Diaspora evangelica

Mensile di collegamento, informazione ed edificazione

Anno XLII – numero 6 – giugno 2009

 

 

Felicità

di Umberto Saba (1883-1957)*

 

La giovinezza cupida di pesi

porge spontanea al carico le spalle.

Non regge. Piange di malinconia.

 

Vagabondaggio, evasione, poesia,

cari prodigi sul tardi! Sul tardi

l’aria si affina ed i passi si fanno

leggeri.

Oggi è il meglio di ieri,

se non è ancora la felicità

 

Assumeremo un giorno la bontà

Del suo volto, vedremo alcuno sciogliere

Come un fumo il suo inutile dolore.

 

*Poeta triestino. Negli anni 1905-1906 compì un viaggio a Firenze che influenzò notevolmente il suo linguaggio poetico. La poesia “Felicità” è tratta dal volume Parole (1933-34).

 

 

 

 

In questo numero:

·          Meditazione biblica di Pasquale Iacobino

·          Il naso tra i libri di Sara Rivedi Pasqui

·          Anniversario di Tullio Vinay

·          Laboratorio Speranza di Pasquale Iacobino

·          Fcei: Campagna “Non aver paura”

·          Dalle associazioni e dalle Chiese evangeliche fiorentine

·          Ecumenicamente (s)corretto di Roberto Davide Papini in collaborazione con Anna Vezzosi

 

Editoriale

 

La riflessione su un’umanità rinnovata si trova al centro di questo fascicolo. Un’utopia? Un sogno? Oppure si tratta di una realtà già in atto? Personalmente propendo per la terza ipotesi, anche se il più delle volte la realtà che vivo sembra affermare il contrario. Lo sguardo della fede penetra oltre le nubi del peccato per scorgere i raggi della Grazia che illuminano un mondo nuovo voluto dall’Eterno.

 

In questa stessa ottica del peccato e della Grazia voglio guardare anche la consultazione elettorale, che coinvolge la città di Firenze. Molti nomi di evangelici fiorentini sono comparsi su diverse liste elettorali: per la provincia, per il comune e per i quartieri. È un segno assai positivo. Fa pensare che i credenti evangelici vogliano dare la testimonianza della loro fede attraverso un agire politico laddove le decisioni riguardano l’intera società. Schieramenti diversi, alleanze elettorali diverse sono la dimostrazione della libertà evangelica, in cui la persona agisce secondo la propria coscienza, in cui l’evangelo non è appannaggio particolare di un unico schieramento a discapito degli altri. La comunione in Cristo Gesù supera ogni affiliazione elettorale.

 

Come evangelici preghiamo e votiamo affinché la Provincia e il Comune di Firenze possano avere governanti che, a prescindere dalla loro appartenenza confessionale, siano in grado di rendere sempre più visibile un mondo e una società fondati sulla gratuità e sull’amore, dissipando le fitte nubi degli interessi personali e di partito. (p.g.)

 

Conoscere Dio, coltivare l’umanità: Matteo 11,25-30

di Pasquale Iacobino

1. Esiste l’umanità?

 

La domanda[1] non è se “Dio esiste” ma se “l’umanità esiste.”

Non è una domanda filosofica o speculativa, da salotto letterario o da talk show. A volte si fa largo prepotentemente, sgomitando nella nostra quotidiana ricerca di senso. E’ un interrogativo che in una qualche forma ha vibrato nei cuori dei partecipanti al viaggio ad Auschwitz. Ha a che fare con la dignità della nostra vita presente e futura. Recentemente l'ho raccolta da 3 voci, diverse tra loro, ma che ponevano la stessa questione.

La prima voce è quella di Maria Silvia, una ragazzina di Firenze. Nella lettera inviata ad un quotidiano, Maria Silvia si presenta così: «Ho 15 anni e sono una normalissima adolescente che va a scuola, esce con gli amici e litiga con i suoi genitori. Normale. L’unica differenza è che quando avevo appena 6 o 7 mesi sono stata adottata. Per questo la mia pelle ha una sfumatura olivastra, per questo i miei occhi sono a mandorla, così differenti da tutti gli altri».[2] Maria Silvia ha scritto al giornale perché ha deciso di non tacere quello che le è successo. Di ritorno da una bella e spensierata giornata al mare trascorsa con il suo gruppo di amiche e amici, in treno diventa vittima di insulti razzisti da parte di una banda di ventenni, fino a ricevere l’onta dello sputo. Maria Silvia piange, piangono i suoi amici. Al giornale Maria Silvia dice: «Sputare addosso ad una persona equivale ad una coltellata, che affonda nel profondo e lascia una cicatrice indelebile», è il «simbolo del declino di tutto ciò che è umano».

La seconda voce è quella di Asik Tuygun, il comandante turco del mercantile Pinar, la nave che dopo aver soccorso 140 migranti nel Mediterraneo rimane bloccata in mezzo a mare e per diversi giorni, a seguito del conflitto di competenze viene respinta tanto dall’Italia quanto da Malta. A bordo c’è già il corpo senza vita di una ragazza incinta. Le condizioni in cui versano questi disperati fanno temere il peggio. Il comandante implora: «Aiutateci altrimenti moriranno, non abbiamo viveri, non abbiamo acqua a sufficienza, dormono su ponte al freddo.. Vi prego fateci sbarcare da qualche parte». E’ amareggiato Asik, prima gli hanno chiesto dalle capitanerie di porto di soccorrere i naufraghi, e poi non lo fanno sbarcare: «ci bloccano tenendoci fermi in mare aperto con la gente disperata che può morire da un momento all’altro. Ma è umano tutto questo?»[3]

