Spirito in noi

 

Sii nostra guida, nelle oscurità e nei dubbi.

Sii il nostro guardiano

contro tutto ciò che minaccia

la nostra onestà.

Sii la nostra forza contro l’oppressione

e il nostro conforto nella tristezza.

Sii la nostra gioia nelle feste

e il nostro riposo nelle delusioni.

Non farci essere arroganti

quando abbiamo successo,

ma facci essere riconoscenti.

Non farci essere paurosi

quando sbagliamo,

ma rendici più saggi.

Non farci intristire

nel dolore e nella cattiveria,

ma accresci le nostre capacità

di resistere e di vincere.

Mantienici vulnerabili

gli uni verso gli altri

e verso di te.

(preghiera africana)

 

Eccomi, figlio mio!

 

 

Genesi 22: 1-13

 

Abramo muore «in prospera vecchiaia, attempato e sazio di giorni». E’ un morire sereno quello del patriarca, la sua parabola di vita si è conclusa, grandi sono state le benedizioni ricevute. Ci dice la Bibbia che fu sepolto da Isacco e Ismaele: il figlio della promessa e il figlio della carne, il figlio della donna libera e il figlio della donna schiava.

 

Lo vediamo Abramo nel suo ultimo giaciglio.

Sebbene offuscata dallo spegnersi della vita, la sua vista non gli impedì di riconoscere Ismaele, il suo primogenito, il primo figlio sottoposto al segno del patto, alla circoncisione.. Quanto tempo era passato…La mano tremolante del vecchio padre accennò ad un gesto di rassicurazione verso Ismaele. Abramo, incontrando gli occhi del figlio, inghiottì faticosamente la memoria di un rammarico. Anni addietro, con dispiacere, lo aveva mandato via. Lo ricordò bambino che si allontanava nel deserto con la madre Agar, l’egiziana. “Ismaele…che bel nome” aveva sempre pensato. Significa Dio ascolta, e Dio aveva ascoltato, soccorrendo madre e figlio.

Rivedendo Ismaele il vecchio capì che il Signore aveva custodito per anni il frutto del desiderio suo e di Sara: il desiderio di un figlio. Dio aveva avuto premura per un desiderio che rimava con la sua promessa.

 

Sono gli ultimi istanti di vita di Abramo. Davanti ai suoi occhi sta scorrendo il film della sua vita.

Il giorno che Abramo udì la Voce che gli diceva per la prima volta “Vattene!” (Gen:12:1), doveva essere stato per lui come un nascere di nuovo: “vattene dal tuo paese, dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre…” Vattene! La lama di un coltello aveva tagliato verticalmente ogni suo legame con il suo passato. Ma quando quelle stesse parole tornarono a risuonare per la seconda volta, Vattene (Gen.22:2), si sentì morire dentro, perché quella voce gli chiedeva di sacrificare il suo futuro: “Prendi tuo figlio, il tuo unico, colui che ami, Isacco, e vattene nel territorio di Moria e offrilo là in olocausto sopra uno dei monti che ti dirò” La lama del suo coltello avrebbe ucciso Isacco e cancellato il sorriso della sua vita.

 

E passò come in una foschia di sogno il volto di Sara, la donna della sua vita, il suo pianto per la sterilità e il suo sorriso per la promessa di un figlio, il silenzio ferito di moglie e madre esclusa dalle ragioni di una partenza improvvisa e misteriosa dei maschi di famiglia. La ricordava Abramo fiera e taciturna la mattina della partenza per la terra di Moria. Sentiva su di sé il suo sguardo risentito. Alla sua donna, alla madre di Isacco, non aveva spiegato nulla. Come avrebbe potuto? Come avrebbe potuto spiegarle in quale caverna dell’anima lo stava introducendo Dio?

Potessi dirti quello che nemmeno posso scriverti, esiterei nel farlo.”

Chi avrebbe potuto comprenderlo? .

Abramo in quel lungo cammino di tre giorni si era fatto taciturno, una solitudine desertica gli era penetrata nel profondo. Si sentiva un’anima deserta: spopolata di parole, desolata nei pensieri. Ricordava come, al sussurro che gli chiedeva di offrire suo figlio in olocausto, avesse risposto con una lunga, meticolosa esecuzione dell’ordine ricevuto. Quasi a voler sospingere il momento del sacrificio all’ultimo inevitabile istante. Con movimenti lenti e trasognati sellò l’asino e spaccò la legna, sotto gli occhi disorientati dei servitori. Gli era servito per meditare in silenzio e a lungo. Quando la Voce ritornò a vibrare nell’aria, a fermargli la mano armata di coltello, comprese che fedeltà del Signore non era venuta meno, e che nel firmamento notturno e nei granelli di sabbia, la sua anima deserta, si ripopolava di moltitudini. In quel figlio che da morto era tornato in vita, che sembrava perso ed invece era stato ritrovato, poteva nuovamente leggere la conferma della promessa di Dio.

Si fece sera. Un ombra crepuscolare velò il volto del vecchio morente. Accanto al capezzale del padre, Isacco si raccolse in un silenzio ancora più intenso, ancora più avvolgente, quasi a proteggersi dal freddo dei brividi di una memoria intima e inenarrabile. Ritornava il ricordo di quei tre giorni terribili del viaggio verso la terra di Moria, quando si affacciò sull’abisso della fine e dell’assurdo. Non dimenticò mai il momento terribile in cui sospettò cosa sarebbe potuto succedergli. Aveva già sentito gli adulti di casa parlare di popoli e tribù, anche vicine ai loro accampamenti, che periodicamente, per combattere l’angoscia della morte, cercavano di ottenere benevolenza e protezione dai loro dèi offrendo sacrifici umani. Ma suo padre gli aveva raccontato della fiducia nell’unico vero Dio e non praticava l’idolatria! Suo padre non poteva avergli mentito! Anche quel giorno, gli aveva detto “Dio provvederà”. E aveva detto ai due servitori “torneremo”, lo aveva sentito bene. Eppure era stato legato, disteso sulla legna dell’altare. Non seppe mai la faccia di suo padre in quegli istanti, poiché non si sentì di guardarlo negli occhi, quasi per la vergogna di vederlo come nudo. Quando Isacco vide il coltello, si sentì svenire, precipitare in un pozzo oscuro e profondo, fino a quando non sentì l’odore forte e selvaggio del sangue di montone…

Ricordava Isacco come il padre - , con un filo di voce, il residuo di uno spavento che soffoca il fiato - si fosse preoccupato di preservarlo nella fede dopo quegli eventi: “Dio è fedele e non ti espone ad una prova superiore alle tue forze. Se ti sottopone alla prova ti offre anche la via d’uscita (cfr. 1 Cor.10:13). Il Signore mette alla prova, il Signore provvede. E’ sempre l’unico Dio e siamo sempre e comunque nelle sue mani: è questa la nostra consolazione”. Sospeso tra passato e futuro, tra l’ordine e la promessa, tra la vita e la morte, aveva imparato – insieme al vecchio padre - che i fatti incomprensibili della vita, i suoi enigmi dolorosi, le domande inespresse e le risposte incomplete, le sue prove e le sue distrette, il perdersi e il ritrovarsi, trovano riconciliazione e guarigione solo nella Parola di Dio capace di immettere vita in pieno scenario di morte.

