Pietro

di Alda Merini

 

Tu, Signore,

che dici di essere la dimora di Dio,

tu che stai nel deserto e nella terra,

tu che prometti e mantieni

facendo sentire noi miseri mortali,

e le nostre promesse cadono nel vuoto.

Tu che non vivi ma parli

e le tue parole prendono una rotondità infinita,

corrono come palle nel vento,

e sembrerebbero un gioco se non fosse che tu,

Cristo, non sai sorridere.

Non sai sorridere

né al passato né al presente.

Non giochi,

non dimori,

non servi.

Ci fai vedere le cose della terra

e ci parli del cielo.

Noi discepoli tuoi non ti capiamo.

E anche se tu dici che io sono una roccia

io ne dubito

perché non vedo bene ciò che accade intorno a te.

Ti ho preso come l’alfa e l’omega,

come il principio e la fine degli ebrei,

ma tu stai nel mezzo:

sei il Figlio,

colui che è generato da un unico Padre.

Potessi io vedere questo principio di creazione

Che tu hai nella testa,
          
questa rete d’amore che ci prende.

Perché questo Padre rapisce

le nostre misere imbarcazioni?

Perché ne fa delle vele?

Perché ne fa delle rocce,

mentre noi traballiamo sull’acqua,

mentre tutto potrebbe travolgerci?

Il guaio è che tu ci travolgerai tutti, Signore,

tu, Gesù Nazareno.

 

( da: Cantico dei Vangeli, Frassinelli, p.45-47)

 

 

 

Ogni parola oziosa...

 

Matteo 12:36-37

 

           Quando ci vuole, ci vuole.  Gesù era dolce, premuroso.  Ma quando era necessario, sapeva essere duro.  E sì, quando ci vuole, ci vuole.  Al primo impatto restiamo un po’ spiazzati di fronte alla durezza di Gesù, ma poi ripensandoci a freddo ci rendiamo conto di quanto sia stata utile quella severità.

Saremo chiamati a rispondere delle nostre parole inutili.  Badate bene, non dice: delle nostre parole offensive, o malvagie, o aggressive.  Ma di quelle inutili.  Di quelle facili.  Delle parole superficiali. 

Sì, è vero che le parole possono far male.  Che una parola può essere tagliente come un coltello.  Ha ragione il libro dei Proverbi quando dice che la vita e la morte sono in potere della lingua (18:21). 

Quante volte, dopo un litigio, ci pentiamo di aver detto una parola troppo dura in più, sapendo che quella parola ha ferito l’altro che era di fronte a noi, l’ha mortificato.

Sì, le parole possono far male.  Ma non è di queste parole che Gesù sta parlando.  Gesù non prende di mira le parole aggressive, ma quelle inutili.  Ma cos’è una parola inutile?

Una parola inutile è una parola facile.  Detta troppo in fretta.  Se non hai tempo di parlare, allora taci.  Se hai fretta, non dir niente.  Aspetta il momento in cui avrai più tempo e la tua parola non sarà facile.  E’ meglio dire al proprio figlio: “Ora non ho tempo di parlare, aspetta fino a stasera”.  E’ molto meglio dire al proprio partner: “In questo momento ho troppi pensieri per la testa, parliamone quando sarò più sereno”.

Una parola inutile è una parola superficiale.  Detta non tanto perché si vuole cambiare qualcosa, o ci si vuole impegnare in qualcosa.  No, è detta solo per evitare una situazione imbarazzante. 

per mettersi in buona mostra.  O per accattivarsi l’altro che ascolta.  O per manipolarlo. 

Una parola superficiale cambia solo l’arredamento, non l’anima.  E’ una parola soltanto ornamentale, senza profondità.

“Sì, da oggi in poi cambierò”, disse il marito alla moglie.  Ma la moglie sapeva che quelle parole erano inutili.  Avrebbe preferito sentire: “Non ce la faccio a cambiare da solo, se mi aiuti…”. 

Quante parole facili e superficiali diciamo ogni giorno.  Eppure nessun dottore ce le ha prescritte.  Non abbiamo nessun obbligo morale.  Se non il desiderio di farci belli con le nostre parole.

Quante parole diciamo, senza che queste parole dicano abbastanza.  Scialbe, quindi.  Oltre che inutili, facili e superficiali.

Eppure non c’è niente di più bello di una parola.  A tal punto è bella la parola, che il Vangelo di Giovanni dice che nel principio era la parola.  E la parola era Dio. 

Dio, una parola non inutile che si è fatta carne.  Ha vinto la nostra facilità e la nostra superficialità, e si è incarnata.  Cristo è la parola più intima, più profonda, più impegnativa di Dio.  Non c’è niente di inutile in quella parola.  Ma forse è meglio usare la stessa frase in chiave positiva: in quella parola ogni cosa è utile.  Una parola così utile che ha creato ogni cosa.  Per mezzo della parola, dice Giovanni, Dio ha creato tutte le cose.  Mai potremo confrontarci con una parola più utile di questa.  Una parola in grado di fare ogni cosa.

Qui comprendiamo ancor meglio cos’è una parola inutile: è una parola che non sa essere creativa, che non sa fare qualcosa.  Ma Cristo, parola di Dio, ha fatto ogni cosa. 

Se Dio ha fatto tutte le cose per mezzo della parola, allora io posso riconoscere di esistere grazie al fatto che Dio mi ha parlato, mi ha chiamato in vita.  Che Dio mi sta parlando tuttora, con una parola che abita in me, vaso di terracotta.  Una parola che dimora in me, recipiente indegno.  Una parola che chiede di essere ascoltata.  Che mi dice di prestare orecchio.

Sì, cari fratelli e sorelle.  Ognuno di noi ha nel proprio cuore una parola di Dio, la propria parola creatrice.  Io ho la parola di Dio che è fatta per me, e soltanto per me.  Tu avrai la tua parola.  Siamo come dei carillon, ognuno portatore di un suono originale di questa parola di Dio.  E se ci liberiamo dalle parole inutili possiamo ascoltare finalmente questo suono. 

Nella terapia musicale, specialmente con i bambini autistici, si usa questa tecnica: si lascia il bambino fare un rumore che vuole con gli strumenti che trova sul pavimento.  Si ascolta con molta attenzione il rumore finché comincia ad emergere da quel rumore un ritmo, un qualcosa di ordinato.  Quando ciò avviene, il terapeuta comincia a fare un tipo di rumore che somiglia a quello del bambino.  Ora tra i due ha inizio la comunicazione.  Hanno trovato un linguaggio comune.  E soprattutto il terapeuta ha saputo restituire al bambino la parola che in sé dimorava e non sapeva ascoltare.

Anche noi siamo dei bambini autistici, facciamo rumore con la nostra vita, e soltanto Cristo, il nostro terapeuta, sa cogliere il suono originale in quel rumore, ed entrare in comunicazione con noi.  Donarci di scoprire la sua parola che abita dentro di noi.  Renderci consapevoli di essere depositari di una parola speciale.