La terza voce è quella di un finanziere italiano impegnato nell'operazione di respingimento in Libia di un barcone di migranti, intercettato nel Mediterraneo: «Dopo aver capito di essere stati riportati in Libia ci imploravano: “Fratelli aiutateci!” ma non potevamo fare nulla, gli ordini erano quelli... Non racconterò ai miei figli quello che ho fatto, me ne vergogno».[4]

Come ha scritto Desmond Tutu, arcivescovo di Città del Capo, Premio Nobel per la Pace e voce della lotta contro il regime dell'Apartheid in Sudafrica, ma anche pastore d'anime impegnato nella riconciliazione nazionale tra bianchi e neri, tra carnefici e vittime: «una persona è una persona attraverso le altre persone... abbiamo bisogno di altri esseri umani per essere umani... l'unico modo per essere umani è assieme».[5] Quando ferisco la dignità umana di una persona è la mia stessa umanità che ne risulta compromessa, è la mia stessa dignità a uscirne offesa.

 

2. Che ne sarà di noi?

 

La domanda se l’umanità esiste irrompe violentemente a seguito di uno shock, quando sentiamo che il terreno sotto i nostri piedi si apre e diventa abisso, un vuoto niente che sta per inghiottirci. Se la riformulassimo in un altro modo, forse si comprenderebbe meglio la sua valenza esistenziale: chiedersi se l’umanità esiste equivale a chiedersi “che ne sarà di noi?” Quando il negativo irrompe nella nostra vita, diventa minaccia, scossa di altissima magnitudo e voragine, ecco che allora ci chiediamo: che ne sarà di noi? E ce lo chiediamo anche noi che non siamo propriamente naufraghi in mare, ma a volte siamo naufraghi del significato e scopo della nostra vita; ce lo chiediamo noi semplicemente in quanto viventi, poiché vivere significa essere esposti, sperimentare la propria fragilità, consumarsi nel dolore e struggersi nella gioia, ferire e ferirsi poiché «vivere significa sempre avere una relazione»[6] e una relazione vissuta con un grado minimo di autenticità comporta sempre una certa vulnerabilità.

Che ne sarà di noi? È la domanda dei piccoli o dei semplici,[7] dei travagliati, degli aggravati e degli oppressi. Possiamo immaginarla come la domanda su cui si arrovellavano i discepoli di Gesù dopo aver visto il loro Maestro respinto da città come Corazin, Betsaida, Capernaum, «città nelle quali era stata fatta la maggior parte delle sue opere potenti» (Mt 11:20-23). Non era certo un momento felice per questa comunità di semplici in cammino se persino Giovanni il Battista aveva cominciato ad avere dei dubbi e aveva mandato a chiedere: «Sei tu quello che deve venire, o dobbiamo aspettare un altro?» (Mt 11:3).

Che ne sarà di noi? E non sarà stato forse anche questo il muto interrogativo dei discepoli sbandati e dispersi di fronte alla tragedia della croce? Hanno visto il mondo con una grande speranza nel cuore ma «la morte (di Gesù) sulla croce non è soltanto la fine della vita che uno ha, ma anche la fine della vita che uno ama e su cui spera. La morte di Gesù fu sentita come la morte del Messia mandato da Dio e contiene in sé anche la “morte di Dio”. Perciò la sua morte è sentita e annunziata come abbandono di Dio, come giudizio, come maledizione, come esclusione dalla vita promessa e ripromessa, come riprovazione e dannazione».[8] Che ne sarà di noi? Non è solo la morte in sé che ci fa paura, ma l’angoscia di essere separati da tutto ciò che amiamo, abbiamo sì paura della Signora Morte dal mantello nero, ma ci procura angoscia la lunga falce che ci separa dalla promessa di vita.

A questo punto l’unico orizzonte possibile sembra il trionfo del potere della morte e che cosa sarà di noi possiamo dirlo con i versi macabri e malinconici del Canzoniere della morte:

 

« un giorno sarò terra contesa

mi vorranno i vermi i lombrichi le stelle

eppure un giorno ero vivo e ho visto il mondo

eppure un giorno ero vivo e ho visto il mondo»[9]

 

3. Il Regno e la sua forza ricreatrice

 

E allora? Festa finita? Partita chiusa? Vince il potere della morte? Tipo: “Morte batte Vita 6 a 0”? Chi è abbattuto resterà abbattuto? chi piegato resterà piegato, chi rannicchiato dallo spavento e dalla paura resterà rannicchiato e spaventato?[10]

No. La partita non è chiusa. Perché contro la realtà che si barrica nella fortezza della ragione e del buon senso, contro la realtà che pretende di essere il ritratto dell’unica (dis)umanità possibile, l’umanità dei sapienti e degli intelligenti, dei forti, di quelli che sono, contro questa Signora Realtà della Morte, Dio si oppone con la risurrezione di Cristo. Con la Pasqua Dio stesso «contraddice la sofferenza e la morte, l’umiliazione e l’insulto, e la malvagità del male»[11], Cristo non è solo la consolazione nella sofferenza ma è anche la protesta di Dio contro la sofferenza.

Ecco che le parole del Cristo sono una risposta ma anche una esultanza (cfr. Luca 10:17): «io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e dalla terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli». E cos’è che è dato conoscere ai piccoli, ai semplici, a chi si è messo in cammino con Cristo, in una parola, cos’è che è stato rivelato alla sua chiesa?[12] Possiamo dirlo nel modo più diretto possibile? Qui si parla del Regno di Dio[13], del “regno dei cieli” secondo Matteo.

