potrà certo far ritorno perché il suo spirito si fa rozzo, il cuore s’indurisce e facilmente l’afflizione si impadronisce di lui. Cosa vuoi? Per quanto tu rimesti il fango, fango resta. Peccatore o non peccatore, cosa ci guadagna il cielo? Perderò ancora tempo a rimuginare queste cose? Nel tempo che passo a rivangare posso invece infilare perle per la gioia del cielo! Perciò sta scritto: “Allontanati dal male e fa’ il bene”, volta completamente le spalle al male, non ci ripensare e fa’ il bene. Hai agito male? Contrapponi al male l’azione buona! Ma l’insegnamento del nostro racconto va oltre: chi si fustiga incessantemente per non aver ancora fatto sufficiente penitenza si preoccupa essenzialmente della salvezza della propria anima e quindi della propria sorte personale nell’eternità...

Agli occhi dell’ebraismo, invece, ogni anima umana è un elemento al servizio della creazione di Dio chiamata a diventare, in virtù dell’azione dell’uomo, il regno di Dio...

(da: Martin Buber, Il cammino dell’uomo)

 

Donne nel Protestantesimo

di Erika Tomassone

 

 

Nell’ambito delle chiese nate dalla Riforma protestante del Cinquecento, le donne hanno sempre avuto un ruolo molto importante nel campo dell’educazione in vista della fede, sia nella chiesa, che nella famiglia. In questo senso possiamo essere certi che le donne conoscevano le Scritture e hanno svolto ruoli importanti di educatrici in scuole domenicali, catechismi e scuole gestite dalle chiese.

 

Quando dunque diciamo donne e Bibbia, parliamo di una realtà ben praticata e testimoniata almeno in ambito protestante. A questo punto dobbiamo però introdurre un elemento particolare di questo leggere la Bibbia. In Italia, nella letteratura ecclesiastica evangelica del 1800 cominciano a comparire opuscoli di edificazione o lunghi articoli in riviste di evangelizzazione che sembrano dedicati in maniera specifica alle donne. Si tratta dei ritratti delle donne della Bibbia. Probabilmente perché anche le donne potessero trovare dei modelli di identificazione nella Bibbia, si compilano dei ritratti di donne, colte nella loro esemplarità: Ruth, Ester, Maria Maddalena, eccetera.

 

Grosso modo nella stessa epoca, negli Stati Uniti incontriamo un gruppo di donne che non si limita a trovare modelli nelle donne della Bibbia, ma si affaccia ai testi che parlano delle donne, con un intento critico. Il gruppo di donne è appartenente alla borghesia colta americana e l’orizzonte del loro impegno si situa tra i movimenti per la temperanza (il cui intento era sconfiggere l’alcolismo che dilagava soprattutto tra gli uomini e ostacolava la serenità delle donne e delle famiglie), per l’abolizione della schiavitù e il diritto di voto alle donne. Per questa ultima battaglia la Bibbia appare a queste donne come un ostacolo maggiore perché interpretandola alla lettera e non in maniera critica, viene utilizzata per provare come verità rivelata, la realtà seconda ed inferiore della donna, cosa che giustifica la sua esclusione dal voto. Nasce così una idea: creare un gruppo di donne che leggono e commentano i passi biblici che parlano di donne, smascherando nel testo i pregiudizi dovuti al contesto storico di produzione dei testi. Elisabeth Cady Stanton è l’animatrice del progetto. Il lavoro era audace per molti versi: ogni donna aveva due bibbie. Su una cercava i passi e dall’altra ritagliava i testi che poi erano commentati. Il progetto prevedeva anche la consulenza di alcune donne che conoscevano le lingue antiche, che studiavano teologia, ma forse per paura, nessuna di loro accettò di collaborare. Questo lavoro portato a termine tra il 1895 e il 1898 e presentato all’assemblea del movimento per il suffragio alle donne con il nome di Woman’s Bible (Bibbia della donna), fu respinto in quella riunione perché toccava qualcosa di intoccabile: la Bibbia. Anzi le copie del libro furono distrutte. Comunque alcune copie sopravvissero nei bauli che le mamme davano alle figlie e così di madre in figlia, si conservò, tanto che nel 1974 fu pubblicato e distribuito con una larga diffusione. Cento anni dopo, senza particolari scandali e con il contributo di molte bibliste, è uscita “La Bibbia delle donne”: tre volumi in cui libro per libro vengono analizzate le figure delle donne, le immagini femminili, l’ambiente di produzione o riferimento. Forse dovrei correggere ciò che dicevo prima a proposito del “senza scandalo”. Infatti quando in Italia fu tradotto il primo volume, chi curò l’edizione si sentì in dovere di chiosare i testi, ponendo nelle note l’interpretazione per così dire tradizionale, o confutando l’interpretazione contenuta nel corpo del testo. Ma queste chiose sparirono nei due volumi successivi. Quando le donne leggono la Bibbia dall’epoca della Woman’s Bible in avanti, si nasconde forse un pensiero pericoloso?

 

In un certo senso a questa domanda possiamo rispondere affermativamente, se può essere considerato pericoloso porsi la seguente domanda: il modo con cui le donne sono ritratte nella Bibbia, corrisponde all’esperienza che io ho della mia vita di donna? Quanto pesa il patriarcato nell’elaborazione delle figure femminili della Bibbia e nel formarsi dei concetti teologici? Oggi, soprattutto in ambienti non fondamentalisti, si è ben disposti a sostenere che ammettere l’orizzonte storico degli scrittori biblici non significa eliminare l’idea della Bibbia come luogo ove si incontra la parola di Dio. Un tempo, tuttavia, mettere in dubbio la parzialità culturale dei testi biblici, era visto come la porta aperta alla denigrazione della Bibbia stessa come parola di Dio.

 

Con la Woman’s Bible entra in campo l’idea che l’esperienza delle donne sia importante nel lavoro di interpretazione della Bibbia. L’esperienza di vita delle donne diventa così materiale importante per misurare i testi biblici. La stessa operazione verrà fatta dalla teologia nera del nord america, quando sarà l’esperienza dell’essere neri a diventare uno dei criteri di lettura dei testi biblici. In particolare in quel caso si tratterà di analizzare i testi che parlano della schiavitù, del servizio, del servo e dello schiavo sia in senso proprio che come immagini metaforiche, riferite agli esseri umani, ma anche a Dio e a Gesù Cristo. In alcuni casi la rilettura dei testi biblici da parte delle donne, porta a criticare la tradizione in cui questi testi sono stati ingabbiati e riletti. Per dei protestanti la tradizione non può essere messa sullo stesso piano del testo biblico, tuttavia questo non può esimerci dal guardare alla tradizione analizzandola, criticandola, insomma prendendola sul serio.