Nel delicato campo della comunicazione dell’evangelo si dicono tante parole inutili, facili e superficiali.  Eppure non c’è dono più bello per un credente che restituire agli altri la parola che abita nei loro cuori e che loro non sono in grado di ascoltare.  Non c’è cosa più gratificante che ascoltare intensamente per udire il ritmo della vita divina che è nel cuore di chi, di fronte a noi, dice di non credere.  E non c’è esperienza più gioiosa quando si legge nell’altro lo stupore nel sentirsi restituire il suo proprio ritmo con amore.

Se vogliamo essere dei buoni evangelizzatori dobbiamo farci scopritori della parola unica, creativa di Dio che abita nei cuori degli altri.

Ma per fare questo dobbiamo imparare ad esitare.  Non pretendere di conoscere già ogni cosa dell’altro.  Non avere fretta di offrire subito il primo aiuto che ci passa per la testa.  Ma esitare di fronte all’altro, come quando si è sulla soglia di un territorio inesplorato.  Accanto all’esitazione si deve avere anche la capacità di essere pazienti.  A volte perdiamo la pazienza non tanto a causa di

chi è di fronte a noi, ma perché non abbiamo esitato abbastanza e non abbiamo colto la parola di Dio che è nel cuore dell’altro.

Esitanti, capaci di pazienza.  Ma anche educati all’attenzione.  Il più grande evangelizzatore del mondo saprà non perdere la sua attenzione.  E saprà imparare dalle sue distrazioni, dalla maleducata fretta di interrompere e proporre all’altro la soluzione dei suoi problemi.

Ora capiamo perché Gesù è stato così duro con queste sue parole.  Ha voluto scuoterci.  E’ facile restare impigliati nelle parole inutili, facili e superficiali.  E’ facile dimenticare che ciascuno di noi è depositario del dono più importante del mondo: della parola di Dio.  Riascoltiamo questo suono meraviglioso e poi, con esitazione, pazienza ed attenzione, restituiamo ad ogni uomo e ad ogni donna il prezioso ascolto della parola unica che abita nei loro cuori e che ha il potere di salvare.  Amen

 

 

“Pace a voi”

di Jacques Stewart 

Signore,

ho bisogno della tua pace.

Ho necessità della tua pace

Per smettere di muovermi a vuoto

Mendicando nel mondo una pace magica.

Non riesco ad essere un artigiano di pace

Se non ricevo, comprendo, amo

La pace che tu hai rivelato

Ai tuoi discepoli nella tua passione

E nel giorno della tua risurrezione.

 

Ho bisogno della tua pace per resistere

Alla competizione mondana dell’apparire.

Necessito la tua pace

Per smettere di farmi compassione da me stesso/a

Temendo il domani.

Ho bisogno della tua pace per smettere

Di cercare di far sparire gli ostacoli,

i limiti, i conflitti

e avere in cambio il coraggio

per affrontarli e risolverli.

 

Ho bisogno della tua pace per smettere

Di scappare di fronte al pericolo.

Per gridare, per uscire dalla mia tranquillità

E reclamare, superando il mio egoismo,

Per le ingiustizie che subisce la maggior parte della gente

Ho bisogno della tua pace, Signore, per poterti servire,

gratuitamente, senza pretendere nulla in cambio

ed esser felice.

 

(da: Pagina Valdense, Pasqua 2007)

 

 

 

“Non aderite allo schema…”

di Gianna Sciclone

 

(riassunto della predicazione del 31 marzo in occasione del culto comune delle chiese evangeliche fiorentine)

 

Non aderite allo schema di questo secolo, ma subite una metamorfosi per riprogrammare il vostro cervello, al fine di sperimentare qual è la volontà di Dio, quella buona, piacevole, perfetta”. Così si potrebbe ritradurre il nostro testo cercando di rendere letteralmente le parole più difficili, ma interessanti e stranamente  (!) moderne per le nostre orecchie.

Innanzitutto “non aderite allo schema” di questo secolo. Molti di noi non sono consapevoli di uno  “schema del secolo”, parliamo più facilmente di uno “schema di questo mondo” e lo sappiamo in antitesi con il Regno di Dio. Anche noi facciamo l’antico errore dei manichei di vedere il mondo lacerato fra due forze, del bene e del male; lasciare il male, scegliere il bene è stato lo slogan più diffuso finora fra i cristiani. Come se fosse facile nei fatti capire cos’è bene e cos’è male per le singole persone e poi soprattutto più in grande per la collettività, come se non ci fosse la forza distruttrice del peccato che ci mette gli uni contro gli altri, gli individui contro la comunità, i sani contro i malati, quelli che hanno ricchezze a difendersi da quelli che non ne hanno…

Se il Regno di Dio e lo schema del secolo sono i due contrapposti, la via maestra dei cristiani (e in particolare di noi evangelici) è di seguire il Regno di Dio, come discepoli di Gesù. Non possiamo dire che il Signore non ci ha lasciato degli esempi concreti, ci ha insegnato ad esser poveri per scelta spirituale, ad essere mansueti, ad essere affamati e assetati di giustizia, ad esser misericordiosi, puri di cuore, facitori di pace, a rallegrarci quando gli altri non ci vedono conformi a sé e ci trattano come “nemici” dell’ordine costituito, che in realtà è il disordine in cui vive questo mondo. Gli esempi possono continuare, per alcuni, in conformità di alcuni testi estremi del Nuovo Testamento, possono arrivare anche a fare gli stessi miracoli che Gesù ha fatto e ancora di più grandi… Noi siamo sobri ci accontentiamo anche solo del Sermone sul Monte, come descrizione della via del Regno di Dio.

Lo schema del secolo si può dire che è l’esatto opposto: sono felici i ricchi che sono riusciti ad emergere dalla palude diffusa della povertà, sono ammirati e apprezzati gli “smart”, i duri (non i violenti, si capisce!), quelli che riescono a imporsi sui mansueti; la giustizia viene amministrata per condannare e isolare quelli che hanno fatto scelte sbagliate che nella quasi totalità dei casi verranno perduti e non recuperati; sono ammirati e considerati coraggiosi gli hard che mostrano e mercificano i corpi (specie delle donne) o comunque con la scusa dell’arte ne fanno un business fra i più ambiti almeno nel nostro mondo occidentale; e infine comandano il mondo quelli che fanno guerra, che fabbricano armi, subiscono attentati e ricatti, che però vengono restituiti moltiplicati con violenze senza fine per tante popolazioni inermi allo scopo di sottometterle in un “ordine” che è invece un palese disordine del mondo. I documenti dell’Assemblea Ecumenica di Accra, qualche anno fa, con l’invito esplicito alle chiese ad aprire gli occhi sulla sofferenza della maggior parte degli abitanti del mondo, hanno incontrato tiepide adesioni e sono stati presto messi in disparte. Erano invece un esempio molto chiaro di come si può trascurare “lo schema” perché vi si è così immersi da non vederlo più. L’esempio di quei documenti era la piccola cappella per i bianchi costruita sopra le prigioni dove i neri erano ammassati in vista della deportazione. In quella si poteva “sentirsi buoni”, cantare gli inni, celebrare il culto e poi andare fuori ad esercitare i propri loschi commerci!