Sul letto di morte , il respiro del padre divenne sempre più affannoso, inciampava nella folta barba da patriarca. Il figlio capì. Gli sguardi si incrociarono, insieme sentivano evaporare la nuda vita. Sentivano l’avvicinarsi oscuro della morte.

Abbì, “Padre mio!” pensò Isacco

Innèni, benì, - “Eccomi, figlio mio” - parve ad Abramo di mormorare di fronte agli occhi compassionevoli del figlio.

Suo padre moriva dunque «in prospera vecchiaia, attempato e sazio di giorni».

Isacco, figlio della promessa, si ricordò della fedeltà del Signore. Serbava nel cuore le parole del padre “Iavé Iré”, Dio provvede, come un palpito di speranza.

 

E Dio? Dio ripensò spesso alla vicenda di quel padre e di quel figlio.

Se ne ricordò nel tempo della prova terribile cui il suo unigenito Figlio fu sottoposto.

Abramo era il padre sottoposto alla prova. Gesù era il Figlio sottoposto alla prova. E il Padre celeste insieme al Figlio - poiché come Gesù aveva sempre ripetuto «chi odia me, odia anche il Padre mio» (Gv 15:23) Se la ricordò dunque Dio la storia di quel padre e di quel figlio quando l’agonia di Gesù sulla croce si elevò altissima. Dio mio Dio mio perché mia hai abbandonato?

Avrebbe voluto rispondergli Innèni benì – Eccomi Figlio mio!

Ma questa volta era il Padre ad avere le mani legate: un suo spettacolare intervento avrebbe prodotto una nuova idolatria, ancora più invincibile perché sponsorizzata dal cielo. Gli uomini e le donne si sarebbero ritenuti onnipotenti a tal punto da mettere alla prova Dio, di prenderlo come ostaggio!

Come Isacco si caricò della legna per l’olocausto, così Dio vide il suo Figlio prediletto caricato della croce, disprezzato e abbandonato dagli uomini, uomo di dolore, familiare con la sofferenza… portarsi addosso le loro malattie, i dolori, trafitto per le loro trasgressioni, stroncato a causa delle loro iniquità (Is.53:3).

Aveva imparato la morte Dio quando sentì il Figlio gridare «Padre nelle tue mani rimetto lo spirito mio» (Luca 23:46). E al terzo giorno, nell’attimo della Risurrezione, il Padre ricordò le parole

del Figlio, Gesù, Yehoshua, Il Signore salva: «chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi perderà la sua vita per amor mio e del vangelo, la salverà». Dio le riconosceva come Sue, serbando nel cuore l’enigma della vita eterna come un soffio di speranza per tutte le sue creature.

 

 

 

«Di fronte a questa luce che trapassa il buio,

che depone un brivido notturno

benedici l’anima deserta,

questa è la compassione necessaria,

la tua perfetta compassione:

benedire, benedire, benedire»

(Roberto Carifi)

 

La Bibbia nella Chiesa

di Paolo Ricca*

 

Sono molto lieto e grato di essere oggi associato a Monsignor Ravasi per un incontro sulla Bibbia, perché Monsignor Ravasi è probabilmente la persona che più di ogni altro in Italia ha lavorato instancabilmente per far conoscere, ma anche per fare amare la Bibbia al vasto pubblico, sia attraverso la televisione, sia attraverso un’ampia serie di commentari scientifici a molti libri biblici. Chi ama e fa amare la Bibbia, chi conosce e fa conoscere la Bibbia, non può che essere caro a un valdese come chi parla, dato che, come sapete, il movimento valdese è nato dalla Bibbia - e da una Bibbia letta e predicata, come si diceva allora, sine glossa, come voleva anche Francesco d’Assisi: “senza commento” per paura che il commento piegasse la divina Parola alla volontà dell’interprete. E se i valdesi sono sopravvissuti fino a oggi malgrado tante traversie e avversità, credo sia proprio dovuto al loro attaccamento alla Bibbia.

Siamo profondamente e intimamente uniti dalla Bibbia e vorrei che il nostro incontro di oggi fosse, per così dire, il segno ed il soggetto della nostra Alleanza: Siamo alleati per la Bibbia, al servizio della Bibbia, per farla conoscere e amare. Tema vastissimo, che in un primo tempo avevo pensato di affrontare nel suo sviluppo storico, ripercorrendo le grandi tappe del rapporto tra Bibbia e Chiesa; e prima ancora, tra Bibbia (ebraica) e Israele. Ancora avevo pensato di partire dal celebre capitolo 8 del profeta Nehemia - dopo aver ricostruito il tempio, si trattava di ricostruire il tempio spirituale, la comunità di fede. E come ricostruire la comunità di fede se non leggendo e spiegando in pubblico la Legge di Dio? Poi avrei accennato alla nascita della Bibbia in seno alla chiesa antica, dacché la chiesa era nata dalla predicazione apostolica della Bibbia che ha custodito. Poi volevo almeno menzionare il ruolo decisivo del monachesimo, in particolare benedettino, nel mantenere viva la lettura biblica quotidiana: la lectio divina. Poi

volevo evocare i molti movimenti laicali medioevali di riappropriazione del testo biblico nella lingua volgare. Poi la Riforma, con: Sola Scriptura. Poi l’avvento della critica biblica e dello studio scientifico della Bibbia. Infine il Vaticano II, che ha restituito la Bibbia al popolo, con esiti che oggi non possiamo prevedere, ma che certamente saranno positivi.

Ho però preferito rinunciare a una carrellata di questo genere, anche se sarebbe stata suggestiva, e focalizzare il tema “la parola nella Chiesa” proiettandovi cinque flashes che vorrebbero mettere in luce, non già la storia del rapporto tra Bibbia e Chiesa, ma il senso di questo rapporto.

I.