Uno dei lavori più interessanti è il lavoro sul viaggio delle donne della Bibbia nei testi che le riguardano. Come dimenticare la figura della donna che unse Gesù che da donna senza nome che compie un gesto profetico (unzione sul capo), diventa peccatrice (asciuga i piedi di Gesù con i suoi capelli) e viene poi identificata anche dall’iconografia della tradizione con Maria Maddalena donna in preda ai demoni poi guarita? Come non tenere conto di Jefte e la figlia che egli sacrifica a causa di un voto inutile secondo il libro dei Giudici, divenuto segno di grande fede nella lettera agli Ebrei?
Gli esempi sono molti.

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E’ comunque innegabile che i testi biblici nella tradizione hanno pesato molto sull’immagine delle donne. Basta pensare a tutte le teorie sull’inferiorità naturale (cioè creata e voluta da Dio) delle donne, le teorie sulla loro debolezza spirituale (derivata dal famoso incontro tra la donna e il serpente in Genesi 3). Di fronte a questa tradizione così sfavorevole, le donne si sono trovate a fare in vero e proprio corpo a corpo con i testi biblici, per non sentirsi respinte dal testo fondamentale della loro fede.

Due giorni di incontro a Firenze con circa 400 presenze

CRISTIANI, EBREI, MUSULMANI: GIOVANI A CONFRONTO

“ECCO COME DECLINARE LA PACE”

 

“Dialogo non è un termine generico. La strada del conflitto

non fa che generare un numero smisurato di vittime e di poveri

Colletta comune per dare assistenza sanitaria

ai bambini palestinesi negli ospedali israeliani

 

Si è svolto a Firenze dal 29 al 30 gennaio l’incontro ecumenico “Osare la Pace per Fede”, su giustizia, pace e salvaguardia del creato, cui hanno partecipato oltre trecento giovani delle diverse chiese cristiane provenienti da tutt’Italia. Il titolo riprende una frase del teologo evangelico Dietrich Bonhoeffer, che nel 1934 aveva lanciato la proposta di un concilio ecumenico per la pace. Significativa l’ampiezza del gruppo promotore, che comprende Agesci, Azione Cattolica Italiana, Centro Ecumenico AGAPE Commissione Ambiente Globalizzazione (FCEI), Comunità di Sant’Egidio, Federazione Giovanile Evangelica Italiana (FGEI), Federazione Universitari Cattolici Italiani (FUCI), Movimento dei Focolari, Pax Christi, Segretariato Attività Ecumeniche (SAE), le riviste Confronti, Mosaico di Pace e Testimonianze, radio Voce della Speranza (92.4 Mhz), l’Arcidiocesi di Firenze, le Chiese Evangeliche e Chiese Ortodosse di Firenze. Un’iniziativa, dunque, che disegna una novità per il cammino ecumenico in Italia, con un coinvolgimento davvero ampio del mondo giovanile.

L’incontro si è aperto con l’assemblea di sabato 29, tenutasi presso il Convitto della Calza; in risposta agli interrogativi di tre giovani delle tre chiese cristiane mons.Luigi Bettazzi ha parlato su “Cercate la giustizia”, mentre la pastora valdese Letizia Tomassone è intervenuta sul tema della pace ed il prof. Simone Morandini sui problemi ecologici. I partecipanti hanno poi proseguito il lavoro divisi in diciotto gruppi, per approfondire le varie dimensioni del tema. Presso il salone “La Fiaba” della parrocchia Madre delle Grazie dell’Isolotto si è quindi tenuta una vivace serata di festa con musiche e danze. Nel corso della giornata Rosana Tujar, rappresentante fiorentina dei Giovani Musulmani Italiani e Gadiel Liscia, rappresentante dell’Unione Giovani Ebrei Italiani hanno rivolto il proprio saluto ai partecipanti, invitando al dialogo ed alla collaborazione.

La domenica 30 gennaio 2005 nel Tempio Valdese di Via Micheli si è svolta una partecipata liturgia ecumenica, presieduta dalla pastora valdese Gianna Sciclone, nel corso della quale sono intervenuti Ionut Coman (Chiesa Ortodossa Rumena), il pastore Davide Mozzato (Chiesa Avventista di Firenze), mons.Claudio Maniago, vescovo ausiliare di Firenze. Nel corso della Liturgia il prof. Massimo Toschi - Consigliere per la pace del Presidente della Regione Toscana - ha presentato l’iniziativa “Saving Children” mirante a fornire assistenza sanitaria ai bambini palestinesi presso ospedali israeliani, in modo da promuovere occasioni di dialogo tra le due popolazioni; ad essa è stato devoluta la colletta raccolta (1226,00 Euro). L’incontro si è concluso con la lettura di un messaggio alle chiese cristiane italiane, che riportiamo in allegato. A conclusione l’auspicio comune è stato quello di proseguire il lavoro avviato in quest’occasione, creando altri appuntamenti, anche in vista della III Assemblea Ecumenica Europea che si terrà nel 2007 a Sibiu in Romania.

 

Un messaggio alle nostre comunità

Noi giovani appartenenti a chiese diverse ci siamo riuniti a Firenze, città di pace, per riflettere assieme sulla Giustizia, la Pace e la Salvaguardia del Creato, a quindici anni dalla Convocazione Ecumenica di Seul. Anche oggi tali realtà sono negate da una violenza dai molti volti: le donne e gli uomini, con tutte le forme viventi, sono esposte a rischi di cui è difficile misurare la portata. In particolare, sono i poveri le prime vittime di un mondo che sembra assuefatto al conflitto ed all’iniquità su scala planetaria, come alla distruzione progressiva dell’ecosistema terrestre. A tale dinamica contribuisce in modo determinante l’iperconsumismo delle società occidentali, ormai diventato una sorta di nuova religione.

Di fronte a tutto questo siamo chiamati a professare la nostra fede in Gesù Cristo crocifisso e risorto, per esplorare altre direzioni per la storia e per le nostre vite. Le nostre chiese in questi anni di lavoro e confronto comuni hanno più volte affermato la volontà di compiere assieme un cammino di pace, ma la divisione tra i cristiani è uno scandalo che contraddice ogni parola di pace. In questi giorni abbiamo intuito invece che è possibile un cammino di dialogo tra noi e che possiamo estenderlo a chiunque voglia condividerlo, a partire dalla comune coscienza della dignità di ogni persona. Abbiamo pure sperimentato la ricchezza dell’incontro, in particolare, con i giovani ebrei e musulmani, nel superamento di paure e diffidenze.

La fede nella promessa di pace di Gesù Cristo, che sta alla base della nostra comunione, ci spinge a testimoniare che un altro mondo è possibile e che la famiglia umana è chiamata a diventare un luogo di fraternità autentica. L’intelligenza della speranza ci spinge a cogliere segni in cui si dischiuda questa possibilità e ne abbiamo esplorati alcuni nel dibattito tra di noi. Vogliamo indicare, in particolare

· il valore delle relazioni in cui viviamo, che ci orienta a spendere le nostre forze e la nostra intelligenza per creare e trasformare strutture politiche, economiche e sociali che servano un mondo di giustizia e di pace;

· il senso di essenzialità che stiamo imparando ad apprezzare nella pratica di nuovi stili di vita

· la cura, l’accoglienza e la nonviolenza, dimensioni essenziali di una vita secondo l’Evangelo.