Nella tensione fra i due “schemi”, noi cristiani occidentali, bianchi, del terzo millennio, fra quelli che contano in massima parte uomini e non donne, amici e collaboratori di chi tiene in piedi questo schema, non siamo punto perseguitati, anzi riceviamo favori ed onori, siamo riveriti, richiesti ai primi posti nei luoghi visibili del potere. Da queste postazioni, chi più chi meno, dettiamo regole quanto alla morale familiare, quanto alla naturalità, al decoro… Coliamo il moscerino, quando abbiamo inghiottito il cammello!

La cosa più probabile è che gli schemi siano non solo due e che convivano in ciascuno di noi, in maniera spesso schizofrenica, come realtà diverse alle quali partecipiamo con uguale impegno: una per vivere nel mondo circostante, un’altra come dimensione dell’anima in attesa del Regno di Dio, il cui avvento abbiamo spostato in un tempo molto lontano. Un tempo non si era consapevoli di quanto gli “schemi” fossero umani: il re o l’imperatore erano tali per volontà di Dio e si doveva sottomissione alle autorità nel nome di Dio. Ora sappiamo che è questione di scelte, alle quali partecipiamo anche noi e che possiamo impegnarci a cambiarle noi stessi e il mondo circostante. Le sollecitazioni della scienza e della tecnica ci fanno apparire altri possibili schemi, che anch’essi non sono da sacralizzare; al contrario sono occasione per “valutare” se sono nella volontà di Dio.

 

La seconda parola-chiave del nostro testo è “metamorfosi”, viene tradotta solitamente con “siate trasformati”, ma rimanda al mutamento profondo che avviene negli insetti, quando un bruco diventa farfalla. Noi non siamo in grado di vederne la continuità! Percepiamo coi sensi un mutamento così profondo da farci pensare che ci troviamo di fronte un altro insetto. Invece è lo stesso pur con una mutazione fondamentale: mentre prima strisciava ora vola; è fatto di materiale molto colorato e leggero, ha cambiato modi di vita e abitudini alimentari. L’apostolo  Paolo adopera questa immagine a ragion veduta, è una delle metafore della risurrezione: tu semini un “corpo corruttibile e risuscita incorruttibile, è seminato ignobile e risuscita glorioso, è seminato debole e risuscita potente…” (1 Cor.15,42). L’identificazione con la morte e la risurrezione di Gesù, che è simboleggiata nel battesimo, è il momento della metamorfosi per noi cristiani. Con la morte ci identifichiamo a tal punto con Gesù, da morire ad una vita secondo lo schema di questo mondo, per rinascere ad una vita nuova che non striscia, ma vola, che non si nutre delle cose di prima e che non aderisce allo schema di questo secolo.

La vita nuova secondo lo Spirito non ha paura del rischio, non teme l’isolamento, si accetta anche nell’imperfezione, perché è la volontà di Dio che deve esser perfetta, non la nostra. La vita nuova del credente è capace di concepire nuovi schemi di vita per noi stessi e per la nostra società e deve discernere in cosa consiste la volontà di Dio. E’ la mente, in quanto capo del corpo, sede dell’intelligenza, che deve subire la trasformazione, perché deve imparare a riconoscere per esperienza quale è la volontà di Dio distinguendola dallo schema del secolo. Quanto deve studiare per arrivare a questo discernimento! Quante situazioni e quanti scenari possibili deve valutare…

Il nostro testo non si nasconde la difficoltà: qual è la volontà di Dio? Forse che non è chiara attraverso l’opera di Cristo che l’ha rivelata? Ha bisogno di sempre nuova incarnazione per poterla distinguere dallo spirito di questo mondo. Quanti errori si sono fatti nella storia umana scambiando per volontà di Dio lo schema del proprio secolo: per esempio quando si bruciavano o torturavano gli eretici per amore della retta dottrina e (si diceva) per salvare le loro anime dalla perdizione eterna; quando ci si sottometteva a un tiranno perché non si immaginava un universo privo di autorità terrene, o quando si predicava la sottomissione delle donne agli uomini, e degli schiavi ai padroni, perché non si concepiva un mondo nella libertà e nella pari dignità dei figli di Dio. Sono stati sterminati i seguaci di altre religioni, ritenute pagane, e si sono commessi veri e propri genocidi, pensando di attuare la volontà di Dio…

Ma l’apostolo Paolo sembra avvertire il pericolo quando elenca le caratteristiche di questa volontà di Dio, che deve essere “buona”, “gradevole”, “perfetta”. Per “buona” si deve intendere che risponde al disegno del Creatore, che quando vide al termine di ogni giorno quello che aveva fatto disse: E’ buono; finché dopo la creazione degli umani dirà: E’ molto buono. Il “gradevole” esclude che possa piacere solo ad alcuni e non ad altri, contro cui si opera. Se deve esser gradevole per il mondo abitato da tutte le creature, abbiamo noi bisogno di un programma universale che ci permetta una vera e propria riprogrammazione, perché quello che abbiamo fatto finora serve solo a distruggere anziché a conservare la vita sulla terra. E infine il termine “perfetto” che è poco usato nella Bibbia, ma significa “ciò che raggiunge lo scopo” (teleios). Non si tratta di perfezione morale, ma di qualcosa che “raggiunge il proprio obiettivo”.  E’riferito soprattutto a Dio, ma può esser raccomandato anche agli

umani: “Siate perfetti, com’è perfetto il Padre vostro nei cieli” (Mt.5,48).

Lo scopo di Dio con noi e il nostro mondo è la metamorfosi, cambiarci da bruco a farfalla, perché giungiamo alla statura dell’umanità vera, di cui Cristo è stato una primizia. La lettera agli Efesini si esprime così: “avete imparato per quanto concerne la vostra condotta di prima a spogliarvi del vecchio uomo che si corrompe seguendo le passioni ingannatrici; a essere invece rinnovati nello spirito della vostra mente e a rivestire l’uomo nuovo che è creato a immagine di Dio nella giustizia e nella santità che procedono dalla verità” (Ef.4, 22-24).

 

 

 

IDOLATRIA

meditazione cantata del gruppo “Ci s’ha”

(dallo spettacolo di alcuni anni fa presso la Claudiana)

 

Non sono tempi buoni questi, come poterli rabbonire?

Una possibilità, una voglia che sentiamo dentro: crearci un aiuto, un salvatore forte e silenzioso che distrugga i nostri nemici e i nostri fantasmi. Un aiuto che però non ci disturbi quando non gli viene richiesto.

Ma a creare per noi idoli del genere ci hanno già pensato... e il nostro bisogno si trasforma nell’imposizione di immagini ed oggetti da adorare con religioso rispetto e devozione.

E’ la nostra creazione che ci sfugge di mano, ci si pone di fronte come estranea, ci domina.

 

 

Dal libro di Isaia cap. 44 (12-20)

 

Il fabbro lima il ferro, lo mette nel fuoco, forma l’idolo a colpi di martello e lo lavora con braccio vigoroso.

Il falegname stende la sua corda, disegna l’idolo con la matita, lo lavora con lo scalpello.

Si fa la scelta fra gli alberi della foresta, si piantano dei pini che la pioggia fa crescere.

Poi tutto questo serve all’uomo per fare del fuoco, ne prende per riscaldarsi, ne accende anche il fuoco per cuocere il pane;

e ne fa pure un dio e l’adora, ne scolpisce un’immagine, dinnanzi alla quale si inchina.