 

La Bibbia nella Chiesa, possiamo dire la Bibbia nelle chiese, perché le chiese sono tante ma la Bibbia è una ed è sostanzialmente sempre la stessa; e questo è un fatto davvero straordinario, sarei tentato di dire miracoloso; e certamente una immensa benedizione divina, che per tutta la cristianità, dall’antichità a oggi, malgrado tutte le differenze, divergenze, divisioni, differenze e divergenze che affiorano già nel Nuovo Testamento e apertamente nella chiesa antica, che in seguito si sono accentuate e moltiplicate – è un fatto , dicevo, straordinario, per non dire miracoloso, che vi sia sempre stata e vi sia tuttora una sola Bibbia, la stessa identica Bibbia (con lievi variazioni riguardo ai Deuterocanonici dell’Antico Testamento). Questo è tanto più singolare se si tiene conto di due fatti:

 

a) il primo è che la produzione letteraria dalla quale è stata tratta la Bibbia, e in particolare il Nuovo Testamento, è, come si sa, vastissima, ci sono decine e decine di evangeli, di lettere apostoliche, di Atti degli Apostoli, di Apocalissi; e nulla sarebbe stato più facile della creazione di Bibbie diverse, costituite da libri in parte diversi, così da non aversi in realtà la stessa Bibbia. Il fatto che questo non sia accaduto e che la Chiesa in tutte le sue revisioni sia riuscita ad accordarsi intorno alla stesso canone, scegliendone 27, tra le centinaia di testi che circolavano nelle chiese, e che questi 27 siano gli stessi per tutta la cristianità d’Oriente e d’Occidente, del Nord e del Sud del mondo, e che il canone biblico non sia stato più messo in discussione e che quindi valga per tutta la chiesa e tutte le chiese, è veramente un fatto che desta stupore e deve riempirci di gratitudine.

b) il secondo fatto che concorre allo stupore è che la Bibbia cristiana, che come tutti sapete è per tre quarti e anche più la Bibbia ebraica e che anche su questo punto ci sia stato consenso e nessuno mai abbia seriamente pensato di separare i due Testamenti come se appartenessero a due mondi e a due fedi diverse , ma al contrario tutti riconoscono che sono inseparabili. Anche questo è, dicevo, un fatto di eccezionale importanza e valore. Dunque c’è un’unica Bibbia, la Bibbia è una come una è la Chiesa, e questo costituisce sicuramente la base più promettente per ritrovare l’unità della Chiesa. E’ vero che l’unicità della Bibbia non ha impedito divergenze e divisioni, ma il fatto di potersi riferire allo stesso testo, di potersi abbeverare alla stessa fonte, non potrà col tempo non portare frutti di unità.

II.

La Bibbia non può non occupare, nella Chiesa, un ruolo centrale: la centralità della Bibbia riflette la centralità della parola. “Nel principio era la Parola”. Nel principio non era la Bibbia, e neppure la Chiesa, ma la Parola. era «nel principio». Prima di parlare della Bibbia, della Chiesa e della Bibbia nella Chiesa, dobbiamo parlare della Parola. E’ Lei che E’ con lei e da lei che tutto comincia. E’ lei la genesi, l’inizio assoluto. Ma non è solo «nel principio», è nel centro, nel cuore delle cose, nel cuore della vita, nel cuore del mondo, nel cuore della fede e della Chiesa. Non è rimasta «nel principio», no, si è mossa, si è avvicinata, è entrata nel nostro orizzonte, è entrata nel tempo, nella storia, nella persona di Gesù di Nazareth.

E ha preso tante forme: la forma della chiamata (pensiamo ad Abramo, a Mosè, ai profeti, ai dodici, a Paolo, a innumerevoli uomini e donne tutti chiamati per nome); la forma del racconto, della profezia, della meditazione sapienziale, della visione, della profezia, del vaticinio, dell’oracolo, del comandamento, della parabola,

del sogno miracoloso dell’Apocalisse e tante altre forme diverse).

III.

La Bibbia nella Chiesa è stata e continua ad essere la bussola grazie alla quale, malgrado indubbie e gravi cadute e traviamenti, la Chiesa, nel senso della cristianità nel suo insieme, non ha perso di vista l’essenziale cristiano, cioè il nome, l’opera e il messaggio di Gesù di Nazareth. Possiamo essere certi che se non ci fosse stata la Bibbia, non ci sarebbe più il cristianesimo, o meglio: il cristianesimo, se ci fosse ancora, non sarebbe quello che è.

I due cardini della fede cristiana, e cioè la confessione trinitaria di Dio e la confessione di Gesù come vero Dio e vero uomo, non avrebbero potuto essere elaborati attraverso un dibattito secolare senza la Bibbia, che ha quindi svolto una funzione fondatrice della fede cristiana. Questo non significa che il cristianesimo si sia mantenuto puro attraverso i secoli e che un certo numero di dottrine e di pratiche estranee alla Bibbia – alla sua lettera e al suo spirito – non si siano introdotti in esso. Significa, però che la presenza della Bibbia nella Chiesa contiene, per così dire, una promessa: possono esserci dei tempi in cui la Bibbia viene, in un modo o in un altro, ridotta al silenzio e la sua voce viene sopraffatta da quella della tradizione, o da quella della Chiesa; possono esserci dei tempi in cui, come nei giorni del vecchio sacerdote Eli, «la parola di Dio era muta»; ma la presenza della Bibbia indica che la chiesa non è abbandonata a sé stessa, non è nelle sue proprie mani. Dio vigila sulla sua parola, come dice il profeta Geremia, per mandarla ad effetto. Dio vigila sulla sua parola per salvarla. Ci sono certo dei tempi in cui il cuore del popolo è lontano da Dio, ma finché c’è la Bibbia la parola di Dio può ricominciare a circolare e, con essa, la fede rivivere e la vita cristiana rinascere. Tutti i grandi movimenti di Riforma nella storia cristiana sono nati dalla Bibbia. La Bibbia nella chiesa è la sorgente della sua perenne riforma.

IV.

 

La Bibbia nella chiesa è il nutrimento quotidiano di cui l’anima della chiesa ha bisogno per vivere e operare. Non c’è nessun cibo più sostanzioso e necessario. «Dobbiamo essere certi che l’anima può fare a meno di ogni cosa, fuorché della parola di Dio e senza la parola di Dio nessuna cosa le giova. Ma quando ha la Parola, non ha bisogno di nessun’altra cosa; anzi ha nella parola a sufficienza cibo, allegrezza, pace, luce, ingegno, giustizia, verità, sapienza, libertà, ed ogni bene ad esuberanza». (Lutero).

La Bibbia, proprio per la straordinaria varietà dei tesori che contiene, offre nutrimento appropriato sia per il pensiero, sia per la pietà, sia per la preghiera e per il culto. L’anima può veramente attingere a piene mani ogni sorta di bene dalla Bibbia e trarne, come lo scriba avveduto, cose vecchie e cose nuove.

C’è una bella descrizione della passione per la Bibbia, che animava le comunità valdesi medievali: «Tutti [i membri della comunità], uomini e donne, piccoli e grandi, di notte e di giorno, non smettono di imparare e di insegnare; l’operaio, che di giorno lavora, di notte impara e insegna. Perciò pregano poco a motivo dello studio e imparano senza libri». (Anonimo di Passau). Tutta la comunità è coinvolta in un processo collettivo di apprendimento e insegnamento: ogni insegnante è anche uno studente; ogni studente è anche un insegnante.