Il lavoro fatto assieme in quest’incontro è già passo di questo cammino e ci fa intravedere la meta. Nella comune fede in Gesù Cristo ci impegniamo a far maturare tali dimensioni, in noi stessi e nelle nostre comunità, in un dialogo con tutti le donne e gli uomini di buona volontà.

Lo Spirito del Risorto ci sostenga in questo cammino di speranza pasquale, perché davvero impariamo ad osare la pace come pratica della nostra comune fede.

 

 

Il Varco dei Biffi

invita alle sue molte attività volte a promuovere la presenza degli stranieri nel nostro paese e l’incontro con gli indigeni. Lo fa attraverso molte attività che sono rivolte a tutti e consistono in

Centro di Ascolto “Il Rifugio”

da Giovane a Giovane

lezioni di inglese

lezioni di italiano

musica con “Old Vineyard Jazz Quintet”, “Florence Gospel Choir”, “Dust & Diesel”, “Um Dios Trino”

Incontro tra donne “per conoscersi”

 

via dei Biffi 1

50122 Firenze

tel. 055 350850

 

“L’UNITA’ DELLA FAMIGLIA UMANA”

LA VOCE DE! RA GAZZI SULL ‘OGGI DEL MONDO E DELLA STORIA

 

INCONTRO DEI RAGAZZI DELLA TOSCANA

 

Ai tutti i Sindaci della Toscana

Ai responsabili delle Chiese e Comunità

Ai Presidi e Direttori didattici delle scuole

A tutti gli adulti del mondo

 

Carissimi,

noi ragazzi cristiani ebrei e musulmani vi inviamo questo messaggio dal Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, è domenica 30 Gennaio e siamo insieme a Firenze, questa bellissima città che ci invita ad una meravigliosa avventura: realizzare l’unità della famiglia umana.

Sì, noi ragazzi abbiamo fatto un sogno ... e ve lo raccontiamo:

 

“Le loro famiglie non erano mai andate d’accordo e anche loro non avevano mai fatto niente per diventare amici. Così tre ragazzi il musulmano Ziar, l’ebreo Alan e Gabriele, cristiano, erano cresciuti accanto di casa senza mai giocare assieme. Un giorno si trovarono al parco giochi e Ziar propose agli altri due di giocare a pallone.

All'inizio sembrava che la cosa potesse realizzarsi ma poi i ragazzi non si trovarono d'accordo. Scoppiò una lite e un ragazzo diede un calcìo al pallone. Quando andarono a raccoglierlo al posto del pallone trovarono un grande libro. I ragazzi lo aprirono e come per magia furono risucchiati all’interno: era un libro magico.

D’un tratto si trovarono all’inizio dei tempi quando la terra era tutta grigia e ancora non esistevano i colori. I mari, il cielo, il sole, gli alberi, la terra, i prati, i fiumi, i monti, le stelle, le nuvole... tutto era grigio. Anche gli uomini erano tutti uguali, con le stesse facce, le stesse mani, con gli stessi pensieri, tutti grigi. Allora i ragazzi iniziarono a parlare con loro e si accorsero che erano molto tristi perché tutto era uguale, monotono e tutto aveva lo stesso sapore.

I ragazzi cercarono una soluzione e la trovarono dentro un loro zainetto: era una scatola di matite colorate. Con queste iniziarono a colorare tutto il mondo: con l’azzurro dell’infinito dipinsero il cielo, i mari e i fiumi; con il verde della speranza, i prati e i boschi; con il giallo della gioia la luce del sole.

Quando ebbero finito videro che il mondo così era più bello ma ancora rimaneva una cosa da colorare, gli uomini. Iniziarono quindi a colorarli e tutti in modo diverso: a chi fecero gli occhi azzurri, a chi i capelli rossi, ad altri ancora la pelle scura, mentre ad alcuni la pelle chiara, tutti erano diversi tra loro. Ma ancora non avevano finito la loro opera. Dentro erano ancora tutti uguali con gli stessi pensieri. Loro non potevano fare niente per rimediare a tutto ciò.

Fu a quel punto che, soddisfatto del lavoro dei ragazzi, il Signore si rivelò loro e disse che era stato Lui a chiamarli attraverso il libro ed ora avrebbe completato l’opera. Fu così che il Signore, prendendo il rosso dell’amore, diede ad ogni uomo la propria anima, la propria personalità ed il proprio cuore: tanti uomini diversi fuori e dentro ma tutti con un cuore fatto per amare.

In quel momento i ragazzi furono di nuovo risucchiati dal libro e volando nel cielo lasciarono una scia luminosa a sette colori. Era un arcobaleno. L ‘arcobaleno che univa tutti i popoli. I ragazzi si ritrovarono d’un tratto di nuovo al parco giochi e guardandosi negli occhi si abbracciarono piangendo. Avevano scoperto quanto è bello essere diversi”.

 

Si, proprio noi ragazzi siamo già questo sogno, questo sogno bellissimo. Oggi, qui a Firenze, quei tre ragazzi sono diventati più di mille e tutti abbiamo capito che assieme possiamo costruire

un mondo di pace e giustizia, di gioia e condivisione. E non diteci che siamo degli illusi perché proprio noi, oggi, siamo il segno che tutto questo è già cominciato ed è davvero possibile.

Perché noi ragazzi sogniamo un mondo più bello, unito e pulito, più colorato e meno scuro: più colorato del rosso vivo dell’amore che del rosso cupo del sangue versato; del verde della speranza che del fumo delle bombe, dell’azzurro dell’amicizia che del grigio dei gas di scarico; del giallo brillante del dialogo che del nero dell’odio e della vendetta.

 

Sogniamo un mondo senza confini e senza frontiere e tante città e paesi accoglienti e sempre pronti ad ospitare ogni ragazzo di ogni popolo, lingua, colore, religione. Un mondo nel quale i ragazzi palestinesi e israeliani, tutsi e hutu, ceceni e russi siedano finalmente insieme alla stessa tavola della fraternità e condividano come noi oggi lo stesso pane buono dell’amicizia.

 

E sogniamo quel giorno in cui, nel mondo, ogni bambino abbia una famiglia in cui crescere, una casa in cui abitare, una scuola in cui studiare, una cameretta, una chiesa, una moschea o una sinagoga in cui pregare, un ospedale in cui guarire, un giardino o un campo sportivo in cu giocare tutti insieme .. e che nessun ragazzo del mondo conosca più parole tristi e grigie come guerra, fame, violenza, ignoranza e solitudine.

 

Noi oggi questo sogno lo affidiamo al Signore: volete condividerlo con noi?

 

Firenze, Palazzo Vecchio, 30 gennaio 2005

 

I ragazzi musulmani ebrei e cristiani delle diverse confessioni

 

“Dulce et decorum est”?