Ne brucia la metà nel fuoco, con l’altra metà allestisce la carne, ne cuoce l’arrosto e si sazia...

e con l’avanzo si fa un dio, il suo idolo, l’adora e lo prega: “salvami tu che sei il mio dio!”.

Non capiscono nulla, hanno impiastrato loro gli occhi perchè non vedano e il cuore perchè non comprendano.

Nessuno ha intelletto per dire: “ne ho bruciata la metà nel fuoco, sui carboni ho fatto cuocere il pane... mi inchinerò davanti a un pezzo di legno?”

 

 

 

Idolatria

 

Incudine battuta rovente

dal braccio vigoroso

forgiata la materia

con volontà possente.

Scalpello colpisce preciso

su legno stagionato

tagliata saggia forma

con fantasia sapiente.

 

Per sfamarsi, per scaldarsi

per arte o per mestiere,

ma il prodotto del lavoro

si nasconde al produttore.

 

Con il legno fanno il fuoco

con gli avanzi religione

con il fuoco fanno il pane

con gli avanzi tradizione

Hanno gli occhi impiastrati

espropriata la ragione

Si son tutti inginocchiati

agli dei di produzione.

 

Lamiere su griglie assordanti

fissato lo stile di serie.

Moduli interfaccia tra bytes

connessa la rete ai naviganti.

 

Per sfamarsi, per scaldarsi

per arte o per mestiere,

ma il prodotto de! Lavoro

si nasconde al produttore.

 

Con il legno fanno il fuoco

con gli avanzi religione

con il fuoco fanno il pane

con gli avanzi tradizione

Hanno gli occhi impiastrati

espropriata la ragione

Si son tutti inginocchiati

agli dei di produzione.

 

Con il legno fanno il fuoco

con gli avanzi religione

con il fuoco fanno il pane

con gli avanzi tradizione

Nessun dubbio li accarezza

sono in cerca di salvezza,

 un binario nella testa

per gli dei di cartapesta.

 

 


 

Poche lacrime

di Emilio Ursomando

 

Tanti pensieri. . .Quante parole.. .ma poche lacrime.          Quando non piangete più, è perché il vostro cuore                 si è allontanato dal mio.

Certo, vi affaticate per la mia opera.

Ma non è questa la strada.

Poche lacrime! Per il Sud.. .per il Centro.. .

per il Nord. Per questo il Sud non dà,

il Centro non nasce, il Nord non restituisce.

Poche lacrime! Perché non piange più

il vostro cuore, se sta piangendo il mio?

Moltitudini, in questa nazione, a gridare

ma pochi ascoltano, soprattutto pochi

sentono il loro dolore. Meno ancora piangono. quasi nessuno!

Perché?

Perché il cuore sta perdendo la passione,

le delusioni hanno consumato la fede.

Porti tanti messaggi, figlio, ma non è vero

che non piangi più così spesso come una volta?

E perché non piangi più come una volta,

quando invece è tempo di piangere di più?

La professione, sta prendendo il posto della passio ne. Poche lacrime!

Per questo il seme non riesce a germogliare.

Per questo tanta Italia rimane un deserto.

E la mia stessa chiesa ha foglie appassite,

porta frutti malaticci. Poche lacrime!

Forse, pensate:”Abbiamo pianto in passato,

abbiamo imparato” -. Ma quando si asciugano

gli occhi, è segno che si sta asciugando il cuore.

Il Centro piange, il Sud non sboccia,

il Nord ha radici deboli.

Cosa sarà del vostro lavoro, fra vent’anni?

Il nemico lo sradicherà, lo calpesterà, lo disperderà, senza trovare grande resistenza.

Tornate deboli! Tornate novizi! Se la conoscenza

vi allontana dal Mio cuore, tornate poveri.

Tornate a piangere, con me. Fra le lacrime

vi darò l’acqua per il Sud, la passione per il Centro, la sapienza per il Nord.

 

Tanti messaggi.. tanti progetti.. .ma poche lacrime!.

Tornate a me. Tornate a unirvi al Mio cuore.

E’ qui che ogni ministero si abbevera

e diventa dispensatore di vita.

Tra le lacrime!

 

 

 

 

La commissione “Cultura di Pace” della Parrocchia cattolica di

Ricorboli  (Firenze) ha prodotto tempo fa il seguente documento

 

UNA CULTURA “CATTOLICA”?

MEGLIO UNA TESTIMONIANZA CRISTIANA

NELLA LAICITÀ

 

Rifiutiamo l’idea di una cultura cattolica autosufficiente e autoreferenziata: cultura asfissiante di maggioranza in passato, cultura di minoranza rivolta prevalentemente all’interno del mondo ecclesiale oggi.

L’ispirazione di fede che ci deve muovere, in quanto cristiani, ci spinge a un confronto quotidiano con tutte le altre ispirazioni ideali e culture, fuori da ghetti anacronistici.

Pensiamo quanto è stata negativa in Italia, per decenni, la contrapposizione cattolici-comunisti. Quanto ha rallentato la fuoruscita del marxismo dai suoi limiti dogmatici e quanto ha frenato il cammino del cattolicesimo verso orizzonti conciliari. Anche oggi, del resto, vediamo come lenta e faticosa sia, tra i cattolici italiani, l’accettazione profonda del Concilio che proclama la Chiesa popolo di Dio. Questo cammino di liberazione è appena iniziato, e in mezzo a mille contraddizioni. Chiusa finalmente l’epoca della pretesa unità politica dei cattolici, nuove tentazioni integralistiche sono sempre in agguato. Nella difesa ad oltranza della scuola cattolica finanziata dallo stato, ad esempio, si afferma come diritto quello che in realtà è solo privilegio. I valori cristiani, quelli autentici, che sono valori universali, vanno affermati con forza, anche a livello educativo e formativo, ma non dall’interno di luoghi separati, protetti, garantiti.

Anche nel campo dell’etica rischi del moralismo, che poco ha a che fare con l’autentico agire cristiano, sono sempre forti. Ancor oggi l’attenzione prevalente della Chiesa è rivolta ai peccati che coinvolgono la sfera privata dell’individuo (unioni fuori dal matrimonio, uso di anticoncezionali...), rispetto a quelli sociali (evasione fiscale, corruzione, falso in bilancio...).

Certo, un’etica cristiana della responsabilità è importante e deve giustamente porre un argine al dilagare di una mentalità consumistica e individualistica dove tende a sparire la distinzione tra male e bene in nome della libertà assoluta del singolo. Ma è con la testimonianza di valori forti dì giustizia, solidarietà, di amore, non certo con la trasposizione meccanica di convincimenti etici in leggi dello stato che i cristiani devono assolvere il proprio ruolo all’interno della società. E in questa testimonianza, tanto nella vita pubblica quanto in quella privata, è necessario ristabilire, alla luce del Vangelo, alcune priorità.