Si diventa maestri restando discepoli. La Bibbia nella Chiesa vuol dire che la Parola è il pane della comunità. «Non di pane soltanto vivrà l’uomo, ma di ogni parola che procede dalla bocca di Dio». Pensiamo al profeta Ezechiele al quale Dio porge un rotolo e gli ordina di mangiarlo. «Ed io - dice il profeta – lo mangiai, e mi fu dolce in bocca, come del miele» (Ezech 3,3). Così, nei valdesi medievali, è evidente la fame e la sete della parola di Dio, di lasciarsi abitare da essa, di offrile ospitalità nel proprio cuore, nel proprio cuore, nel nostro animo, di sintonizzare i propri pensieri con i pensieri di Dio, di ragionare con lui e come lui (fin dove è possibile), è esperienza decisiva per la fede. Frequentare Dio, tutto questo è possibile solo con la Bibbia. Nella chiesa - non accanto ma dentro. E qui chiaramente una domanda si pone, e cioè questa: di che cosa nutriamo la nostra anima? come la alimentiamo? Non ci sono forse molti cristiani sottoalimentati, la cui anima rischia di morire proprio perché non è nutrita? E’ una questione molto seria.

V.

La Bibbia nella chiesa è, proprio nella sua oggettività di libro, la presenza di un’altra Parola, che non è mia e che mi viene incontro e mi interpella; una parola rispetto alla quale sono invitato a rispondere o, quanto meno, a reagire. Questa parola mi precede, mi anticipa, mi trova. E’ il grande paradigma biblico della chiamata di Abramo. A un certo momento della sua vita, apparentemente senza preavviso, una voce risuona, che egli non può ignorare, una Parola entra nella sua vita e la cambia, la decentra, la ri-orienta.

La Bibbia nella Chiesa vuol dire: SEI CHIAMATO, la vita è vocazione. Siamo stati chiamati all’esistenza, a mantenerla significativa, degna di essere vissuta. La Bibbia nella Chiesa vuol dire concretamente, la Bibbia nella tua vita, la Parola che è luce nel buoio dell’esistenza, la Parola che consola. Che cos’è la Bibbia? Non un libro, ma una Voce, una voce che chiama da molto lontano e da molto vicino, nel cuore dell’esistenza per farne un’esistenza chiamata da Dio stesso, un’esistenza salvata dall’insignificanza.

 

* si ringrazia Michele Monsignore per la fedele trascrizione del manoscritto di questa conferenza

 

 

 

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Pontormo

eretico:

gli affreschi perduti di

S. Lorenzo a Firenze

 

"In detto giorno andò in fumo la pittura di Iacopo da Pontormo che era stimata una delle bellezze di Firenze"…; con queste parole il Diario del "Capitolo di San Lorenzo", al 16 Ottobre dell'anno 1738, registra la perdita sciagurata.

Questa prossima primavera, la Chiesa dei Fratelli di Firenze, in collaborazione con il Centro Culturale Protestante Pietro Martire Vermigli, ospiterà nella propria sala in via della Vigna Vecchia 15 (ultima sede del Tribunale e carcere dell'Inquisizione) una mostra di pitture di Alessandro Vannini il quale, dopo trentennale ricerca, con cura filologica riproporrà all'attenzione del visitatore il ciclo degli affreschi del Pontormo (si terranno anche conferenze, concerti e letture di rime evangeliche cinquecentesche).

Scrive in una presentazione dell'opera del Vannini, il Soprintendente per il polo Museale fiorentino Antonio Paolucci "Il fumo o meglio la polvere colorata che dissolse gli affreschi luterani di Jacopo Carucci detto Pontormo e sottrasse a Firenze - come nota con rimpianto il cronista del 1738 - una delle sue bellezze, si è diradato. Come in una apparizione fantasmatica gli affreschi ritornano. Ritornano per allusione e per analogia, ritornano vorrei dire - per evocazione, come un rito sciamanico. Ci volevano il talento del pittore Alessandro Vannini e la tenace determinazione di Massimo Pivetti, perché la memoria e il rimpianto diventassero visibili figure…".

 

La distruzione degli affreschi del Pontormo, a causa della ristrutturazione del coro della basilica, pose fine all'incomprensione, alla diffidenza, al disprezzo che li aveva accompagnati da sempre.

Nel 1545 Cosimo I duca di Firenze commissiona al Pontormo la decorazione della Cappella Maggiore della Chiesa Medicea di San Lorenzo con storie tratte da Vecchio e Nuovo Testamento.

Pontormo svolge questa titanica impresa, impiegando gli ultimi undici anni della sua vita come asserragliato, barricato nel coro di San Lorenzo, per impedire ad occhi indiscreti di vedere prima del tempo il suo lavoro.

Perché tanta segretezza da parte del pittore? Perché nei confronti di questa opera grandiosa, tanta diffidenza, incomprensione, disprezzo di artisti come il Vasari?

Gli affreschi erano stati bollati di eterodossia dalla censura del Concilio di Trento. Quel geniale ciclo di affreschi era infatti "la rigorosa trascrizione iconografica di un testo eterodosso". Pontormo, con partecipazione intensa e un'adesione perfetta, non solo era riuscito con il suo lavoro a trasmettere il messaggio di fede e speranza del Beneficio di Cristo - il "dolce libriccino" che è l'espressione più significativa del dissenso religioso nell'Italia del '500 - ma aveva tradotto in immagini il "Catechismo per fanciulli.." di Juan de Valdés, un libro messo all'Indice fin dal 1549.

Quegli affreschi non rappresentavano una storia, ma una dottrina precisa, inequivocabile per chi fosse stato in grado di intendere " la salvezza per sola grazia, accolta mediante la sola fede".

Pontormo evangelico? E Cosimo I de' Medici come avrebbe potuto non essere a conoscenza di quello che veniva dipinto nella cappella di famiglia?

Di certo, gli affreschi del coro di San Lorenzo sono la testimonianza di quanto le idee valdesiane, come in genere le idee della Riforma, avessero messo profonde radici nella Firenze del '500 e offrono "un'ulteriore riprova della capillare diffusione in tutta Italia di quegli orientamenti dottrinali, della loro capacità…di penetrare ai vertici delle gerarchie intellettuali e sociali, ecclesiastiche e politiche, di guidarne scelte e comportamenti".

Solo una durissima e lunga lotta della gerarchia romana più intransigente, riuscì in Italia a stroncare quel tentativo. D'altra parte i prìncipi, intimamente legati per vincoli familiari ed economici al papato, dopo qualche tentativo di resistenza, finirono tutti per offrire il braccio secolare alla repressione violenta. La distruzione quasi totale di un così vasto movimento di fede e di cultura tagliò fuori il nostro paese dal grande dibattito europeo per più di due secoli.

Perché questa mostra? Per la curiosità che suscita in noi il coraggioso tentativo di Alessandro Vannini di ricostruire il ciclo di affreschi del Pontormo, che furono la trascrizione pittorica dei fondamenti della fede evangelica. Per la comunione che sentiamo di avere con quei credenti che, in un'epoca così lontana, con coraggio hanno riabbracciato l'evangelo della sola grazia nella nostra città. Per mostrare come l'evangelismo non sia un fenomeno estraneo alla cultura e alla storia italiana, ma anche nell'Italia del '500 c'è stato un serio, quanto tenace, sofferto e tragico tentativo di Riforma religiosa da parte di molti.