Wilfred Owen ( 1893 - 1918 )

di Vera PetrosilloVelluto

 

Ritenuto dalla critica uno dei più grandi poeti inglesi degli inizi del 1900, Wilfred Owen appartiene alla corrente letteraria dei cosiddetti War-Poets (poeti di guerra), quei poeti inglesi che non cantarono la giustezza della prima guerra mondiale, ma ne denunciarono la bestialità

Un grande poeta, ma per lo più conosciuto soltanto dagli addetti ai lavori, che ha tramutato in poesia le dolorose, terribili esperienze da lui vissute in guerra e ha voluto testimoniare ai giovani, chiamati alle armi con retorici appelli “accompagnati dal suono delle fanfare”, la insensatezza della guerra e i suoi orrori.

“L’onore non c’entra quando gli uni decidono senza rischi e gli altri muoiono in nome dell’obbedienza” afferma Simon Weil

Lo stesso pensiero doveva essere maturato nella mente di Wilfred Owen, quando, sul fronte occidentale, si trovò immerso nella barbarie della Grande Guerra del ‘15-’18, in cui morirono 10 milioni di soldati.

“La più esecrabile vista sulla terra sono i cadaveri abbandonati che poeticamente vengono esaltati come “i più gloriosi”. Così egli scrive alla madre, in una delle sue lettere dal fronte.

Vuole educare il fratello ”alle reali condizioni della guerra” e, deliberatamente, nelle lettere gli descrive con crudezza di particolari le operazioni chirurgiche effettuate sui feriti.

Soffre, si indigna contro coloro che, lontani dal campo di battaglia, inneggiano alla guerra senza conoscerne le brutture. Contesta la guerra, ma non se ne sottrae. Durante un’azione conquista un cannone tedesco e fa molti prigionieri. Per questa impresa, viene insignito della Croce di Guerra al Valor Militare.

Nel tentativo di portare in salvo le sue truppe, muore sul fronte francese il 4 novembre 1918, a soli 25 anni, una settimana prima

dell’armistizio.

Il poeta W.B.Yeats non apprezzava la forma poetica di Owen e non ne inserì le poesie nel Book of English Verses. Ma la poesia di Owen va oltre l’elegia poetica, è un messaggio profetico. Nelle righe pensate per la Prefazione alla raccolta dei suoi poemi, che la morte prematura gli impedì di pubblicare, il poeta così si esprime:

“Queste elegie non sono in alcun senso consolatorie per questa generazione Forse lo saranno per la prossima. Tutto ciò che il Poeta oggi può fare è mettere in guardia contro gli orrori della guerra. Ecco perché il vero poeta deve essere veritiero ”

Le poesie, egli dichiara, non riguardano gli eroi, né alcuna cosa che riguardi la gloria, l’onore, la potenza, la maestà, il dominio o il potere…. Il mio argomento è la Guerra e la Pietà della Guerra. La Poesia è nella Pietà”.

“Anthem for doomed youth“ (Inno per una gioventù condannata) è un inno alla gioventù stroncata anzi tempo. Osservando la desolazione del campo di battaglia disseminato di morti, il poeta si chiede:

Quale suono di campane a morto

per coloro che muoiono come bestiame?

Soltanto la rabbia mostruosa dei cannoni

Soltanto il rapido crepitar dei fucili balbuzienti

Possono scandire le loro cattive orazion

Per loro né preghiere, né campane,

non voci dolenti tranne i cori,

gli acuti, forsennati cori delle granate che gemono

e delle fanfare che li evocano dai tristi villaggi…

 

“Dulce et decorum est”, il più grande poema pacifista che un uomo decorato in guerra, abbia mai scritto contro la guerra, presenta una sconvolgente descrizione dei tremendi effetti dei gas, ampiamente utilizzati da entrambi gli schieramenti.

Al cospetto di una realtà così assurda, dei tanti giovani morti soffocati dal gas, Owen si rivolge a coloro che in tutti i tempi, tenendosene lontani , mandano i giovani al fronte ingannandoli con sogni di gloria e dice:

……” Se in alcuni sogni che tolgono il respiro …..

.. ”tu potessi osservare gli occhi che roteano nel suo viso…..

... se solo tu potessi udire ad ogni sobbalzo il sangue

Che esce gorgogliando come schiuma dei polmoni corrosi

Osceno come un cancro, amaro come il fiele

Di vili piaghe incurabili sulle lingue innocenti

Amico mio, (qui Owen lancia una sfida al mondo intero),

tu non diresti con tanto zelo

Ai giovani che ardono per qualche gloria disperata,

la vecchia bugia: Dulce et decorum est

Pro Patria mori.( E’ dolce ed è onorevole morire per la patria.)

In una lettera del 2 maggio 1917, Owen scrive: “Sono stato illuminato da una luce che non filtra mai dai dogmi di nessuna chiesa nazionale: cioè che uno dei principali comandamenti di Cristo fu: Passività ad ogni costo! Soffri disonore e disgrazia, ma non prendere mai le armi. Puoi essere oggetto di violenza, essere offeso, ucciso; ma non uccidere….Cristo si trova letteralmente nella terra di nessuno. E’ lì che spesso gli uomini odono la sua voce. Non c’è più grande amore di questo, che un uomo dia la sua vita…...per un amico Queste parole sono dette soltanto in inglese? in francese? Io non lo credo. “egli conclude.

Il messaggio dell’Amore di cui parla Owen, è per tutti i popoli ed è trasmesso in tutte le lingue. Gandhi, Luther King, sono solo alcuni fra coloro che lo hanno ascoltato e hanno rifiutato la violenza come mezzo di risoluzione dei problemi.

Durante l’ultimo secolo il concetto di Passività, indicato da Owen, è stato ulteriormente sviluppato. Oggi si preferisce parlare di Resistenza Non-Violenta Attiva che postula, oltre all’assenza di violenza, la condivisione e la comprensione.

Il metodo della Non-Violenza consente di instaurare una dimensione nuova nei rapporti fra le persone e fra i popoli. Consente di perseguire la realizzazione di una umanità liberata dalle catene della violenza sia pubblica che di relazione, affinchè nessuno più al cospetto di un soldato morto si chieda con Owen se era questo il fine della creazione.