Se crediamo realmente che il progetto di Dio sul mondo è lo shalom, quella pienezza di vita che implica pace, solidarietà, giustizia, libertà, fratellanza, non possiamo vivere come se questi obiettivi fossero impossibili. Pace, giustizia, salvaguardia del creato devono essere mete che in quanto cristiani dobbiamo porre come orizzonte concreto e visibile, seppure lontano e difficile da raggiungere. Non sempre nella Chiesa, tuttavia, si vive con questa consapevolezza. Tanto si parla di pace quanto poco la si pratica. Alcuni potenti della terra che si dichiarano cristiani si ergono a paladini di sempre nuove guerre sante contro l’Impero del Male: ieri il comunismo, oggi l’Islam, domani, chissà, la Cina.

Noi dobbiamo avere la forza di smascherare queste idolatrie che nascondono dietro una facciata religiosa ben altri interessi economici e di potere.

Shalom è dialogo, accoglienza, scambio, scoperta dei valori dell’altro, apertura al diverso e, ovviamente, ripudio della guerra come soluzione dei conflitti. Bandire la guerra, dichiararla tabù come l’omicidio, è un cammino di civiltà che i movimenti della pace nel loro insieme hanno cominciato a intraprendere, e come cristiani siamo dentro a questo processo universale che ci affratella a uomini e donne di diverse fedi e culture.

Altro concetto abusato è quello di giustizia: da un lato diventato fuori moda, surclassato dall’idea di privato e di mercato, dall’altro talmente annacquato da essere confuso con un paternalismo compassionevole.

In questi anni bui di trionfo del neoliberismo selvaggio le lancette dell’orologio della storia sembrano essere tornate indietro. Valori che parevano del tutto acquisiti, almeno in Europa (diritti umani, garanzie sociali per tutti...), vengono oggi messi in discussione. Anche in Occidente. Anche in Italia l’insicurezza regna ormai sovrana nella vita dei singoli e delle famiglie. Oggi dire “lavoro” per un giovane significa nella maggior parte dei casi “occupazione precaria” nessuna certezza per il futuro. Per non parlare poi delle relazioni economiche tra i popoli, sempre più dominate dalla legge del più forte, dove l’unica potenza rimasta, gli USA, unitamente al Fondo Monetario Internazionale, alla Banca Mondiale e all’Organizzazione Mondiale del Commercio, svuotano di fatto l’ONU delle sue prerogative e aggravano enormemente gli squilibri tra il Nord e il Sud del mondo.

E infine il creato, questo bene inestimabile che Dio ci ha affidato che viene ogni giorno vilipeso da uno sfruttamento djssennato delle risorse: un progetto suicida, nel lungo periodo, per l’intera umanità, ma perseguito con determinazione oggi, in nome di un progresso confuso con uno sviluppo insostenibile, che garantisce benessere a una minoranza del genere umano nel breve e medio periodo. Noi cristiani non abbiamo nulla da dire, e soprattutto da fare, riguardo a tutto ciò? Attenti ai richiami espliciti del Vangelo, forti delle indicazioni che il Concilio ha dato alla Chiesa e aprendo gli occhi al grido di dolore degli oppressi e degli impoveriti che sale fino al cielo, in quanto cristiani diventare operatori di pace e di giustizia non è una delle tante opzioni possibili, ma un imperativo morale.

Sta a noi quindi denunciare il peccato sociale come il primo dei peccati, perché su di esso si fonda una società basata sulla divisione, sulla disperazione, sull’odio, sulla guerra, su tutto ciò che per sua natura è anticristiano.

Pertanto tutti noi, nell’ambito che ci è più congeniale (cultura, politica, istituzioni, mondo del lavoro...), non all’interno di organizzazioni cattoliche separate, ma nel libero confronto con persone di diversa provenienza culturale che perseguono gli stessi obiettivi di giustizia e di pace, facciamoci portatori di speranza, sicuri come siamo che quel mondo solidale, quell’anticipo del Regno in cui crediamo è un’utopia concreta, fatta non per un lontano futuro, ma già operante nel presente. E dà senso alla nostra vita.

 

 

 

 

 

 

Io, Omosessuale e Credente

Riflessioni sullA MIA vita


di Simone Schinocca*

 

tratto dalla rivista "Mosaico di Pace", Luglio-Agosto 2006

Come si fa a essere credenti e omosessuali? E' una domanda che molti si pongono in una Chiesa che spesso non accoglie o in un mondo gay che non capisce quanti vogliono vivere pienamente la loro fede rimanendo in questa chiesa...
Un cammino che può essere raccontato solo da chi lo vive ogni giorno,  facendo emergere così le tante ragioni di questa scelta difficile, ma che riserva mille sorprese...
 

 

In serate come queste, quando lo smarrimento prende un po’ il sopravvento sarebbe bello che le persone che “amo” e che mi aiutano nel difficile cammino di fede fossero vicine. Un prete che la sua vocazione ha portato a migliaia di chilometri e un monaco distante solo un centinaio di chilometri da Torino.
E io quasi ventinovenne, cattolico, comunista e per finire anche omosessuale, stasera proprio non riesco a trovare la quadra. Sono settimane che devo scrivere questo articolo, un amico grande e sincero me lo ha chiesto, e queste righe sono diventate pretesto per tirare un po’ le fila rispetto alla mia vita – fatta di lavoro, di impegno, d’amore, di sesso – e soprattutto rispetto verso la mia fede. Arrivo da anni di grande attivismo in gruppi cattolici impegnati nel sociale e nella difesa dei più deboli, anni di animazione, di campi estivi, di ritiri e di preghiera. Anni di lavoro nel sociale, a coronamento di un bel percorso di studi.

 

Una storia

Poi un anno di vita in un’altra città, Firenze, una bella esperienza di servizio civile, allora ancora obiezione di coscienza, e la completa maturazione e accettazione della mia sessualità. L’anno si chiude con un pensiero che diventa quasi uno slogan della mia vita: amerò anche un altro uomo, ma sempre amore sarà e Dio non potrà che essere felice del mio amore. Con la serenità di una persona che non ha nulla da nascondere, non ho mai messo manifesti sulla mia vita sessuale ma neanche ho fatto della mia esistenza una sequenza di sotterfugi.

Nella vita privata, con gli amici, sul lavoro, nel mondo pubblico mi sono sempre presentato per quel che sono, con garbo, con il sorriso. Sarò stato fortunato, ma non mi sono mai sentito discriminato per il mio amare “diverso”.

Mai reazioni negative, di esclusione, di aggressività. Sarò stato fortunato, o forse il mio vivere serenamente il mio essere, si trasmette e viene ben accolto dalle persone che mi stanno vicino. Come può essere un problema per gli altri se per primo non lo è per me? Penso che la società abbia fatto veramente passi da gigante. Molto c’è ancora da fare, ma a oggi una persona omosessuale può tranquillamente vivere la propria sessualità senza doversi nascondere. La mia vita quotidiana ne è una prova. Nessun problema sul lavoro, un sacco di amici, la mia famiglia mi vuole bene, la famiglia allargata di zii e cugini (una di quelle belle famiglie del Sud) talmente carina che in occasioni di feste (Natale, battesimi, matrimoni ecc..) invitano me e il mio compagno; perfino le persone della parrocchia che frequento, che ormai “sanno”, mi stimano

Diritti civili

E proprio da questi primi pensieri parte una prima considerazione. Credo profondamente che sia venuto il momento che anche l’Italia riconosca una serie di diritti civili alle coppie omosessuali. Pur ritenendomi cattolico, credo che uno dei valori assoluti da proteggere del nostro Stato sia la laicità.
In una società in trasformazione in cui le diversità finalmente non temono di manifestarsi, in cui molte culture si incontrano, è importante difendere il valore della laicità. In suo nome penso sia giunto il momento di riconoscere che se due persone decidono di compiere un percorso di vita insieme, abbiano il diritto di poter stare accanto anche in momenti di malattia, di condividere patrimoni, di poter lasciare le proprie ricchezze all’altro. Il riconoscere questi diritti non va a ledere in nessun modo l’idea della famiglia, l’idea del matrimonio. La coppia eterosessuale o il matrimonio è in crisi, non perché due uomini o due donne si amano e chiedono che vengano riconosciuti i propri diritti.