Noi, come chiesa di oggi, come semplici del tempo presente, possiamo opporci alla Signora Realtà della Morte annunciando che la partita non è finita, ma anzi, è cominciata “la rimonta”, e il potere della morte ha i minuti contati! Non solo perché confidiamo nella promessa di un Regno in cui “la pace e la giustizia si baciano” (Salmo 85:10), ma perché la sua forza, la forza del Regno, è già operante. Quella forza del Regno che già oggi fa risorgere i viventi, sana le ferite, consola la tristezza, libera dall'angoscia, ridona la vista, risolleva dalla polvere, ci ri-crea in Cristo come nuove creature.  E’ già operante quella forza e annuncia la vita nel mezzo della morte, anzi annuncia che la vita è più forte della morte. E quindi potremmo dire “Vita batte Morte 7 a 6 “,  la differenza la fa il riposo, compimento della creazione, ma anche ri-creazione di tutte le cose.[14]

Infatti, per noi piccoli, semplici di oggi, il Regno di Dio «non è nulla di meno»[15] che l’adempimento futuro di tutte le promesse: la Giustizia di Dio, la nostra stessa risurrezione dalla morte, nuovi cieli e nuova terra,  il tempo in cui Dio sarà «tutto in tutti» (1 Cor. 15:28).

 

4. L'umanità nascosta, l'umanità vera e il discepolato

 

Ora possiamo anche rispondere alla domanda: “esiste l’umanità”?

Il Crocifisso Risorto, il Cristo, ci rivela la vera umanità. L’umanità invisibile, occulta, nascosta è in Gesù, che si fa clandestino, naufrago, disprezzato, ferito, torturato e crocifisso: ecco l'uomo, ecco il vero volto dell'umanità, perduta e abbandonata ma disposta a donarsi per amore del mondo. Cristo è la via per la vera umanità, l’umanità che ama, e che amando diventa sì vulnerabile ma abbatte ogni muro di separazione tra i popoli, le classi sociali, i generi, poiché in Cristo non v’è più “né giudeo né greco, né schiavo né libero, né maschio né femmina (Gal.3:20)”[16]

 

E che cosa ne sarà di noi?

Discepolato! Seguire Cristo con la fiducia nella “fedeltà di Dio alle sue promesse” e quindi se perduti saremo ritrovati, se umiliati saremo rialzati, se mortificati saremo vivificati.

Discepolato dunque, senza il peso della nostra cattiva o buona coscienza, o della nostra religiosità, del nostro buon senso o dell'ansia per il nostro futuro. Per il nostro futuro, per quello che sarà e saremo, basta Cristo (solus Christus !) in Lui troveremo pace e riposo.

Riassumendo in una frase il messaggio di oggi, possiamo dire con Calvino:

«Dove Dio è conosciuto là si coltiva anche l’umanità»[17]

 

 

 

Il naso tra i libri: Mary Wollstonecraft*

di Sara Rivedi Pasqui

 

Mary Wollstonecraft è considerata la madre del femminismo moderno, benché la sua vita come donna e come studiosa sia stata assai contraddittoria e inquieta, tuttavia a lei va il merito di aver dimostrato quanto difficile e dura fosse la condizione femminile in un’epoca ed in una società in cui gli uomini detenevano il potere sull’altro sesso costretto dunque a vivere in uno stato di subalternità e di emarginazione.

Nacque a Londra nel 1759 da una famiglia assai modesta poiché il padre aveva subito dei rovesci finanziari e dunque all’età di 19 anni Mary dovette cercare un modo per guadagnarsi da vivere. All’inizio fondò una scuola insieme alle sorelle ed ad un’amica, ma l’esperimento fallì e così dopo due anni (1784-1786) la chiuse e si cercò un posto di governante. Nello spazio di questi due anni frequentò la comunità anticonformista del filosofo radicale Richard Price e nel 1786 iniziò una lunga collaborazione con l’editore Joseph Jhonson come traduttrice ed autrice di recensioni e saggi. Nel 1792 pubblicò A Vindication of the Rights of Woman ritenuto il primo manifesto del femminismo. Nello stesso anno, attratta dagli eventi della Repubblica Francese, decise di partire per Parigi dove contattò i Girondini, gruppo politico difensore della causa femminile, e con loro ideò un progetto per l’istruzione popolare. Durante il soggiorno parigino conobbe Gilbert Imlay, ufficiale americano, ma anche pratico uomo d’affari e fu travolta da una violenta passione per lui, vagheggiò di seguirlo in America per iniziare una vita insieme, ma l’uomo sciolse il legame sentimentale che li univa e Mary tentò per ben due volte il suicidio. Ritornata a Londra frequentò i circoli radicali dove conobbe William Godwin che divenne suo compagno e più tardi suo marito, dall’unione nacque una bambina, Mary, futura moglie del poeta Shelley ed autrice del celebre romanzo Frankestein. Dopo dieci giorni dalla nascita della piccola Mary Wollstonecraft muore di setticemia in seguito alle complicazioni del parto, era il 10 settembre 1797.