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Il naso tra i libri

di Sara Pasqui

 

Neera, “Teresa”

Periplo edizioni Lecco, pp. 240 €14,46

 

Profilo biografico

 

Anna Zuccari nasce nel 1846 a Milano da famiglia lombarda, rimasta ben presto orfana viene affidata a due anziane zie assai severe ed arcigne con le quali trascorre l’adolescenza e la giovinezza in una atmosfera di solitudine ed incomprensione. Sposato Adolfo Radius, un uomo del tutto estraneo all’ambiente culturale milanese, decide di intraprendere la carriera letteraria. Anna Zuccari pubblica tutte le sue opere sotto lo pseudonimo di Neera quasi a voler sottolineare la distinzione fra vita privata di moglie e di madre e quella della sua attività letteraria, quanto è attenta e scrupolosa nel primo ruolo tanto è autorevole ed impositiva nel secondo. Dal carattere molto riservato solo attraverso la lettura della sua corrispondenza privata (pubblicata negli ultimi anni) si apprendono notizie su di lei e sul mondo letterario e francese degli anni che vanno dal 1880 all’inizio della prima guerra mondiale. Neera muore, dopo lunga malattia, nel 1918. La figlia, prima, ed il nipote Corradino, poi, hanno conservato amorosamente l’archivio da cui gli studiosi hanno potuto attingere notizie preziose perché la scrittrice ebbe un fitto scambio epistolare con Luigi Capuana, a cui si deve la prima indagine sull’arte di Neera, e con Benedetto Croce, i suoi critici più attenti, ma anche con Verga, Fogazzaro, Marinetti e con i francesi Hérelle e Rod. Collaborò a giornali e riviste (Corriere della Sera, Nuova Antologia, Illustrazione Italiana ed altri) e scrisse romanzi, novelle, saggi. Tra i romanzi: Un nido, Il castigo, Teresa, Crevalcore, L’indomani. Tra i saggi: Il libro di mio figlio (raccolta di massime ed istruzioni per i giovani), Le idee di una donna, Una giovinezza del XIX secolo, uscito postumo con la prefazione di B.Croce e che è un libro di memorie autobiografiche. Neerea si rivela in tutte le sue opere un’attenta osservatrice della condizione femminile del suo tempo e presenta le protagoniste dei vari romanzi con simpatia, partecipazione, potrei affermare con tenerezza quasi materna e comprensione, da Teresa a Lydia, da Laura a Marta, a Renata che risulta senza dubbio la sua creatura più audace e ribelle. Queste donne, nubili o sposate, accettano con dignità la loro condizione di donne sovente umiliate e frustrate dalle limitazioni e dagli obblighi che la società in cui vivono impone loro perché quasi tutte hanno una forte coscienza morale la quale non è di ispirazione religiosa bensì derivante da una visione laica della vita, inoltre riescono a vincere la disperazione che le assale per le rinunce a cui quotidianamente vanno incontro e per le ingiustizie che subiscono perché trovano conforto rifugiandosi nel sogno, nella fantasticheria, nell’evasione del pensiero.

Teresa (1886)

 

Nella nota introduttiva all’edizione pubblicata da Einaudi nel 1976 Luigi Baldacci afferma che Teresa “è uno dei più bei romanzi dell’ultimo ventennio dell’800 in cui la donna è vista come classe oppressa e non come ideale complemento dell’uomo”.

La storia è ambientata a Casalmaggiore, sulla riva sinistra del Po, in provincia di Cremona, anche se l’Autrice non cita mai il nome del paese, ed ha inizio proprio con la descrizione di una piena del fiume che angoscia e preoccupa gli abitanti del luogo ed i contadini della campagna circostante, ma anche con un atto di coraggio da parte di un giovane studente, Egidio Orlandi, con fama di caposcarico attorno al quale si svilupperà la vicenda che ha come protagonista una giovane donna di nome Teresa.

La fanciulla è la figlia maggiore del signor Caccia, l’esattore del paese, all’epoca della temuta alluvione ha appena quindici anni, ma già su di lei gravano responsabilità e doveri, il lettore intuisce fin dalle prima pagine che è destinata ad essere sfruttata da tutta la famiglia. La madre è una donnina scialba, spenta, indebolita dalle gravidanze, amareggiata e delusa dalla vita coniugale fatta solo di sottomissione ad un marito poco intelligente, ma assai vanitoso, presuntuoso ed esigente. Il padre è il tipico rappresentate del ceto piccolo borghese del suo tempo, un vero despota, egoista ed arrogante, ottuso ed insensibile verso la figlia maggiore da cui pretende solo ubbidienza senza minimamente preoccuparsi delle esigenze affettive e dei fermenti adolescenziali di Teresa. Completano il quadro familiare due gemelle viziate, capricciose, fracassone, assai rozze e prepotenti che tiranneggiano la sorella maggiore, Carlino, l’unico figlio maschio su cui il signor Caccia ripone le sue ambizioni paterne, ma il ragazzo è sornione, indolente e appena andrà lontano da casa per studiare rivelerà la sua indole incline ai divertimenti e alla trasgressione. Infine la notte della grande paura nasce l’ultimo rampollo della famiglia, una bambina, Ida, che con il tempo si rivelerà una ragazza giudiziosa e ferma nelle sue scelte, ma sarà Teresa a prendersi cura della piccina fin dal primo momento, essendo la madre troppo sofferente e fragile. Così la giovane protagonista del romanzo, assorbita tutto il giorno dai lavori domestici e dalle attenzioni che richiedono i vari membri della famiglia, non ha alcun spazio personale, alcun svago o attività da cui trarre piacere ed arricchimento, è la vittima designata da tutti con la complicità tacita, ma compiaciuta, della madre che sovente ripete ”dovrà fare da seconda madre…..” avvolgendo con tenera dolcezza della voce e dello sguardo, ma al tempo stesso con ferma ed egoistica determinazione, la ragazzina in fili invisibili di oppressione.

Il tempo scorre, passano gli anni e Teresa, vessata dalle sorelle, reclamata dalla madre malaticcia, rimproverata per un nonnulla dal padre, ignorata dal fratello, sboccia alla vita, si trasforma in una graziosa ragazza dagli occhi luminosi, il sorriso dolce, l’incarnato roseo ed avverte i primi palpiti del cuore, scopre di amare. Ma chi ? Il giovane aitante ed affascinante Orlandi, l’eroe della notte in cui si attendeva l’inondazione del paese, il quale corrisponde all’amore della fanciulla, ma a modo suo, cioè con superficialità e discontinuità, apparendo e scomparendo nella vita di Teresa. Ha mantenuto la fama di testa calda: studia ? non studia ? Nessuno sa bene cosa faccia e come viva. Finalmente si laurea in legge, torna al paese e si reca dal signor Caccia per chiedere in moglie Teresa, ma il rifiuto dell’uomo sarà secco ed irrevocabile. I due giovani continueranno saltuariamente a scriversi, Egidio sempre pieno di progetti e sogni irrealizzabili, Teresa in trepida e angosciata attesa. L’uomo avrà varie avventure, tenterà diverse vie per affermarsi, ma in conclusione resterà un perdente. Gli anni passano, la giovane sfiorisce, tutta chiusa nel suo dolore e nella solitudine, le sorelle faranno un matrimonio di convenienza nella più scontata tradizione dell’epoca, il fratello dopo aver combinato vari guai se ne va a lavorare lontano, la madre muore, Ida consegue il diploma di maestra e parte per il meridione, la protagonista resta con il padre ormai vecchio e malato, ma sempre più esigente ed autoritario, infine si ritrova sola e triste nella vecchia grande e vuota casa. Sarà allora che Teresa si riscatterà dalla condizione di vittima passiva: decide di raggiungere Egidio stanco, malato e deluso per prendersi cura di lui e vivergli accanto. Non esita a prendere questa decisione né si preoccupa di quello che dirà la gente, delle critiche malevole delle sorelle, riacquista dignità, abbandona i sogni che, simili a fantasmi, hanno popolato la sua giovinezza e finalmente prende coscienza di ciò che vuole, consapevole della propria scelta. Alla Pretora, la vecchia amica e confidente, affida un messaggio “Dirai agli zelanti che ho pagato con tutta la vita questo momento di libertà !”. È un vero atto di ribellione ad ogni convenzione sociale, ad ogni conformismo, il riscatto di una donna emarginata e per anni sottomessa alla volontà degli altri, della famiglia con le sue regole sovente dure e spietate.