Le ragioni sono complesse a specchio della complessità della nostra società e delle nostre vite. Come si può additare parte della crisi della famiglia proprio a chi chiede a gran voce di poter essere riconosciuto come famiglia? Due persone che si amano sono una famiglia, si sentono una famiglia, vivono come una famiglia indipendentemente da sesso, età e colore della pelle. Spesso a questi pensieri senti risposte del tipo: “Io non ho nulla contro... vivete... ma perché richiedere un riconoscimento?”. Perché non richiederlo, auspicarlo come il segno dell’ennesimo passo di civiltà della nostra società? È vero, pur senza riconoscimento la vita della mia “famiglia” continuerà, ma dovrò pregare che mai una malattia, un momento di crisi economica, o ancora peggio una morte improvvisa mi colga, perché so che se dovesse capitare qualcosa del genere probabilmente il mio compagno non potrà condividere e starmi vicino al pari di una qualsiasi coppia eterosessuale. Da qui potrebbe partire un lungo dibattito su quale tipo di riconoscimento sia auspicabile. Io mi fermo un gradino prima: l’importante è che ci sia almeno un passo che vada in quella direzione. Penso che la formula dei Pacs potrebbe essere la risposta giusta per i nostri tempi.

Credo che l’apertura alla possibilità che una coppia gay possa adottare un figlio sia troppi. Non mi pongo il problema se la coppia gay possa o non possa essere meglio o peggio di una coppia etero, ma credo fermamente che un bambino che va in adozione abbia diritto a una vita protetta e tutelata il più possibile. Già la sua storia che ha portato alla dichiarazione della sua adottabilità sarà un grosso zaino con cui fare i conti e da cui scrollarsi quantità più o meno grandi di dolore e sofferenza. In quello zaino oggi non sarebbe giusto aggiungere ulteriori discriminazioni e sofferenze per il fatto di avere due papà o due mamme. Probabilmente la nostra società, che ha già corso così tanto non è ancora arrivata a tanto.

Il peso delle parole

E da qui parte la seconda considerazione. Le alte sfere della Chiesa in questi ultimi mesi hanno più volte ribadito l’opposizione a qualsiasi forma di riconoscimento civile, si sono alzati i toni del dibattito.
Ogni volta che da Roma si sente parlare di omosessualità, di Pacs o di riconoscimenti civile, inevitabile l’associazione alla disgregazione della famiglia, del matrimonio, alla loro crisi e distruzione.
Adoro le mie guide spirituali e i grandi religiosi incontrati in questi anni proprio per l’immagine che ho di loro. Di persone, illuminate da Dio, che a braccia aperte corrono verso il prossimo chiunque sia. Le parole hanno un peso, ancora di più quelle di un cardinale o di un papà. E da quelle parole, da quella continua chiusura mi sento così lontano. Ogni volta che si sottolinea una separazione netta fra un noi e un voi, la sensazione che profondamente sento è quella di esclusione.

Forse quel dolore o il desiderio di costringermi a interrogarmi sempre di più, forse la ricerca profonda di Dio, mi ha portato da qualche mese a decidere di non avvicinarmi più alla comunione. Sto riscoprendo il valore della Messa come momento di preghiera comune e di comunità, cerco di pregare con il cuore durante il ricordo dell’ultima cena, chiedo al Signore al momento della comunione di starmi vicino. Lo chiedo con il cuore.

Vivo tutto questo come una grande rinuncia, non mi sento in colpa per nulla, ma obbedisco alle indicazioni “ufficiali”. Non fa parte di me credere al valore dell’obbedienza. Ma forse non spetta a me “farmi sconti”!.

E così chiedo al Signore di starmi vicino, perché lo desidero con il cuore. E gli chiedo di aiutarmi a vivere quel non ricevere la comunione, come un ennesimo stimolo alla ricerca più profonda di Lui. La preghiera è fatica. In questo periodo prego molto. Prego per le persone che amo e che non ci sono più, prego per la mia fatica quotidiana. Sto riscoprendo la dolce figura di Maria e anche questo è un bel dono.
Mi sento parte della Chiesa? La risposta è sì. Sento che c’è una Chiesa che mi vuole bene, che mi ama. Fatta di persone, di azioni, di lavoro, di amore.
Sento una Chiesa lontana, fredda, oscura, che faccio così fatica a capire, fatta di lettere, di encicliche, di dichiarazioni, così lontana dalla nostra vita e dalla nostra gioia e fatica quotidiana. La mia vita in quest’ultimo anno mi ha portato grandi cambiamenti.
Un lavoro artistico sognato da tempo, il continuare a lavorare con la gente ma da un’altra prospettiva, una persona cara che sta lottando ogni giorno per sconfiggere una terribile malattia. E poi due grandi doni: una fede ritrovata e un compagno. Lui ha qualche anno in più di me, non è nato in Italia, non è cattolico bensì di religione ebraica. E proprio nel confronto con lui mi rendo conto di quanto mi senta ancora facente parte di quella Chiesa “dalle braccia aperte”.
Questo è il Simone, ventinovenne, artista, cattolico, comunista, gay... Ti prego Signore stammi vicino!


 

* Simone Schinocca, 29 anni, Torino, laureato in Scienze Politiche, ha svolto per alcuni anni lavori sociali in carcere, in comunità con persone con problemi psichiatrici e come assistente sociale. Da circa un anno lavora per una giovane compagnia teatrale torinese occupandosi dell'organizzazione di eventi e dell'ideazione e realizzazione di progetti in campo artistico e culturale.

 (  Dai materiali del Gruppo Kairòs Firenze )

 

 

 

Il naso tra i libri

a cura di Sara Rivedi

 

Adele Grisendi

Baciami piccina

Sperling&Kupfer 2005 pp.272 €15

 

Cenni biografici

 

Adele Grisendi è nata a Montecchio Emilia (Reggio Emilia) nel 1947. Dopo aver ricoperto alcuni incarichi nella CGIL dal 1990 è Direttore del Centro di Documentazione sui servizi innovativi a disposizione dei cittadini. Dal 1995 dirige Tempomat, Osservatorio Nazionale delle Banche del Tempo di cui è stata la creatrice. Ha pubblicato vari libri presso Mondadori e per Sperling&Kupfer alcuni dei quali hanno una forte connotazione autobiografica perché la sua terra e la sua famiglia ne sono le protagoniste.