La Wollstonecraft va ricordata per la sua instancabile lotta in difesa del diritto delle donne all’istruzione da lei ritenuta primario veicolo di emancipazione e di promozione ed, infatti, essa, vissuta nella seconda metà del XVIII secolo si è servita proprio della scrittura per far conoscere e diffondere il suo pensiero, per combattere i pregiudizi, per rivendicare l’autonomia femminile, per opporsi ad una condizione di servaggio, di dipendenza culturale e sociale che persisteva malgrado le idee progressiste del secolo dei “lumi”. La sua esortazione alla necessità dell’istruzione nasce dalla constatazione che per la donna del suo tempo era impossibile sfuggire ad un sistema di coercizione, relegata al solo ruolo di moglie e di madre, ma spesso anche oggetto di scambio fra il padre ed il marito che Mary definisce “prostituzione legale”. Inoltre la donna priva di mezzi di sussistenza sovente era costretta ad esercitare la professione illecita di prostituta. Ecco dunque l’urgenza e l’importanza dell’istruzione per liberarla dal bisogno e dal dominio maschile. Insomma istruzione intesa come riscatto morale e sociale. A Mary Wollstonecraft va il merito di aver individuato il rapporto tra dipendenza morale e dipendenza politica, di aver denunciato la difformità tra ricchi e poveri, la condizione di enorme disagio dei bambini abbandonati, l’inefficienza del sistema ospedaliero, in modo particolare dei manicomi. Essa si pronunciò anche a favore del divorzio inteso come libera scelta, dunque una donna veramente di frontiera. Suscitò scandalo con la sua vita e le sue idee considerate spregiudicate, disturbò ed irritò una società conformista ed ipocrita, ma agitò le acque stagnanti della sua epoca stimolando a ripensare e rivedere concezioni di vita codificate da lungo tempo, troppo.

 

* Mary Wollstonecraft, Sui diritti della donna, BUR, 2008, 5€.

 

 

Tullio Vinay: nel centenario della nascita

a cura della redazione

 

(NEV, Roma) “In questo luogo Tullio Vinay (1909-1996) svolse il suo ministero dal 1934 al 1948, predicando l'evangelo, salvando ebrei durante le persecuzioni razziali, operando per la riconciliazione e impegnandosi a testimoniare sempre e ovunque l'amore di Cristo”. Così recita il testo della targa scoperta il 13 maggio a Firenze, in via Manzoni 21, per ricordare la figura e l'opera di Tullio Vinay, pastore valdese e senatore della Repubblica. “L'occasione è data dalla ricorrenza dei 100 anni dalla nascita di Vinay – spiega l'attuale pastore della chiesa valdese fiorentina, Pawel Gajewski -. L'intento è quello di rendere omaggio a un pastore che in anni difficilissimi, segnati dal fascismo, dalle leggi razziali, dalla Seconda guerra mondiale, ha dato molto sia alla comunità che alla città di Firenze”. Proprio nell'edificio su cui è stata apposta la targa e che ospita la casa pastorale della chiesa valdese, Tullio Vinay nascose, in uno spazio simile a quello che ospitò Anna Frank e i suoi familiari ad Amsterdam, un'intera famiglia di ebrei salvandola dalla deportazione. Per questo nel 1982 lo stato di Israele gli attribuì la medaglia di “Giusto tra le nazioni”. “L'apposizione della targa è un'iniziativa della nostra chiesa in collaborazione con il Centro culturale protestante “Pier Martire Vermigli” e con l'Amicizia ebraico-cristiana – ha precisato il pastore Gajewski - accogliere e dare rifugio al perseguitato, operare per la riconciliazione e mostrare in ogni occasione l'agàpe, l'amore di Dio, sono le caratteristiche dell'intera testimonianza di fede di Vinay, evidenti nella fattiva solidarietà data agli ebrei perseguitati”.

Alla cerimonia erano presenti, tra gli altri, la moderatora della tavola valdese, pastora Maria Bonafede, e il rabbino capo di Firenze, Joseph Levi. Nel pomeriggio si è svolta in via Manzoni 21, una tavola rotonda con la partecipazione di Paola Vinay, figlia di Tullio, Gabriella Ballesio, archivista della Tavola valdese, e Valdo Spini, che negli ultimi mesi ha svolto un importante lavoro di ricerca sull'opera di Vinay.

Il nome di Tullio Vinay è legato alla costruzione nell'immediato secondo dopoguerra del Centro ecumenico Agape nelle Valli valdesi del Piemonte - luogo dedicato alla pace e alla riconciliazione, la cui costruzione portò insieme giovani di tutta Europa -, e, negli anni Sessanta del secolo scorso, alla fondazione del Servizio Cristiano di Riesi (CL), un'opera sociale e di vita comunitaria che portò in una delle zone più depresse della Sicilia, una scuola materna ed una elementare, una biblioteca, una scuola di formazione meccanica e un centro agricolo. Nel 1976 venne eletto senatore della Repubblica come indipendente, nelle liste del PCI.

 

 

13 maggio 2009

di Natalia Paci Vinay

 

Ci tengo a ricordare i nonni

Tullio e Fernanda insieme

(quando si parla di Tullio si parla anche di Fernanda)

perché sono stati per me un esempio.

 

E ci tengo a sottolineare che questa non è una banalità:

dare il buon esempio non è ovvio

anzi, direi che è molto raro, purtroppo,

incontrare persone consapevoli del ruolo

che si ricopre per gli altri con la propria esistenza,

consapevoli di come ognuno di noi

ha una grande responsabilità,

la più grande,

quella di essere con la propria vita

un esempio da seguire per gli altri,

per le generazioni che verranno.

 

Io ho avuto questa fortuna:

ricevere l'esempio di vita di Tullio e Fernanda significa

avere la consapevolezza che non si deve essere indifferenti,

che si deve scegliere,

che si deve accogliere il prossimo,

tenere aperte le porte metaforiche delle proprie case,

che si deve stare dalla parte del Giusto e dell'Amore,

indipendentemente da quale sia la parte che ci fa più comodo,

quella che ci torna utile.

 

In questa società del profitto ad ogni costo,

l'esempio di chi sceglie

non il proprio interesse,

ma quello della collettività

è l'esempio di chi

rende il mondo migliore.