 

Neera si dichiarò sempre antifemminista, ma probabilmente rifiutava ogni eccesso ed ogni esibizione poiché in realtà fu scrittrice sensibile e partecipe ai problemi delle donne ed osservatrice attenta del mondo femminile pronta a coglierne ogni fermento ed aspirazione.

NOVITÀ CLAUDIANA

ATTUALITÀ DELLA LETTERA AGLI EBREI


Thomas G. Long, Ebrei,
"Strumenti - Commentari" n. 20 - pp. 200 - euro 17,50


L'Epistola agli Ebrei è un sermone, o un'omelia, ossia una "parola di
esortazione" predicata nelle primissime chiese cristiane. Partendo da una serie di testi veterotestamentari - citati come Parola di Dio, commentati e attualizzati al fine di ricordare ai lettori del suo tempo
l'importanza e il significato dell'opera di salvezza realizzatasi in Gesù -, l'autore biblico affronta un problema scottante e assai comune anche oggi: lo scoraggiamento della comunità e la sua difficoltà a conservare la fede dopo un tempo di grandi sofferenze.
Questa Epistola ha quindi la funzione di ridare motivo di credere e sperare a quei cristiani che non trovano più nutrimento negli elementi teologici tradizionali, i quali vanno quindi rinnovati con una diversa riflessione teologica e pastorale.

Nel commentario Long evidenzia come, combinando insegnamento teologico e consigli sull'azione etica, l'Epistola agli Ebrei parli efficacemente anche alla chiesa di oggi.

Thomas G. Long, noto predicatore della Chiesa presbitariana e pastore di comunità, ha insegnato al Columbia Theological Seminary e al Princeton Theological Seminary.




DAGLI ERETICI MEDIEVALI ALLE NUOVE MAGGIORANZE RELIGIOSE


AA.VV., Essere minoranza. Comportamenti culturali e sociali delle minoranze religiose tra medioevo ed età moderna, a cura di Marina Benedetti e Susanna Peyronel. "Collana della società di studi valdesi" n. 21 - pp. 292- euro 19,50


Dal medioevo all'età moderna la storia europea fu attraversata da minoranze religiose, perseguitate dalle istituzioni dominanti.
Il volume - che raccoglie gli Atti del XLII Convegno di studi sulla Riforma e sui movimenti religiosi in Italia - propone una riflessione su tali minoranze e sull'adozione di specifici comportamenti culturali e sociali. Se gli "eretici" medievali furono spesso sconfitti e dimenticati, nel mondo moderno le minoranze religiose si trasformarono in maggioranze, le maggioranze in minoranze: nel primo Cinquecento, infatti, una straordinaria mobilità religiosa travolse l'Europa, modificando realtà sociali e politiche, cultura, mentalità e comportamenti.

Gli studi qui raccolti affrontano il tema sotto diversi aspetti: relazioni tra minoranze religiose e gruppi maggioritari; strategie di sopravvivenza e codici di comportamento; persecuzione e repressione; propaganda e circolazione dei libri; nicodemismo e tolleranza.
Contributi di Gabriel Audisio, Céline Borello, Euan Cameron, Silvano Cavazza, Gianclaudio Civale, Dinora Corsi, Claudia Di Filippo, Lucia Felici, Camilla Hermanin, Pilar Jiménez Sanchez, Achille Olivieri ed Enrico Riparelli.


Marina Benedetti è ricercatrice presso l'Università statale di Milano.
Susanna Peyronel è docente di Storia moderna presso l'Università statale di Milano.


GLI INTERROGATIVI FORTI CHE LA BIOETICA PONE A

TUTTI NOI


AA.VV., L'inizio e la fine della vita. Le sfide della bioetica, a cura di Dora Bognandi. "Collana della Federazione delle chiese evangeliche in Italia" pp. 126, euro 5,00


Negli ultimi anni la bioetica ha cambiato enormemente la nostra vita: ha aperto la porta alla speranza con l'offerta di soluzioni a problemi finora insolubili e ha, al contempo, portato con sé rischi che suscitano perplessità e preoccupazioni a vari livelli.

Così la tecnologia moderna - che intende mettere al centro il benessere degli individui - induce a chiederci: è tutto lecito nella “medicina dei desideri"?

Ciò che via via diventa possibile diviene forse moralmente legittimo solo per questo fatto? Il cristianesimo può parlare in nome di tutta l'umanità? Cosa si deve intendere con i concetti di "vita" e "dignità della persona"? Quand'è che la vita di un essere umano può definirsi piena e degna? Insomma, come vanno utilizzate le opportunità offerte dalla scienza e dalle tecnologie moderne?
Nessuna risposta preconfezionata ma la riflessione di cristiani su alcuni temi legati alla bioetica dal punto di vista biblico, etico, medico, pastorale e giuridico con particolare riferimento all'inizio e alla fine della vita umana.


Dora Bognandi dirige i dipartimenti Affari pubblici, Libertà religiosa e Comunicazioni dell'Unione Italiana delle Chiese Cristiane Avventiste del 7° Giorno.


I PIÙ BEI SERMONI DI GIORGIO BOUCHARD

Giorgio Bouchard, Una fonte di acqua viva. Trent'anni di sermoni,
prefazione di Claudio Ciancio. Distribuzione Claudiana - Trauben - pp. 160 - euro 11,00


Accanto alla forte tensione etico-sociale, in questi scritti di Giorgio
Bouchard si avverte un grande amore per la chiesa e un vivo interesse per la cultura, sia laica che cristiana.
Il punto unificante è dato dalla predicazione: una lettura biblica
appassionata e appassionante, lo sforzo di "mediare" la Parola di Dio all'uomo e alla donna di oggi, senza sconti ma anche senza chiusure; infine la costante ricerca del significato attuale del discepolato cristiano.


Giorgio Bouchard, pastore valdese e saggista, è stato moderatore della Tavola valdese e presidente della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia.


CATECHISMO EVANGELICO PER GLI ADOLESCENTI

Giovanni Anziani, Luca Anziani, Eliana Briante, Martin Ibarra Y Perez, Lidia Maggi e Gregorio Plescan (coordinatore), Crescere nella fede. Un catechismo evangelico, a cura del Servizio Istruzione e Educazione della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, illustrazioni di Alessandro Spanu, grafica di Daniela Mazzarella

pp. 96 - euro 14,50

Gregorio Plescan, Crescere nella fede. Manuale per l'Insegnante a cura del Servizio Istruzione e Educazione della Federazione delle chiese evangeliche in Italia pp. 96 - euro 9,50

Un corso illustrato di catechismo rivolto ai ragazzi tra i 13 e i 17 anni organizzato per tematiche ordinate alfabeticamente e accompagnato da una guida per l'insegnante.
A cura del Servizio Istruzione e Educazione (SIE) della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI).