Stefano Massoli

 

Programma delle iniziative:

Luogo delle manifestazini: Chiesa Evangelica dei Fratelli via della Vigna Vecchia 15 Firenze

 

Inaugurazione: Sabato 16 Aprile 2005 ore 17,30 conferenza del Prof. Domenico Maselli "Valori spirituali negli affreschi del Pontormo"

La mostra sarà aperta tutti i giorni dal 16 al 30 Aprile 2005 con orario continuato 10 -19

 

Sabato 23 Aprile ore 17,30 "Parole e Musica evangeliche del '500".

Il duo dell'ensemble "Laura Conti" di Bologna eseguirà una selezione dei Salmi ugonotti

 

Iolando Scarpa: organo, Gill Philip: canto

Letture dalle rime di Michelangelo, Vittoria Colonna, Bernardino Ochino, e dal libretto "Il beneficio di Cristo".

Informazioni: Roberto Pecchioli tel. 055407612

Organizzato dalla Chiesa Evangelica dei Fratelli, in collaborazione con il Centro di Cultura Protestante “P.M. Vermigli”

 

Convegno della diaconia

Firenze 12 -13 marzo 2005

 

 

Documento conclusivo

 

 

Modificare il rapporto con l’istituzione ecclesiastica sviluppando un progetto condiviso e valorizzando maggiormente l’aspetto progettuale del servizio rispetto all’appartenenza all’istituzione. Un progetto che funga da linea comune per l’azione diaconale in cui riconoscersi e farsi riconoscere anche all’esterno. Una sorta di marchio unificante che però privilegi concettualmente il progetto rispetto all’istituzione che lo promuove. Un modo per essere e fare. Questo è uno dei punti emersi dalla discussione nei gruppi, guardando all’evoluzione possibile della nostra diaconia.

Per pensare all’evoluzione della nostra diaconia serve un’analisi complessiva e una proposta articolata che tenga conto degli effetti della globalizzazione, dei mutamenti dello stato sociale e dei bisogni presenti nella società. Tavola e Csd devono attivarsi per disporre una strategia di sviluppo nel quale la chiesa, tramite il Sinodo possa identificarsi. Tale progetto dovrebbe comprendere lo studio della possibilità che la collocazione giuridica della diaconia sia distinta dalla struttura ecclesiastica, pur mantenendo vivo il legame imprescindibile tra chiesa e diaconia.

Nell’ambito della riflessione generale, una volta individuato il progetto condiviso, i comitati delle opere, strumenti che sono punto di collegamento tra chiese e azione diaconale, devono fungere maggiormente da strumenti progettuali più che da strumenti di gestione. I comitati, insieme agli operatori, possono assumere in questo modo un ruolo di laboratorio teologico. Ruolo di laboratorio che eviterebbe così l’impressione che l’elaborazione teologica sia slegata in qualche modo dalla prassi. La diaconia in quanto tale, partecipa in modo attivo alla produzione e all’elaborazione teologica.

Caratteristica della diaconia deve essere quella di farsi portavoce presso le istituzioni di chi voce non ha. Collegarsi ai movimenti della società civile per poter caratterizzare e realizzare nuovi progetti. Per parte sua la chiesa deve intensificare il suo impegno per la difesa e per l’affermazione dei diritti, assumendo un ruolo più attivo di denuncia e di critica e cercando di incidere nell’elaborazione delle politiche sociali.

 

Domenica 20 marzo si è svolta un’assemblea della Chiesa Valdese di Firenze sul tema della Diaconia e in particolare sull’unificazione delle tre opere appartenenti alla CSD: Gignoro, Gould e Ferretti. Si è approvato un ordine del giorno preparato dal Concistoro e concordato con le tre opere che prevede una loro progressiva unificazione, con la Foresteria (che si trova presso il Gould) in una posizione vicina, ma autonoma in quanto risponde al Coordinamento delle Foresterie previsto dalla CSD.

 

Memoria

di Elisabetta Ribet

 

“Sì, Don Calogero. Ma lei i pescatori che lasciavano i cadaveri in mare li ha assolti?” Tace. Non sembra vero. Ha un’espressione perplessa. Ora mi caccia, mi maledice dal pulpito. “Li ha assolti?” ripeto con un tono adesso molto gentile. Leva gli occhi verso il soffitto e, come se parlasse da solo, pronuncia questa frase: “Si trova di tutto nelle reti a strascico: anfore puniche e spazzatura, reperti bellici… resti. L’hanno fatto per non interrompere il loro lavoro. Hanno sbagliato? Se ci pensiamo bene, il mare è un luogo di pace quanto e forse anche più della terra”.

 

Nella notte tra il 25 e il 26 dicembre 1996, al largo di Portopaolo, in pieno canale di Sicilia, la Yohan urta la F-174, sulla quale stavano tentando di trasbordare 400 persone. Il più grande naufragio degli ultimi sessant’anni almeno. Trecento persone morte. Nel silenzio. Ritrovate, nel silenzio. Mai dimenticate, semplicemente perché mai riconosciute come vittime della tratta di clandestini. Mai dimenticate perché per molti non sono mai nemmeno esistite. Giovanni Maria Bellu ha pubblicato per Mondatori un libro: “I fantasmi di Portopalo”. Bellu grida che non è vero, che invece tutto è esistito, tutto è accaduto, ma si è scontrato con il mondo agghiacciante dell’omertà delle istituzioni, con il cinismo mediatico del “non fa notizia”. Ci sono prove, persone, complici, sopravvissuti. Ci sono dati. C’è un relitto, in fondo al canale. Con ancora i corpi di alcuni di loro. Quelli che non sono stati abbracciati dal Mediterraneo e restituiti all’acqua ed alla sabbia. Me lo ricordò, questo tremendo naufragio ed il modo ancora più tremendo in cui se ne sono cancellate le tracce nella Memoria, un carissimo amico la scorsa estate, guardando il mare dalla spiaggia di Adelfia. E adesso, nei giorni di Natale 2004 - nove anni dopo - la pubblicazione del libro di Bellu. Per non dimenticare.

 

In questi giorni in cui corriamo il rischio di ricadere nella retorica e nel dovere della memoria della Shoah (che, se vissuta così, diventa uno sterile esercizio di diplomazia e di buone maniere) e trasformiamo in memoria lo Tzunami; in questi giorni in cui, decenni dopo, c’è ancora chi nega e chi non abbandona la lotta, chi si appropria e chi semplicemente piange, pensiamo anche a loro. Ai milioni di persone delle stragi dimenticate perché non fanno notizia. Chiediamoci, anche come chiese, come fare a non aspettare la tragedia per cercare di costruire la solidarietà. Chiediamoci, figlie e figli di Dio, come provare a non dover sempre soltanto lottare per mantenere viva la memoria, ma anche a non trovarci sempre tragicamente costretti ad aggiungere altri immensi dolori ad una memoria già abbastanza pesante.

 

 

Il Padre Nostro a puntate

di Elsa Woods

 

Niente scenette oggi, per evitare che cominciate ad abituarvi come Giamburrasca… Il bastone, il sostegno, per quelli come me che devono chiedere più volte al Signore: “Insegnaci a pregare!” Gesù ci ha lasciato questa preghiera con l’indirizzo chiaramente scritto sopra: è indirizzata al “Padre nostro che abita nei cieli”.