 

 

Contro le retoriche della disumanità

Prosegue il “Laboratorio Speranza” della Libreria Claudiana di Firenze, dedicato a Jürgen Moltmann

di Pasquale Iacobino

 

Giovedì 14 maggio è tornato a riunirsi il Laboratorio Speranza, il collettivo teologico dedicato a Jürgen Moltmann. Come da programma, ogni appuntamento prevede la presenza di un ospite invitato per aiutarci a leggere i conflitti del tempo presente. In questa occasione abbiamo ascoltato Roberto Menichetti, responsabile per gli Uffici Immigrati di diversi Comuni dell'area fiorentina. In qualità di operatore con ultradecennale esperienza Menichetti ci ha illustrato il quadro anche statistico della presenza di stranieri nell'area fiorentina. Interessante è stata anche l'analisi dell'impatto sulla vita quotidiana delle famiglie di migranti delle nuove misure legislative in materia di immigrazione.

Osserviamo con preoccupazione al montare di una retorica della disumanità (per rubare un’espressione del sociologo Marco Revelli), una retorica che trova terreno fertile in un contesto di crisi ed insicurezza diffusa. La retorica del disumano, dispiegata con spregiudicatezza e con ogni mezzo, tende a spostare (nel senso di maggiore chiusura) quella frontiera che è in noi e nella coscienza collettiva: il confine tra la percezione di ciò che ci appartiene o a cui apparteniamo e ciò che ci è estraneo, tra chi è dentro e presenta un volto e chi è fuori e non ha né volto né nome, ma è orda indistinta, indifferenziata. In gioco è il confine tra ciò che è umano e ciò che è di altra natura. 

 La “retorica del disumano” è un meccanismo che genera consenso anche negli strati più popolari e svantaggiati, perché quando gli ultimi vengono degradati a non persone, ai penultimi viene offerto il terreno simbolico di un risarcimento, fittizio ovviamente, ma non per questo meno “esplosivo” sul piano sociale.

In Teologia della Speranza leggiamo: «Se il Regno di Dio è presente come promessa e speranza, tale presenza è dunque caratterizzata dalla contraddizione tra le cose future, possibili e promesse, e una realtà cattiva (...) Diventa impossibile, per colui che spera, l'accettare dal mondo una rassegnazione religiosa o cultuale. Egli è invece spinto a prendersi cura, con mansuetudine, della terra che è soggetta alla morte e alle potenze del nulla, e a condurre tutte le cose verso il loro nuovo essere. Egli diventa apolide con gli apolidi a motivo della patria della riconciliazione. Diventa senza pace con quelli che non hanno pace, a motivo della pace di Dio. Diventa privo di diritti insieme con quelli che sono privi di diritti, a motivo della giustizia di Dio che viene» (J. Moltmann, Teologia della Speranza, Queriniana, Brescia 1970, p. 229).

Il Laboratorio Speranza torna a riunirsi giovedì 11 giugno, dalle 21 alle 22:30, presso la Libreria Claudiana di Firenze. Info: 055.28.28.96.

 

Federazione delle Chiese evangeliche in Italia: si avvia verso la conclusione la campagna “Non aver paura”.

 

Mercoledì 18 marzo 2009 ha preso il via la campagna nazionale “Non aver paura, apriti agli altri, apri ai diritti”. Si tratta di una campagna promossa da uno schieramento inedito, per ampiezza e pluralità, di organizzazioni della società civile. Fra i promotori figurano numerose

associazioni laiche e religiose, insieme a Ong internazionali e alle principali organizzazioni sindacali, che hanno deciso per la prima volta di unire le forze per promuovere su tutto il territorio nazionale un’iniziativa culturale con l’obiettivo di favorire la conoscenza reciproca e il dialogo fra le persone, abbattendo i pregiudizi e gli stereotipi che determinano paure ingiustificate e sono alla base di episodi di intolleranza e razzismo.

Tutti i promotori si sono impegnati a diffonderne i messaggi, organizzando manifestazioni locali e nazionali che comunichino la necessità dell’apertura e del rispetto per l’altro. Alle cittadine e ai cittadini viene chiesto di firmare il Manifesto della campagna e di farsi parte attiva nella promozione dei suoi contenuti. Le firme raccolte verranno consegnate al Presidente della Repubblica in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato promossa dalle Nazioni Unite, che si celebra il 20 giugno.

A chi ricopre incarichi pubblici viene sottoposta una dichiarazione d'impegno, un impegno esplicito ad adoperarsi, nella loro attività, per “spezzare il corto circuito creato da paura, razzismo e xenofobia, evitando di creare allarmi ingiustificati e di far ricorso a pericolose generalizzazioni…”.

Agli operatori della comunicazione viene ricordato di attenersi alla Carta di Roma, codice deontologico che concerne richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti, redatto dall’Ordine dei giornalisti e dalla Fnsi.

Il simbolo della campagna è uno spauracchio disegnato da Viorel Samuel Cirpaciu (Sami), un bambino rom di 11 anni che vive a Settimo Torinese. Secondo Sami, questo spauracchio rappresenta le sue paure e come, con un tratto di pennarello, “le può far sorridere”. Sami è anche protagonista, assieme agli attori Francesca Reggiani, Lello Arena, Salvatore Marino e Cumbo Sall, di uno spot realizzato dal regista Mimmo Calopresti che racconta il razzismo facendo leva sull’ironia: sulla scena si rimbalzano le colpe più disparate prima al meridionale, poi all’arabo, in seguito all’africana ed infine allo zingaro che esce liberandosi da una rete di corde mentre una voce fuori campo dice: “Non aver paura, apriti agli altri, apri ai diritti”.