 

Baciami piccina

 

Il titolo può essere deviante, fa pensare immediatamente ad un romanzetto rosa un po’ frivolo e superficiale invece cela la storia di una famiglia di agricoltori, più esattamente di mezzadri, che vive e lavora in una delle zone più fertili dell’Emilia sul confine fra Reggio Emilia e Parma.

La narrazione prende avvio nei primi anni del 900, precisamente nell’inverno del 1920 quando Iolanda, la madre di Adele Grisendi, viene al mondo. La bambina, ultima nata di una numerosa famiglia di tipo patriarcale, è il personaggio chiave del racconto, di lei, della sua vita e della sua malattia narra con amore e pudore la Scrittrice, senza indulgere al sentimentalismo e senza mai eccedere al fine di suscitare commozione e pietà nel lettore.

Proprio lo stile sobrio e misurato, la narrazione fedele ed attinente alla realtà avvincono fin dalle prime pagine. E la storia dei Grisendi, dei loro parenti e dei loro vicini, diventa ben presto la storia del lettore che si scopre a vivere un frammento di Storia del paese e del popolo a cui appartiene e ne resta inevitabilmente coinvolto anche perché è Storia non remota, ma di un passato prossimo ancora vivo nella memoria di molti.

La vicenda si svolge nel cuore dell’Emilia  ed è carica di sofferenza, dolore, fatica, rinunce, miseria anche se la terra è generosa perché le giornate del mezzadro sono lunghe (dall’alba al tramonto), il lavoro estenuante, i contratti padronali onerosi, i controlli severi e continui. L’Autrice, nel primo capitolo, si sofferma a descrivere minuziosamente la strutturazione della società mezzadrile con le sue regole ben stabilite e codificate: la famiglia retta con fermezza rude e spietata dal capo famiglia e da sua moglie, la massaia. Il primo provvede a guidare e coordinare il lavoro dei campi e la cura del bestiame, la seconda a sorvegliare i lavori domestici. Ambedue vigili affinché non si rilevino sprechi e negligenze. In questa società così verticizzata e governata con autorità che sovente scivola nel dispotismo le donne sono vere bestie da soma, sfruttate, disprezzate, costrette alla sottomissione ed all’ubbidienza silenziosa, trattate insomma come serve anche se figlie, nuore, sorelle. Se il “reggitore” è un despota, la “rendoura” è una vera tiranna che stringe forte nelle sue mani i cordoni della borsa; a lei spetta il compito di comprare la stoffa per gli abiti di tutta la famiglia ed è sempre lei che non permette alle donne di casa di esprimere idee ed opinioni, il motto è “Taci e lavora!”. Così queste esperimentano quotidianamente una vita di fatiche, di umiliazioni e di rinunce ed il loro lavoro, mai apprezzato e valutato, è costituito da molteplici mansioni che esse devono compiere con perizia e  solerzia sia in casa che nei campi poiché in serbo c’è sempre qualcosa d’altro da fare. Per loro la giornata non termina con il calar della notte: dopo cena si riuniscono a tessere, filare, cucire, lavorare a maglia. Ed i figli? Quando sono piccoli, una volta puliti e nutriti, vengono lasciati a dormire. Le carezze e le coccole sono rare e fugaci, non c’è tempo per queste ed appena sono abbastanza autonomi devono provvedere a se stessi ed ai fratelli minori. Molto presto sono avviati ai lavori agricoli, la scuola resta un

sogno irrealizzabile per la maggior parte di loro.

Adele Grisendi narra come sua madre, appena undicenne, fosse terrorizzata dalle mucche che doveva mungere e disgustata dal gesto di spremere il latte, ma non poteva sottrarsi a quel compito affidatole e così, ricacciando silenziosamente in gola i singhiozzi, proseguiva il suo lavoro. In questo contesto si inserisce la vicenda personale di Iolanda che porta impressi nella psiche i segni di una vita di duro lavoro, di rinunce, di ansie e di attese perché nello spazio temporale che racchiude la storia della sua vita molti sono gli accadimenti che si susseguono e mettono a dura prova la sua resistenza: la guerra, la partenza del marito per il fronte, le lunghe attese senza ricevere sue notizie, la fatica di provvedere anche al lavoro dell’uomo, le gravidanze non portate a buon fine che suscitano in lei un senso di colpa “per aver tradito le aspettative del marito”, infine la nascita di Adele, una bambina, non un maschio. La donna cade in depressione e la malattia la blocca a tal punto da non riuscire ad esprimere il suo amore per l’unica figlia. È la storia drammatica di una donna che trova la sua inevitabile conclusione nel disagio mentale e nella follia. Iolanda viene sottoposta ad elettroshock, terapia praticata a quel tempo, ed infine ricoverata in un ospedale psichiatrico. Sarà proprio in questo luogo di dolore e sofferenza che la donna riuscirà un giorno a manifestare il suo amore per la figlia sussurrandole, con il volto inondato di lacrime, la breve frase “Angelo mio”.

Ma Adele Grisendi  narrando la storia della madre non si sofferma solamente a descrivere la difficile vita delle donne ed il rigido modello patriarcale che la regolava, evidenzia anche la positività costituita dalla presenza costante di una grande famiglia, il calore ed il senso di protezione che ne deriva. Infatti proprio le attenzioni di zie e di nonne le avevano permesso, da bambina, di non provare il senso dell’abbandono, della privazione, della solitudine. Dunque Baciami piccina è una storia gravida di sofferenza, ma al tempo stesso permeata di affetto e di solidarietà.

 

 

Segnalazioni Claudiana

Antonio Di Grado, Giuda l’oscuro. Letteratura e tradimento,  pp. 160  Editrice Claudiana.

L’Autore ci guida in un percorso all’interno della letteratura e al cinema del XX secolo, prendendo come filo guida la poliedrica figura di Giuda e il tema cruciale del tradimento.
Il libro: Giuda è stato di volta in volta testimone, indiziato o accusatore nel processo intentato alla storia dalla letteratura, o convitato silente a un implacabile dibattimento intorno al tema cruciale del Tradimento: di una fede, un patto, un mandato, una gerarchia di norme e valori, un’identità nazionale o ideologica.

Seguirne le orme può quindi contribuire ad arricchire il profilo del secolo appena trascorso e di una letteratura come lui votati al dubbio, allo sgomento, alla trasgressione, alla disfatta, all’apostasia e al compiacimento per gli stati più torbidi della coscienza e del comportamento sociale, ma pure alla loro lucida perlustrazione.

Di Grado si è così messo alla ricerca dell’Iscariota, della sua immagine mutevole e dei suoi numerosi replicanti in compagnia degli scrittori (nonché di qualche cineasta) che l’hanno direttamente evocato, ne hanno trattato il crimine o l’hanno scontato, tradendo le idee dominanti o sentendosene traditi.
Scrittori “irregolari”, negletti o maledetti come il loro protagonista, dannati all’indifferenza, all’incomprensione, all’oblìo o al biasimo, di cui Giuda è stato guida e specchio, oggetto di riflessione e d’invenzione.