Claudiana
Via S. Pio V 15 - 10125 Torino
Tel. 011 6689804 - Fax 011 657542
E-mail: info@claudiana.it
www.claudiana.it

 

Il Padre Nostro a puntate

di Elsa Woods

Se la vostra vita di preghiera marcia benissimo, come ho marciato adesso davanti a voi, se c'è qualcuno di voi che sa anche correre la maratona, che sa bene dove andare, che è pieno di entusiasmo, fiato e persistenza. allora vi consiglio di andare per cinque minuti al bar sull'angolo per prendervi un caffé, perché non avrò niente da dirvi e da testimoniare.

Un mese fa ho portato un bastone per dire che la mia vita di preghiera non corre sempre liscia, ma che spesso ho bisogno del sostegno che il Signore ci ha dato nella forma del Padre Nostro. Oggi vorrei guardare con voi tre parole che formano il manico del bastone, dove posso aggrapparmi:

Nostro Padre Cieli

In italiano si dice "Padre nostro", ma nelle altre lingue che conosco viene prima il "nostro". Cosa include quel "nostro"? Probabilmente un po' troppo per i miei gusti! Quel nostro include io e te che siamo d'accordo su molte cose, teologiche e no. Tutto bene fin qui. Ma se quel "nostro" include anche quella persona che porta un busto teologico molto più stretto del mio, cominciano i dolori! E quel nostro potrebbe anche includere uno con una teologia vaghissima, uno che abita ben oltre le mura di questa chiesa. E non vogliamo di certo impedire al cattolico che ancora non ha pienamente capito il "sola grazia" di pregare il "Padre Nostro"! Elencando quattro pregi del mio bastone, ho detto l'altra volta che è un bastone unificante. Tutti quelli che vogliono possono aggrapparsi a questo manico. Ed io usando il Padre Nostro sono costretta a seguire Gesù con le sue idee larghe, scavalcando barriere culturali di nazionalismi e sessismi, come faceva lui.

"Padre nostro che sei nei cieli": un Padre nei cieli! Subito mi urto contro uno di quei paradossi impossibili dei quali la Parola di Dio è piena. Se ho capito una cosa è che il Padre, Abbà-padre, è quello che ti sta vicino. La Genesi dice che sono creata a sua immagine, che ho il suo patrimonio genetico. Il Padre è quel Dio che mi protegge, che mi conforta, che mi incoraggia, che mi guida, che mi dice anche di no, quando è necessario. E dove lo dovrei cercare quel Padre? Nei cieli. Un po' lontano direi: non sono un uccello o un astronauta. Mi ricordo bene il nome del primo astronauta: era un russo che si chiamava Gagarin. Di solito non ricordo il nome delle persone, ma questo me lo ricordo a causa della stupidità arrogante di una frase detta da lui al suo ritorno, forse con intenzione di fare dell'umorismo "Non ho trovato Dio lassù, perciò non c'è!".

Invece tantissimi secoli fa c'era un uomo un po' più intelligente di lui, e soprattutto più umile, chiamato Davide, che quando guardava i cieli e le stelle, lui sì che vedeva Dio! E su quella esperienza scriveva un bel canto che ci è stato tramandato come il Salmo 8.

Paolo Ricca, in quel libriccino "Il pane e il Regno", in cui parla del Padre Nostro, parlando dei "cieli" dice: "i cieli sono ciò che non si può raggiungere, però sono comunque qualcosa che noi possiamo vedere. Il Dio nei cieli vuol dire non soltanto che non è un padre terreno, ma anche che non è come i padri terreni. E poi parlando della profondità dell'azzurro dei cieli dice: "la vedi e non la vedi, la vedi e la intuisci. Non la puoi penetrare, però è parte del tuo mondo. E ti avvolge."

Dio, Padre vicino, abitante nei cieli, un paradosso, sì! I paradossi a volte nonc i piacciono perché sono cose che non possiamo penetrare con il nostro piccolo cervello umano, non entrano nella nostra logica. Ci danno fastidio, così come ci dà fastidio un Dio che sceglie noi e allo stesso tempo ci lascia libera volontà di scegliere. Dio continuamente trasgredisce la nostra logica umana. Con la frase "Padre nostro nei cieli" sembra che Gesù dica: "Meglio arrenderti, Elsina, il tuo cervello è un po' piccolino per contenere la vicinanza del padre e la maestosa grandezza del Creatore, che va ben oltre la tua visione ristretta. Ma che Dio sarebbe dopo tutto, se fosse così piccolo da abitare soltanto nel tuo cervello?"

E così, quando prego "Padre nostro che sei nei cieli" mi aiuta ad arrendermi al paradosso e a cercare di godermi la vicinanza del Padre e la grandiosa maestà del Creatore.

 

PROGETTO MENSA SOCIALE DEL G1GNORO

di Paola Reggiani

 

Il 1° febbraio del 2000 il Gignoro, in convenzione con il Comune di Firenze ha aperto un punto mensa per 18 persone; non avendo locali presso la propria sede ha chiesto la collaborazione della Parrocchia di S. Maria a Coverciano, la quale ha dato in uso gratuito una piccola sala, che ha potuto rendere agibile grazie al contributo di una fondazione bancaria.

Le persone che possono usufruire di questo servi zio sono direttamente segnalate dai Servizi Sociali del nostro quartiere, alcuni hanno problemi di indigenza sociale, molti sono seguiti anche dalla psichiatria.

Fare questo servizio significa per gli operatori avere il privilegio di conoscere delle belle persone, rispettando la loro dignità spesso ferita. La mensa diventa così un luogo dove trovare la garanzia di un pasto caldo, dove incontrare altre persone con cui parlare, senza disperdersi in un luogo troppo affollato e anonimo, avere un ampia scelta sul menù e avere il diritto di non accontentarsi.

La sala della mensa ha bisogno di alcuni lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria, ma le ristrettezze economiche che colpiscono a più livelli anche i servizi sociali, non ci permettono di avere i fondi disponibili per mantenere e ripristinare in modo decoroso il locale. Facciamo appello alla vostra sensibilità chiedendovi dì contribuire alla raccolta di fondi necessari per i lavori.

Indirizzandoli al CCP n.17899501 intestato a “Associazione Amici del Gignoro” Diaconia Evangelica Fiorentina, Via del Gignoro 40, 50135 Firenze. specificando la causale “Mensa Sociale”.

 

 

Notizie dalle chiese fiorentine

 

dalla Chiesa Valdese

 

Molto successo ha riscosso l’incontro promosso dal Centro Culturale Protestante “P.M.Vermigli” con i proff. Paolo Ricca e Gianfranco Ravasi, che hanno parlato ad un pubblico che ha affollato la nostra Chiesa della Trinità. Speriamo di poter pubblicare a breve i loro interventi.