Adesso veniamo alla richiesta “Sia santificato il tuo nome”: che grande meraviglia che Dio ci abbia rivelato il suo nome. Quando Mosé chiede a Dio il suo nome, Dio gli risponde. Ma è una risposta strana: invece di ricevere un sostantivo come uno si aspetterebbe, riceve un verbo in prima persona. Dì a quel popolo che “Io sono” ti ha mandato. Che nome pretenzioso! Esprime l’essenza di tutte le cose e di tutti i pensieri. Generazioni di filosofi hanno cercato di trovare e descrivere l’essenza delle cose e qui con una fra setta Dio arroga tutta questa essenza in se stesso. “Io sono” ti manda per liberare: Vai! E poi aggiunge quel famoso tetragramma che noi pronunciamo ‘Yaweh’ o ‘Yeowah’ e che gli ebrei per rispetto non osano nemmeno pronunciare.

Cosa c’è in un nome? Tutto quello che uno vuol metterci, e gli ebrei ci mettevano molto. Il nome aveva un grande significato. Dio usa questo canale di comunicazione con quel “Io sono” e quel tetragramma misterioso, ma allo stesso tempo rivelatore,che viene tradotto nelle nostre lingue come “il Signore”.

Qualche mese fa abbiamo sentito una bella predica di un inglese sul nome “Daniele”. Il nome è importante; per esempio è importante per me poter continuare ad usare il nostro nome di famiglia Woods, che portano i miei figli, anche se il marito ci ha lasciato. Certo non solo gli ebrei conoscono e sentono l’importanza del nome. A me ha fatto molto piacere sentire il nome di un gruppo importante di americani che dissentono dalla politica estera americana, che vedono come aggressiva. Hanno scelto come nome: “Not in my Name” (Non a nome mio!). Con

questo dicono: Io non ci sto ad abusare del nome di Dio per i miei scopi. E’ una profanazione terribile!

Più ci penso, più mi meraviglio che Dio ha rivelato il suo nome a noi, a me! Si è presentato, non è un anonimo. Le lettere anonime sono di solito brutte e scritte da codardi.

Una volta abbiamo ricevuto a Natale un cesto bellissimo, ricolmo di ogni bontà immaginabile. Era un bellissimo regalo, ma veniva da un donatore anonimo. Devo ammettere che mi avrebbe fatto molto più piacere ricevere questo regalo da qualcuno che avrei potuto ringraziare di cuore.

Dio non rimane nell’anonimato, si rivela all’umanità e specificamente col suo nome a Mosé. E dopo Mosé, un’altra volta, nel Nuovo Testamento, è Gesù che nella preghiera che noi chiamiamo “sacerdotale” parla due volte del “nome di Dio”. In Gv.17 dice : “Io ho manifestato il tuo nome agli uomini” e più avanti al v.26: “Io ho fatto loro conoscere il tuo Nome e lo farò conoscere ancora, affinché l’amore del quale tu mi hai amato, sia in loro e io in loro”.

E così, quando penso al Nome che lui ha rivelato a noi,a me, posso dire:

Grazie Dio Padre, perché ti sei fatto conoscere. Grazie perché tu sei “Io sono” anche per me.

Grazie Gesù, che ci hai fatto conoscere il nome del Padre, e

Grazie Spirito Santo che lo farai conoscere ancora quel nome che ha come scopo che l’amore di Dio sia in noi e fra noi!

 

Il naso tra i libri

di Sara Pasqui Rivedi

 

Luisa Accati

Il mostro e la bella

Cortina Raffaello editore

1998, pp.292

 

Cenni biografici

 

Luisa Accati (1942) è laureata in filosofia ed ha insegnato per molti anni etnologia presso l’Università di Trieste. Insegna Storia Moderna nella stessa Università. Ha collaborato con varie riviste: Hannales, Quaderni storici, Historia social, Gender and History. Ha pubblicato il romanzo “Il matrimonio di Raffaele Albanese”.

 

Il mostro e la bella

 

Il libro ha un sottotitolo che a priori illumina sull’argomento trattato: padre e madre nell’educazione cattolica dei sentimenti. L’Autrice si propone di mostrare come sovente la conflittualità familiare affondi le sue radici e trovi le sue origini in immagini e simboli religiosi così lontani nel tempo da non essere percepibili dall’essere umano e come le tensioni fra genitori e figli incidano e condizionino la stessa vita civile. Il simbolo preso in esame è il concepimento di Maria non tanto per ciò che riguarda la sua condizione di Madre Vergine, ma piuttosto per quella di Concepita senza peccato.

Luisa Accati descrive con l’attenzione meticolosa e scrupolosa propria della ricercatrice, ma anche della studiosa appassionata ed al tempo stesso rigorosa, l’influenza che tale simbolo ha avuto nella religione cattolica e come esso abbia cooperato alla trasformazione dell’immagine materna.

Il testo ne ricostruisce minuziosamente il percorso storico ed antropologico e spiega le motivazioni per cui la Chiesa Cattolica, costituita e retta da uomini celibi, dunque uomini solo figli, fin dai primi secoli della sua istituzione abbia eletto Maria a modello della maternità. Prendendo a riferimento ventisei quadri che vanno dal 1200 con Giotto fino al 1700 con Tiepolo, la studiosa dimostra come la devozione mariana si sia dilatata a tal punto da trasformarsi, con il passare dei secoli, in alta venerazione (iperdulia) e come la Chiesa sia pervenuta alla proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione nel 1854. Al tempo stesso sottolinea ed evidenzia come progressivamente, in questo arco temporale, al posto della coppia coniugale (L’incontro alla porta d’oro e Lo sposalizio della Vergine, opere di Giotto) venga collocata, quale simbolo del matrimonio, la figura di Maria, sola, vestita di bianco, concepita senza peccato, cioè senza padre, senza marito, ma esclusivamente madre (G.B.Tiepolo: Immacolata Concezione) [1].

Secondo Luisa Accati il dogma dell’Immacolata Concezione fa in modo che “tutte le donne….siano la maternità”, alcune vengono date in matrimonio, le altre rimangono madri virtuali, ma tutte quante restano nell’ombra, occupano un posto di subalternità nella famiglia e nella società, dominate e sottomesse dall’autorità religiosa che si contraddistingue per la sua connotazione assolutamente maschile e che con il proprio potere e la propria onnipotenza incide fortemente, attraverso il culto mariano, sulla formazione della donna. Maria concepita senza peccato e perennemente vergine è il simbolo religioso relativo alla maternità (il concepimento ideale e perfetto infatti sarebbe quello senza il concorso dell’uomo), ma un tempo è servito anche a recidere ogni legame della madre di Gesù dalle sue origini ebraiche, infatti l’immaginario cattolico suggerisce che Maria, la Madre per eccellenza, condivida il supplizio con il Figlio, vittima per eccellenza, ma egli è rappresentato come ebreo, la donna non ha invece alcuna identità specifica, né personale, né religiosa, né sociale.