 

 

Notizie dalle chiese fiorentine

Dalla Chiesa Valdese

Molti eventi stanno caratterizzando questa fine anno ecclesiastico, in particolare assemblee e partecipazioni di cori gospel ai nostri culti domenicali. Il 1° aprile  abbiamo ascoltato il coro Senbassinga che ha partecipato anche alla nostra agape. L’assemblea a tema era sul documento Glom (Gruppo di Lavoro sull’omosessualità) che ha riscosso molto interesse. Dopo una introduzione di Letizia Sommani e della pastora, l’assemblea ha discusso con intensità e pacatezza  questa controversa questione e in particolare sulle benedizioni di coppie omosessuali. Ecco l’ordine del giorno che abbiamo concordato insieme: “L’assemblea del 1° aprile 2007 si riconosce nel documento Glom e sulla possibilità di benedire coppie omosessuali, di cui almeno uno/a sia appartenente alla comunità; ritiene inoltre necessario continuare a riflettere e discutere sulle diverse problematiche che nasceranno e confrontarsi con i membri della comunità che sono in difficoltà ad accettare questo nuovo cammino”.

Siamo tornati nella chiesa della Trinità dopo il periodo invernale. Il venerdì c’è stato un bellissimo concerto del fratello organista M° Jolando Scarpa. Il martedì dopo Pasqua abbiamo celebrato il funerale del fratello Francesco Amato. La chiesa era gremita e abbiamo ascoltato alcune testimonianze, concluse dal figlio Paolo, senatore della nostra Repubblica,  che lo ha ricordato in questo modo:  “Mio padre, Francesco, era un uomo austero e semplice, come solo sanno esserlo i Protestanti, un uomo umile, ma al contempo orgoglioso della propria identità, della propria famiglia e delle tante vite dignitosamente vissute lungo la sua esistenza. Mio padre - e chi lo ha conosciuto lo sa - nutriva due grandi passioni: una per il suo lavoro di insegnante, cui tanto ha dato e che tanto gli ha dato; e l’altra per l’Africa, dove visse gli anni più intensi della sua esistenza e che rimase per lui la terra della giovinezza, il luogo privilegiato di ogni ricordo. Mio padre era anche un uomo colto, che però detestava l’intellettualismo e lo sfoggio del sapere. Alla forma preferiva la sostanza delle cose e dei nomi. E su tutto privilegiava la testimonianza dei valori etici e religiosi che sostanziano la tradizione culturale della nostra civiltà occidentale. Se penso ad un suo lascito morale, credo di poterlo riassumere nella forza dell’idea, tutta mazziniana, di un diritto fondato sul dovere e di una libertà animata dalla responsabilità e nella forza della fede cristiana, da lui vissuta con tanto rigore quanto candore. Ricordo che una volta, discutendo della natività, gli parlai dell’antica simbologia dell’uomo che nasce da dio e si fa dio. E lui mi interruppe bruscamente, con la severità che gli era propria, dicendomi: “Tu non capisci. Per me Gesù è veramente il Figlio di Dio”. Era quel “veramente” a fare la differenza tra la mia e la sua fede. Quella fede che oggi lo conduce dinnanzi al Cristo risorto, vincitore della morte, con la certezza della vita eterna e la consolazione della vostra preghiera”.  Abbiamo riportato questo lungo stralcio del suo discorso perché abbiamo profondamente gradito e condiviso questo intervento. Qui su Diaspora ci piace anche ricordarlo come autore di “racconti africani” (alcuni di recente pubblicazione) che erano sempre improntati ad un senso di giustizia e di condivisione delle risorse.

Abbiamo ricevuto notizia della morte della sorella Irma Tagliarini Sparviero, che aveva oltre 95 anni. La figlia Brunella, che ce ne scrive, la ricorda come “vigile e attiva, curiosa di tutto e di tutti”. Con il buon senso e la praticità che la caratterizzavano, ripeteva spesso che “la vita bisogna inventarsela”, massima di grande saggezza che può essere ben condivisa.

Ci hanno visitati il past. Pawel Gajewski con sua moglie Lucia per un breve, ma intenso fine-settimana. Torneranno dopo il 10 luglio per trasferirsi a Firenze.

Domenica 6 maggio si terrà l’assemblea di valutazione dell’anno con le relazioni morale e finanziaria e le elezioni dei nostri deputati al Sinodo e alla Conferenza Distrettuale. Domenica 13 maggio ci sarà l’Assemblea del X Circuito a Pisa. Domenica 21 maggio un mini-corso per predicatori locali, che comincerà già sabato 19 dopo le 17 per la preparazione del culto del 20. Al culto di Pentecoste ci saranno 5 ammissioni in chiesa e l’agape per pranzo. Nel pomeriggio le consuete attività ecumeniche alle 15.30 in via Portinari e alle 18 nel Battistero.

Domenica 10 giugno verranno battezzati i piccoli: Pietro Buttitta e Gioele Canino, si terrà poi una festa in v. Manzoni.

 

 

Dalla Chiesa Battista di Firenze

Il culto domenicale prosegue sul nuovo orario (11:00) preceduto dallo studio biblico del Pastore Raffaele Volpe sulla traccia del libro Vita con uno Scopo di Rick Warren.  Anche la Scuola domenicale continua il suo programma. Il Mercoledì sera (ore 19:45) Patrizia Sciumbata cura uno studio su Isaia (40-55): siamo arrivati al capitolo 52. Da segnalare ancora una Agape molto partecipata il 1 Aprile (110 partecipanti), qualche ospite (ricordiamo 2 sorelle da Gerusalemme che ci hanno allietato con canti in ebraico), un paio di concerti di musica classica. Il consiglio di chiesa si è riunito il 15 aprile. Il 25 aprile partecipazione alla sfilata commemorativa della Liberazione dal nazifascismo.

Proseguono gli incontri di preghiera nelle case: Gilda D'Angrò e Paolo Biagini, Giorgio Brandoli e Rosita Tonarelli, Gloriana Innocenti, Dunia Magherini e Danilo Baconi Il week end del 28-29 aprile viene dedicato alla musica nel culto,  con la partecipazione di Carlo Lella animatore musicale dell'Unione Battista: presentazione della Scuola per Animatori musicali promossa dal Dipartimento di Evangelizzazione dell'UCEBI.

Molti sono i fratelli e le sorelle, soprattutto anziani/e, infermi: a loro inviamo il nostro più affettuoso saluto.

 

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Appuntamenti di maggio

Sabato 5 maggio in Via Manzoni 19 alle 17 presentazione dei due libri sul Protestantesimo del prof. Massimo Rubboli e del past. E. Fiume alla presenza degli autori.

Mercoledì 9 presso Vie Nuove, viale Giannotti convegno sul Concilio Vaticano II (tra gli invitati il prof. Fulvio Ferrario) ore 20.30

Venerdì 11 e sabato 12 convegno su Giorgio Spini

Mercoledì 16 alle 21 presso la Sala Brunelleschi, p.za SS. Annunziata incontro interreligioso conclusivo con concerto e meditazioni.

Venerdì 18 festa di Primavera del Centro Sociale Evangelico

Martedì 29 a giovedì 31  Bazar del CSE e Coop. La Riforma alle 15 in Via Manzoni.

10 giugno Festa del Gignoro dalle 15.30 in poi.