 

 

Dalle Chiese evangeliche fiorentine

 

Chiesa Apostolica Italiana di Firenze e Prato

Domeniche dialogate (Firenze, Via M. Morosi). Ogni seconda domenica del mese, dalle ore 10,30 alle 12,45, l’incontro è dedicato allo studio biblico-teologico secondo la consueta formula: lettura ampliata di una base d’ascolto, consegnata in copia a tutti i presenti, e conversazione di recezione e di approfondimento. Durante l’anno 2009 abbiamo continuato un percorso ecclesiologico che si concluderà il 14 giugno con un Aggiornamento teorico-pratico su “La predicazione”.

La partecipazione è aperta a tutti.

Forum teologico giovanile (Prato, Casa pastorale, Via Vespucci 3/18). Gli incontri si hanno il quarto sabato di ciascun mese, dalle ore 16,00 alle ore 17,00/30. Sono stati trattati, come voluto dai partecipanti, temi di teologia sistematica. Il 27 giugno 2009 questo percorso si concluderà con la conversazione Cosa è la kairologia? La partecipazione è aperta a tutti.

 

Chiesa evangelica battista

http://chbattistaborgognissanti.interfree.it

L’appuntamento per il culto rimane domenica alle ore 11:00, anticipato da mezz'ora di canti. La riunione di giovani è il Giovedì sera alle 19:30. Domenica 26 aprile, predicazione di Roberto Pecchioli dell'Assemblea dei Fratelli di Firenze, mentre Domenica 17 maggio ha predicato la sorella Dunia Magherini: a loro il nostro ringraziamento. Si sono conclusi gli studi su Giovanni Calvino tenuti dal pastore Raffaele Volpe. Ancora qualche appuntamento per il martedì sera, a partire dalle 18:30, per lo studio di Patrizia Sciumbata sulla Storia di Israele.

Domenica 10 maggio un gruppetto si è recato a Livorno per partecipare alla giornata promossa dall'Associazione delle Chiese Battiste della Toscana (ACEBT), con mercatino di solidarietà con lo Zimbabwe e per finanziare la Mostra della Bibbia, raccolta di firme antirazziste e conferenza su Banche e Finanza Internazionale del pastore Herbert Anders (membro della commissione Globalizzazione Lavoro AMbiente della FCEI). Gli interessanti materiali raccolti dalla Commissione sono scaricabili su www.ucebi.it al link “equo-manuale”.

Martedì 12 maggio è stata ospitata in Borgognissanti la veglia contro l'omofobia. Visita dei giovanissimi ai loro coetanei della Chiesa Valdese di Pisa domenica 17 maggio.

A Scandicci, in via del Pantano 1, oltre agli studi biblici su Marco, a cura di Renzo Ottaviani, si tengono ogni quindici giorni dei culti di domenica pomeriggio (ore 18). Da segnalare l'iniziativa del 23 maggio in Piazza del Mercato presso il centro giovanile “Ginger Zone”: seconda giornata di evangelizzazione con volantinaggio e conferenza.

 

Chiesa evangelica luterana

Domenica 2 giugno festeggeremo insieme alla comunità dell'Emilia-Romagna il nostro culto a Sasso Marconi, mentre domenica 14 giugno, alle 10, il nostro culto si svolgerà come sempre nella chiesa luterana Lungarno Torrigiani.

 

Chiesa evangelica metodista

Attività ordinarie della Chiesa: tutte le domeniche, alle 10.30, culto (la prima domenica di ogni mese con cena del Signore); il 1° e il 3° martedì del mese, alle 18, studio biblico. Nei mesi di luglio è agosto prevediamo la chiusura del tempio di via De’ Benci. I culti domenicali congiunti si terranno nel tempio valdese di via Micheli.

 

Chiesa evangelica valdese

www.firenzevaldese.chiesavaldese.org

e-mail: concistoro.fivaldese@chiesavaldese.org

 

Dall’assemblea di chiesa

L’assemblea di chiesa tenutasi il 24 maggio scorso ha letto ben cinque nuovi membri del concistoro: Anna Maria Barducci, Edoardo Canino, Riccarda Nardini, Mirella Ricca e Alessandro Sansone. Mirella, Alessandro e Edoardo sono stati insediati ufficialmente durante il solenne culto di Pentecoste, mentre Anna Maria e Riccarda saranno insediate domenica 21 giugno. Auguriamo a queste sorelle e questi fratelli un servizio colmo di benedizioni. Un particolare saluto rivolgiamo a Riccarda Nardini: dopo diversi anni di servizio volontario pro tempore come contabile della chiesa l’assemblea ha voluto riconoscerla come anziana di chiesa a pieno titolo. L’assemblea ha esaminato la relazione morale ed economica del Concistoro. È stata ribadita la necessità di una costante testimonianza evangelica in tutti gli ambiti della società. L’assemblea ha ringraziato per l’impegno profuso nel concistoro David Buttitta, Sara Sansone, Sook Choi, Lucilla Ricca e Ugo Ricci che hanno terminato il loro mandato.

Come deputata al Sinodo è stata eletta Patrizia Barbanotti; la deputazione alla Conferenza Distrettuale è composta da Paola Reggiani e Assunta Menna.

Il materiale esaminato dal’assemblea sarà consegnato a tutti i membri di chiesa per posta elettronica oppure in forma cartacea. A causa delle norme sulla privacy Non possono essere indistintamente diffusi gli elenchi contenenti le contribuzioni nominali. Tali elenchi tuttavia possono essere richiesti dai membri contribuenti scrivendo all’indirizzo del concistoro: concistoro.fivaldese@chiesavaldese.org oppure telefonando allo 0552477800.