Di conseguenza l’Autrice ipotizza l’insorgere della misoginia e dell’antisemitismo, concetti speculari l’uno all’altro che ingenerano ogni altro tipo di razzismo, ma a questo proposito è bene ricordare che l’antisemitismo era già radicato a Roma sia durante l’impero di Tito che di Adriano poiché si temeva che elementi giudaizzanti potessero essere introdotti nella religione vigente ed inquinarla, per quanto riguarda la misoginia la Chiesa Cristiana, fin dal suo primo costituirsi, rivela una spiccata insofferenza verso l’elemento femminile che in breve degenerò in una esasperata sessuofobia. D’altra parte l’Accati nella premessa puntualizza che il suo elaborato è solo una possibile chiave di lettura, ma senza meno quella da lei privilegiata.

Il saggio è senza dubbio complesso e ben articolato, ricco di richiami storici, teologici, antropologici, sociologici, di riferimenti alla psicanalisi ed in particolare al pensiero freudiano, la disamina ha richiesto all’Autrice un lungo e laborioso periodo di ricerca che ha svolto ricostruendo con acribia fatti e avvenimenti, in questo percorso assai impegnativo si è avvalsa del generoso e valido contributo di molti studiosi non solo italiani, ma anche francesi e spagnoli e del confronto sereno e cordiale con studiose anglosassoni per la diversità di pensiero ed interpretazione fra cattolicesimo e protestantesimo in merito alla materia in esame.

Il libro è costituito da sei parti ciascuna delle quali è completata da un capitolo di note per meglio proseguire nella lettura e nello studio, l’insieme di questi capitoli può considerarsi un testo vero e proprio che integra l’elaborato e dunque si presenta come un secondo libro da non sottovalutare o sorvolare, ma anzi da compulsare con attenzione in quanto nel proseguo della lettura si rivela una vera miniera di informazioni e di dati.

Le riproduzioni fotografiche accluse svolgono egregiamente funzione orientativa ed al tempo stesso impreziosiscono l’opera per la loro bellezza ed il loro valore artistico.

 

Note

[1] Luisa Accati, Concepita senza peccato ovvero la figlia senza padre. Relazione tenuta a Dialogare nel marzo 1995.

 

 

 

Novità editoriale delle Edizioni Adv

di Giuseppe Marrazzo

Legge di libertà

Il diritto è l’unica difesa delle fasce sociali più deboli contro lo strapotere dei prepotenti

 

Fra le tante discussioni sollevate dalla Bibbia, nessuna è più controversa o polemica di quella che riguarda la «legge». Intorno a essa si è consumata la rottura tra giudaismo e cristianesimo. Nel mondo cristiano alcuni credenti ne reclamano la sua obbligatorietà, altri la ritengono obsoleta e superata. Purtroppo, in nome della legge sono state proclamate guerre sante, è stata giustificata la schiavitù, accolta la pena di morte, si è andati contro il controllo delle nascite, è stata promossa l’inferiorità della donna, il rifiuto di ogni rappresentazione figurativa, sono state negate le trasfusioni di sangue. La lista dei conflitti sembra proprio interminabile! Allora ci chiediamo con il prof. Roberto Badenas, perché tanti abusi intorno alla Torah? Perché un punto così fondamentale della Bibbia è diventato il pomo della discordia?

Oggi le comunità hanno la grande responsabilità di ricordare che la legge di Dio e i vincoli che ne derivano esistono in funzione della libertà di ogni essere umano. La libertà in ebraico si dice cherùt, ma quando si afferma che le «tavole della legge» sono state «incise» su tavole di pietra, l’ebraico usa il termine charùt, cambiando una sola vocale. Alcuni rabbini propongono di non dire «la legge incisa sulle tavole», ma «la libertà è sulle tavole». Amos Luzzatto commenta: «In altre parole è proprio la legge quella che dà libertà. A pensarci bene, sembra una banalità, ma una società è libera se tutti i suoi membri godono della stessa libertà: a garanzia di “tutti” c’è appunto la legge».

Può la legge rispondere a tutte le nostre esigenze? Certamente no! Per salvare l’umanità dall’arroganza dei prepotenti non basta avere buone leggi, non basta apportare migliorie all’apparato legislativo della nazione, occorre piuttosto una trasformazione, un cambiamento radicale della persona. Occorre andare oltre il senso giuridico e normativo della legge e ritrovare la grazia e l’umiltà. È questo il senso della famosa frase di Paolo «il fine della legge è Cristo»?

L’autore si chiede: qual è il valore della legge oggi? Può la grazia contrastare e superare la legge? È possibile confrontarsi con la legge senza cadere nel legalismo? Come è possibile armonizzare il comandamento e la grazia?

Secoli di interpretazioni erronee hanno snaturato il senso della legge e mai come oggi è necessaria una sua «liberazione». Vale la pena ricordare che là dove finisce la funzione della legge cominciano la tirannide e l’anarchia. Il diritto è l’unica difesa delle fasce sociali più deboli contro lo strapotere dei prepotenti. In un clima di furbizie e inganni, forse oggi l’ubbidienza è la vera trasgressione.

Legge di libertà

Codice: UT16

ISBN: 88-7659-144-3 € 16,00

 

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Ricordo di Giorgio Vola

di Giorgio Spini

 

Per secoli, prima nella forma francese “Volle”, poi in quella italiana di “Vola”, la sua casata era stata tra le più ricche e autorevoli dinastie di notabili valdesi della bassa Val Pellice. Da proprietari terrieri nelle Valli, i Vola erano passati all’industria di Milano, conservando però lo status avito. Tanto per capirsi, il padre di Giorgio Vola era un industriale milanese, ma di quelli con la villa in Brianza. Anche la sua strada nella vita sembrava dovesse essere quella di un borghese abbiente, tanto più rispettabile quanto più connesso con le nobili tradizioni morali e religiose della sua stirpe valdese. Perfino il suo nome di battesimo, Giorgio, era tradizionale nelle famiglie bene valdesi, che dandolo ad un loro figlio, intendevano con ciò onorare l’Inghilterra madre della libertà civile e religiosa, la cui potenza aveva salvato i protestanti dagli eccidi dei persecutori.

Ma Giorgio Vola, benché attaccato intensamente alle sue radici valdesi, volle per se una strada nuova, rispetto alle tradizioni familiari. Era uomo di una fede cristiana intensamente vissuta cui si attagliava bene il detto di Gesù: “Non che mi dice Signore, Signore entrerà nel Regno dei Cieli, ma chi fa la volontà del padre mio che è nei cieli”. Pochi ho conosciuto che più di lui fossero sempre disponibili a tendere la mano a chi aveva bisogno di aiuto. Instancabile a pro degli altri, eppure senza ombra di birignao pietista o di ostentazione di santità.