La sorella Elena Cobianchi Arrighi il 21 marzo compirà 96 anni, le facciamo molti auguri che mantenga intatti i suoi ricordi; è stata monitrice della Scuola Domenicale, ed è stata giovane al tempo dei pastori Carlo Lupo e Tullio Vinay.

L’assemblea del 20 febbraio è stata interessante, ma poco frequentata, perché molti erano a letto con l’influenza, compreso il past. Affuso, che speriamo ormai completamente guarito!

Il prossimo incontro del Concistoro si terrà mercoledì 16 marzo alle 18.15.

La sorella Sara Sansone si sta riprendendo dall’operazione al ginocchio; invece la sorella Mirella Sabatini Ottati si è rotto il femore e trascorre una lunga degenza ai Falciani per la riabilitazione.

Il past. Gino Conte è ancora a S. Maria Nuova per difficoltà respiratorie, sta un po’ meglio e tutti fanno a gara per andare a trovarlo, speriamo torni presto al Gignoro.

Auguri in casa Del Priore per la nascita della piccola Sveva! e in casa metodista Sbaffi (Andrea e Federica) per la nascita della piccola Marta.

Calendario delle attività comuni

 

venerdì 4 marzo presso la Chiesa Luterana, Lungarno Torrigiani 11 alle ore 18 Giornata Mondiale di Preghiera preparata dalle donne della Polonia.

 

martedì 8 marzo incontro dei Predicatori Locali a Via Manzoni 21 alle ore 21 con il past. Bruno Rostagno.

 

sabato 12 e domenica 13 marzo Convegno della Diaconia: “Diaconia: una finestra sull’Europa” Condivisione di esperienze e processi di trasformazione. A partire dalle 9 di sabato in via de’ Serragli 49. Si conclude con il culto presso la Chiesa Metodista, via de’ Benci 9.

 

giovedì 17 marzo alle 21 in Via S. Spaventa 4 incontro con la Comunità Islamica di Firenze su “La preghiera: elevazione spirituale e pacificazione dell’anima adorando Dio”.

 

martedì 22 marzo alle 19.30 presso la Claudiana, Borgo Ognissanti 6 Dopo-Lavoro-Teologico con studio del libro di M. Welker “Che cosa avviene nella Cena del Signore”.

 

venerdì 25 marzo alle 18 presso la Chiesa della Trinità (Via Micheli 26) Culto del Venerdì Santo con la partecipazione del Coro e dei solisti della “Niederrheinische Kantorei” (Germania) con musiche di Buxtehude, Brahms, Mendelssohn-Bartholdy.

 

 

 

 

 

 

 

 

Leggere con occhi di donne i testi biblici ha portato ad una certa riappropriazione dei testi, ma anche alla critica di particolari concetti teologici.

Per inciso dico che il primo scritto teologico di una donna che rivendica il suo far teologia in modo parziale, mettendo a confronto i concetti teologici con l’esperienza, risale al 1964 ed è un articolo di Valerie Saiving che iniziava così: “sono una donna e sono una studentessa di teologia”. Qui parziale si contrappone ad universale e smaschera un fatto che da quegli anni in poi, sarà portato molte volte all’attenzione dei teologi: in genere si fa teologia da un punto di osservazione parziale, ma raramente lo si ammette, perché si pretende di poter fare un discorso universale, cioè valido per tutti. In ogni tempo ed in ogni luogo.

 

Come esempio di critica e rielaborazione di concetti teologici, porteremo la questione del peccato tradizionalmente definito come orgoglio umano (ybris) che supera il suo limite cercando di negare la sua creaturalità. Negli anni ottanta Judith Plaskow sottopose alla verifica dell’esperienza delle donne questo concetto di peccato. Per sintetizzare l’esperienza delle donne utilizzò non solo studi di psicologia delle donne, ma anche l’opera letteraria di Doris Lessing, in particolare la trilogia che ha per protagonista Martha Quest. Su questa base, emergono gli elementi che concorrono a formare la figura del peccato che potremmo definire particolarmente diffuso fra le

donne. La storia di Marta che aspetta che un giovane uomo arrivi e la aiuti a trovare se stessa , che si sposa giovane , ha immediatamente un bambino e entra a far parte di un circolo di giovani coppie, che dopo un periodo di passività familiare, dà una svolta alla sua vita diventando comunista e cambiando uomo. Doris Lessing commenta questo periodo di vita della sua protagonista come un cambiar luogo e situazioni fuggendo sempre dalle domande vere e profonde su di sé. Ci vorrà tutto un percorso difficile e pieno di frustrazioni, finché Marta giunga a potersi assumere delle responsabilità in prima persona. Secondo Plaskow, questo è proprio un tipico percorso femminile che viene così a caratterizzare il peccato delle donne non come orgoglio, ma come passività, impossibilità di assumersi delle responsabilità, di farsi carico di se stesse. Plaskow sostiene quindi che, esortando all’umiltà generalmente i credenti, come nuovo cammino di vita dopo l’abbandono dell’orgoglio, della superbia, significa rendere impossibile la conversione profonda delle donne, perché si rischia di confemarle in un comportamento che invece che essere un grande segno di fedeltà a Dio è solo funzionale al loro particolare peccato.

 

Questo punto in particolare interroga la chiesa e la sua predicazione e la nostra possibilità di far giungere a tutti l’appello alla conversione.

 

PASQUA

di Erri De Luca

 

Pasqua è voce del verbo ebraico “pèsah”, passare.

Non è festa per residenti, ma per migratori che si affrettano al viaggio. Da non credente vedo le persone di fede così, non impiantate in un centro della loro certezza ma continuamente in movimento sulle piste. Chi crede è in cerca di un rinnovo quotidiano dell’energia di credere, scruta perciò ogni segno di presenza.

Chi crede, insegue, perseguita il creatore costringendolo a manifestarsi. Perciò vedo chi crede come uno che sta sempre su un suo “pèsah”, passaggio. Mentre con generosità si attribuisce al non credente un suo cammino di ricerca, è piuttosto vero che il non credente è chi non parte mai, chi non s’azzarda nell’altrove assetato del credente.

Ogni volta che è Pasqua, urto contro la doppia notizia delle Scritture Sacre, l’uscita d’Egitto e il patibolo romano della croce piantata sopra Gerusalemme.

Sono due scatti verso l’ignoto. Il primo è un tuffo nel deserto per agguantare un’altra terra e una nuova libertà. Il secondo è il salto mortale oltre il corpo e la vita uccisa, verso la più integrale resurrezione. Pasqua/pèsah è sbaraglio prescritto, unico azzardo sicuro perché affidato alla perfetta fede di giungere.

Inciampo e resto fermo, il Sinai e il Golgota non sono scalabili da uno come me, che pure in vita sua ha salito e sale cime celebri e immense. Restano inaccessibili le alture della fede.

Allora sia Pasqua piena per voi che fabbricate passaggi dove ci sono muri e sbarramenti, per voi apertori di brecce, saltatori di ostacoli, corrieri a ogni costo, atleti della parola pace.”