 

Attività ordinarie a Firenze

Domenica 31 maggio abbiamo accolto sei nuovi membri di chiesa: Avognan Akognan Mathieu, Rouame Aya Larissa, Danilo Bertalesi, Adriano Primadei, Lucia Pugliese e Paolo Targetti. Dopo una pubblica testimonianza di fede a Paolo Targetti è stato amministrato il battesimo, mentre le altre cinque persone sono stato accolte nella piena comunione con la nostra chiesa.

Il 6 giugno si sono conclusi gli incontri di studio biblico. Riprenderemo quest’attività a settembre. Sempre il 6 giugno, con una bella festa dei genitori e dei bambini ha terminato le sue attività di quest’anno la scuola domenicale.

Il 10 giugno, alle 20, nei locali di via Manzoni il gruppo “Agapi” organizza una serata conviviale, cui sono invitati non solo tutti i membri di chiesa ma anche parenti e amici.

 

 

Diaspora di Pistoia ed Empoli

Il 4 giugno Il gruppo di Pistoia ha concluso gli incontri mensili di quest’anno. La ripresa delle attività è prevista nella seconda metà di settembre.

A Empoli il culto domenicale per il locale gruppo di diaspora valdese si terrà il 21 giugno nella saletta di via Pontorme.

 

ECUMENICAMENTE (S)CORRETTO

di Roberto Davide Papini

Per una volta tanto cerco di essere serio e dedico con piacere questo numero di ecumenicamente scorretto alla lettera di Anna Vezzosi, in dissenso con il mio articolo sugli inni valdesi. Con piacere perché ritengo che suscitare un dibattito e reazioni di vario genere sia un bel risultato per una rubrichetta come questa. E poi perché mi dà l’occasione di chiarire che questo è uno spazio satirico (ovvero: non prendetemi, ma nemmeno prendetevi, troppo sul serio), non ufficiale (ovvero: non c’è l’imprimatur del concistoro o della Tavola), volutamente caricaturale. Un modo per rilassarsi un po’ (non a caso è messo in fondo, a ristoro dei sopravvissuti alla lettura di “Diaspora”) e per riflettere, scherzosamente, su temi di vario genere. Veniamo, però, alla nostra gentile lettrice e alla sua garbata critica.

«Caro Roberto, due righe per cercare di farti capire un punto di vista diverso sui nostri canti. È vero, sono vecchi, nei testi e nella musica, ma non sono d’accordo sull’uguaglianza: vecchio=brutto, giovane=bello.

Premetto che amo molti generi di musica, dalla sinfonica a Bob Marley, a Guccini; mi piacciono le musiche fatte bene ei testi interessanti di qualunque (o quasi) genere siano. A parte qualche eccezione, il nostro innario è fatto di brani più che decorosi, spesso musicalmente molto belli e i testi a volte usano termini desueti, ma aderenti a quello che vogliamo pregare. Soprattutto sono adatti al gruppo che li usa. Con questo non voglio dire che siccome siamo in un luogo “solenne” e noioso anche le musiche devono esserlo altrettanto. Voglio dire che coloro che li cantano non sarebbero adatti a molti altri generi di musica. Siamo “solenni” e noiosi? Forse, ma così siamo. Se poi ci metti che molta della cosiddetta nuova musica si riduce a una specie di colonna sonora quasi sempre uguale a se stessa e con testi non certo eccelsi, o almeno non meglio di quelli che abbiamo, non trovo che valga la pena di fare grandi cambiamenti. Basta sentire cosa cantano o cantavano nelle cosiddette parrocchie cattoliche “progressiste” o anche in alcuni nostri ambienti giovanili. Certo esistono anche musiche e testi moderni molto belli, ma oltre a non sembrarmi poi così numerosi, continuo a pensare che noi non siamo adatti a cantarli. Senti cosa diventano gli spirituals cantati nella nostra chiesa!!!

Forse i cosiddetti giovani potrebbero provare a farci sentire ogni tanto qualche spartito interessante (magari un po’ meglio di alcuni sentiti ultimamente) e forse potremmo impararli, ma non possiamo stravolgere il nostro modo di essere. Svecchiamo pure alcuni testi, togliamo pure alcune vecchie melodie, ma impariamo ad apprezzare ciò che abbiamo per quello che vale e non in base alla sua data di creazione.

Intanto, vorrei sgombrare il campo da un equivoco: la mia proposta (seria) è quella di inserire gradualmente ma in maniera costante e non episodica canti moderni con melodie e testi magari non così eccelsi, ma comprensibili a tutti. Non voglio dare fuoco all’innario, non ho mai fatto l’equivalenza vecchio=brutto e non ritengo affatto che il nostro innario sia composto da inni brutti. Il punto, però, è un altro. Tu ed altri ponete l’enfasi sul fatto che questi canti vi piacciono (anzi, ci piacciono)e che sono musicalmente di alto livello. Tanto è vero che spesso sento dire, e leggo nella tua lettera, che se non si rinnovano i canti è perché quelli nuovi sono brutti e non al livello dei nostri. Possibile. In alcuni casi non direi brutti ma direi certo molto più popolari e meno elaborati musicalmente e nei testi. Bene e allora? E’ forse il culto uno spettacolo, un concerto, una rappresentazione? E’ forse l’andare in Chiesa valdese o in una chiesa pentecostale la stessa scelta tra andare a un’opera di Mozart oppure a un concerto di Arisa? Cosa andiamo a fare in Chiesa? Qual è il centro del culto? La Parola di Dio oppure il livello artistico dei canti? L’annuncio dell’Evangelo o l’abbigliamento del pastore (lo so che ci sono tanti fan della toga, lo so...)?