Era nato il 16 marzo 1942, troppo tardi per essere parte del movimento dei barthiani antifascisti, o vivere la esperienza della Resistenza. Troppo tardi anche per l’avventura post – bellica della costruzione di Agape, il centro dell’amore cristiano in cima alle Alpi. Potremmo definirlo un post – barthiano, formatosi ad Agàpe, ma negli anni successivi a quelli romanzeschi della costruzione col lavoro di volontari. Gli anni avviati alla esplosione giovanile del 1968, cui anche Giorgio Vola partecipò con entusiasmo generoso su posizioni estreme: gli anni della nascita, in Lombardia, di una comune cristiana di modello “cinese” a Cinisello Balsamo ad opera di Giorgio Bouchard, mentre lo stesso fondatore di Agàpe, Tullio Vinay, progettava di passare dalle Alpi alla Sicilia e fondare a Riesi il Servizio Cristiano. Giorgio oltre ad impegnarsi in Agàpe e nella comune di Cinisello, non pensò a fare quattrini come tutti i Volle o Vola prima di lui avevano fatto. Si impegnò negli studi storici intorno ad una grande Rivoluzione, come quella di Cromwell, e da quel sessantottino mai ravveduto che era, ne studiò le ali più estreme; il movimento dei Quinto Monarchisti e i Quaccheri di Fox di Bellers e di Penn. Temi di alta specialistica, in certo modo aristocratici, perché Giorgio era rimasto uno spirito aristocratico, malgrado la semplicità dei modi nel trattare con tutti, a cominciare dagli studenti. Dagli interessi storici era scaturita infatti la grande passione del resto della sua esistenza: l’insegnamento. Era un docente di rara efficacia e persuasività. Forse fu proprio la passione di insegnare a togliergli fin troppo tempo, a danno della ricerca scientifica. Di ricerche sulla Rivoluzione Inglese continuò a farne fino all’ultimo giorno della vita, soprattutto in Inghilterra. Ma quando era arrivato al momento di stendere un libro, sembrava sempre che il tempo gli venisse meno. Aveva fra le mani un grande studio sulla politica estera di Cromwell, in quanto guida delle forze protestanti europee. Ma pubblicò solo un saggio su un agente segreto grigionese del Protettore, tale Stuppa. E’ un piccolo gioiello di intelligente penetrazione e acuisce il dolore che la morte ne abbia impedito lo sviluppo ulteriore.

Non potrei chiudere questo ricordo senza dire qualcosa sulla ispiratrice costante dell’esistenza di Giorgio Vola, sua moglie Bruna Rosa. Secondo un vecchio detto scherzoso, l’amor coniugale lo hanno inventato i protestanti. Dante non scriveva versi per sua moglie, ma per Beatrice che sua moglie non era. Se anche sotto questo profilo Giorgio Vola impersonò quanto di meglio vi era nella tradizione riformata, nel suo attaccamento costante, fedele alla compagna della vita.

 

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Notizie dalle chiese fiorentine

 

Dalla Chiesa Apostolica

Il Consiglio di chiesa del 19 febbraio ha intrapreso un processo volto al riconoscimento del pastorato locale, individuando nel fratello Samuele Trebbi una vocazione preziosa per la chiesa. Egli ha una seria capacità umana nello stabilire rapporti e nel gestire relazioni. Si tratterà di un “pastorato di coordinamento” di altri servizi già esistenti nella comunità. La prossima assemblea di maggio deciderà nel merito locale, e quella a carattere nazionale in settembre prenderà la decisione definitiva.

Intanto esiste una piano semestrale di predicazione e tutte le attività settoriali sono assicurate. Nel bollettino mensile “L’Eco delle comunità” si ricordano gli appuntamenti più importanti.

Si sono tenuti due incontri valdesi-apostolici con discussione dei temi segnalati dal Sinodo scorso (la crisi!), un altro dovrebbe aver luogo in primavera in data da concordare; potrebbe essere una “giornata del dialogo” condotta da almeno due voci..

 

Dalla Chiesa Valdese

Abbiamo avuto in visita i coniugi Bouchard-Egidi per uno scintillante week-end di incontri e dibattiti a fine febbraio. In marzo la pastora ha partecipato alla giornata mondiale di preghiera delle donne, presso la Chiesa Luterana. Meriterebbe maggiore attenzione da parte di tutti! Lo stesso si deve dire del Convegno della Diaconia, che si tiene ogni anno all’inizio di marzo qui a Firenze.

I giovani hanno collaborato con la pastora alla preparazione e registrazione dei culti radio del tempo di Pasqua (Palme, Venerdì Santo, Pasqua), scegliendo testi e canti anche un po’ insoliti. Alcuni potrebbero essere tradotti e imparati dalle chiese.

Sono mancati: Umberto Di Tomizio a Donnini, il cui funerale si è tenuto con la predicazione della pastora nella chiesa nuova cattolica del paese; poi è mancato improvvisamente Giorgio Vola, di cui pubblichiamo il ricordo nelle pagine precedenti. Il suo funerale si è svolto con grande partecipazione di studenti e colleghi dell’Università. La salma è stata sepolta a Luserna S. Giovanni.Infine, poco prima di Pasqua, è mancato il marito di Fernanda Frangoli, Renzo Martini. A tutti i familiari colpiti da questi lutti e in particolare alle donne rimaste sole, va la nostra simpatia e solidarietà.

Il Venerdì Santo il culto è diventato anche Concerto con la partecipazione della Niederrheinische Kantorei ed è stato un evento da ricordare!

La prossima riunione del Concistoro è lunedì 11 aprile alle 18.15 in v. Manzoni.

 

 

Calendario di Aprile

Domenica 3 dedicata alla Facoltà di Teologia

Lunedì 4 alle 20 in v. Manzoni: incontro dell’Associazione “Il Sassolino Bianco” con un’ospite che parlerà dei progetti argentini dedicati ai bambini e alle ragazze madri in Sudamerica.

Martedì 5 alle 21 in v. Manzoni incontro dei Predicatori Locali

Giovedì 7 alle 20 nella Sala Brunelleschi dell’Istituto degli Innocenti in p.za SS: Annunziata incontro conclusivo interreligioso dedicato al tema della Preghiera.

Sabato 9 alle 15 alla Fortezza da Basso nella Sala Ottogonale vicino all’ingresso, studio biblico sul cap. 40 del profeta Isaia, nel quadro di incontri di spiritualità interreligiosa della manifestazione “Terrafutura”.Ingresso gratuito.

Sabato 9 e domenica 10 al Cares percorso formativo dei membri di chiesa su “Quale modello di chiesa” con il past. Klaus Langeneck.

Sabato 16 a Via della Vigna Vecchia (Chiesa dei Fratelli) inaugurazione della Mostra sul Pontormo, alle 17 conferenza del prof. D. Maselli su "Valori spirituali negli affreschi del Pontormo".

 

Martedì 19 presso la Claudiana alle 19.30: Dopo-Lavoro-Teologico sul libro “Che cosa avviene nella Cena del Signore”.

Sabato 23 nella Chiesa dei Fratelli alle ore 17,30 "Parole e Musica evangeliche del '500". Il duo dell'ensemble "Laura Conti" di Bologna eseguirà una selezione dei Salmi ugonotti.