Tuttavia, l’obiezione è subito lì, in agguato. Quante volte mi sono sentito dire: “Noi siamo fatti così, questo è il nostro modo di cantare, non possiamo cambiare”. Tu stessa dici: «Non siamo adatti a molti altri generi di musica. ...Così siamo...». Non condivido molto in generale questo atteggiamento, ma nello specifico esso denota una certa concezione della Chiesa. Non quella della Chiesa “porticato”, spazio aperto ed accogliente dove c’è circolazione di persone da varia provenienza; ma la Chiesa come una casa, uno spazio tutto sommato chiuso, casa nostra, dove valgono i nostri usi e costumi, la nostra mentalità, i nostri gusti. A noi piace cantare così e non cambiamo o cambiamo limitatamente e solo con inni di un certo livello (tutto nella Chiesa valdese, avanguardia culturale del protestantesimo italiano, dalle predicazioni ai convegni, è “di un certo livello”). In questi ragionamenti è totalmente assente la prospettiva di una chiesa che si apre all’esterno, che cerca (anche attraverso il canto) non di istruire musicalmente i coraggiosi che si avvicinano, ma di annunciare l’Evangelo nel modo più semplice ed efficace possibile o di condividere la preghiera con gli altri, anche se musicalmente sprovveduti. È assente, completamente, l’idea che il nostro linguaggio musicale (e non solo) è incomprensibile per un buon 90% delle persone che stanno fuori e che fuori resteranno di sicuro. E’ assente l’idea che, ammesso che sia vero che noi siamo tutta questa perla di cultura (ammesso e non concesso), allora starebbe a noi cercare di venire incontro a chi ha meno cultura di noi e non aspettarli sul nostro piedistallo. Non è questo il senso dell’evangelizzazione? «Con i deboli mi son fatto debole per guadagnare i deboli; mi sono fatto ogni cosa a tutti, per salvarne ad ogni modo alcuni. E faccio tutto per il vangelo, al fine di esserne partecipe insieme agli altri» (1 Corinzi 9: 22-23). Faccio tutto per il vangelo (non per soddisfare un gusto musicale, aggiungo io) per esserne “partecipe insieme agli altri”. Noi ci sforziamo di essere partecipi con altri della gioia dell'Evangelo?

Ci fa senso il karaoke dei pentecostali? Bene, ma noi a chi vogliamo annunciare l’Evangelo? A chi guarda il Festival di Sanremo o magari va in discoteca ad ascoltare musica "house" oppure solo a chi frequenta i seminari su “La musica di Haendel per arpa gallese e le trascrizioni per arpa a pedali all’inizio dell’ottocento”?

 

Ps: visto che citi Guccini e che una trasgressione l'abbiamo già fatta durante il viaggio in Polonia, che e diresti se cominciassimo con l'inserire "Dio è morto" nei nostri canti? 

 

Pps: non ti sei mai chiesta perché nella nostra chiesa "i cosiddetti giovani" non ci sono più? Che manca tutta una generazione di trentenni? Colpa della musica? Non solo, ma chissà...

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Diaspora evangelica

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[1]   Il v.1 si può tradurre “In quel tempo rispondendo Gesù disse”. Cfr.H. Balz, G. Schneider, Dizionario Esegetico del Nuovo Testamento, Paideia, Brescia 2004, p.1517

[2]   La Repubblica di Firenze, 30 aprile 2009, p.XI

[3]   La Repubblica, 18 aprile 2009, p. 19

[4]   La Repubblica, 9 maggio 2009, p.3

[5]   D. Tutu, Credere nel perdono e nella riconciliazione, Edicart, Legnano (Mi) 2006

[6]   E. Jungel, La morte come mistero della vita, in Possibilità di Dio nella realtà del mondo, Claudiana, Torino 2005, p.162

[7]   Cfr. O. da Spinetoli, Matteo, Cittadella, Assisi 1998, p.343 e E. Schweizer, Il vangelo secondo Matteo, Paideia, Brescia 2001, p.251

[8]   J. Moltmann, Teologia della Speranza, Queriniana, Brescia 1970, pp.215-216

[9]   S. Toma, Canzoniere della morte, a cura di M.Corti, Einaudi 1999, p.30

[10] Cfr. Ortensio da Spinetoli, op.cit. p.350 ma anche E.Borghi, Giustizia per tutti, Claudiana, Torino 2007, p.27

[11] J. Moltmann, op.cit., p.15

[12] Vedi nepìos¸ in H. Balz, G. Schneider, Dizionario esegetico del Nuovo Testamento, Paideia, Brescia, p.481.

[13] J. Gnilka, Il vangelo di Matteo, Parte I, Paideia, Brescia 1990, p.641: «L’indefinito tauta, che indica il contenuto della rivelazione…dovrà essere riferito al messaggio del regno di Dio: la Basileìa escatologica agisce e salva già adesso, nella parola e nell’azione di Gesù».

[14] J. Gnilka, op.cit., p.639 e 640: «il riposo/ristoro è in concreto il sollievo concesso agli affaticati, che prefigura l’anapausis eterna» e sul versetto 29, «qui il riposo è un’anticipazione della felicità eterna».

[15] J. Moltmann, op.cit., p.228

[16] J. Moltmann, op.cit., p.146:«E’ l’evento Cristo quello che per primo fa nascere ciò che si può designare teologicamente come “uomo”, “vero uomo”, “umanità”… Soltanto quando le differenze reali, storiche e religiose che separano i popoli, i gruppi e le classi, sono state annullate nell’evento di Cristo in cui il peccatore è giustificato, si può avere una visione di cosa l’umanità può essere e sarà».

[17] Citato in E. Busch, La teologia di Giovanni Calvino, Claudiana, Torino 2008, p. 11.