II Corinzi 3,1-6

Voi siete la lettera di Cristo

Affermare che la che le persone appartenenti alle comunità di Corinto siano la lettera di Cristo scritta non con inchiostro ma con lo Spirito di Dio vivente è indubbiamente una delle più geniali metafore di Paolo. La sue genialità consiste non soltanto nell’uso perfetto della retorica ma anche nell’uso del paradigma trinitario: Cristo, Lo Spirito del Dio vivente. Non è ancora un paradigma definito. A distanza di pochi decenni dalla morte di Paolo la definizione precisa di questo paradigma segnerà una rottura definitiva tra cristiani ed ebrei.

Questo singolare discorso nasce da un problema piuttosto banale: lettere di raccomandazione ovvero certificati che attestino la retta dottrina del predicatore e i suoi requisiti formali. Pare che senza tale raccomandazione non ci poteva muovere liberamente tra le nascenti comunità cristiane. D’altro canto tale usanza esisteva anche nell’ambito giudaico: ricordiamo le lettere alle sinagoghe di Damasco che vengono rilasciate a Saulo (Paolo) di Tarso dal sommo sacerdote (Atti 9,1-2). Le radici della burocrazia ecclesiastica sono molto profonde!

La burocrazia si nutre di carte di lettere. Lettere che spesso vengono archiviate senza essere lette. La lingua greca usa per questo tipo di lettere il termine ‘epistolê’. La somiglianza con il sostantivo italiano “epistola” non ci deve ingannare. Nel linguaggio giuridico del I secolo dopo Cristo ‘epistole’ poteva significare: decreto, notifica, legge. L’epistola imperiale svolgeva lo stesso ruolo della Gazzetta Ufficiale di oggi. Per questo motivo Paolo allude così chiaramente alle tavole di pietra, sinonimo della Torah affidata a Mosè. Il nuovo patto di cui Paolo si proclama ministro, punta invece sulle persone, esseri viventi in carne e ossa. La capacità di relazionarsi con le persone, di tessere legami comunitari, di annunciare questo nuovo patto viene direttamente da Dio.

Nella celebre affermazione del v. 6: la lettera uccide, ma lo Spirito vivifica, il termine usato cambia. Abbiamo qui il sostantivo ‘gramma’, che esprime il concetto di qualcosa di inciso su una tavola di pietra o di terracotta, un segno sostanzialmente incancellabile. Alcuni studiosi vedono qui un’allusione alla circoncisione, un segno inciso sul corpo di un uomo, un segno visibile della fedeltà alla legge, un segno che non può essere cancellato.

Credo però che nel discorso di Paolo l’accento cada più sullo Spirito che sulla lettera.

Nel cristianesimo è proprio lo Spirito a sovvertire le antiche usanze ebraiche, sovverte i modi di vivere e di ragionare che conducono dall’alto verso il basso: dalle altitudini della Torah verso la bassezza della condizione umana, sottomessa ai dettami della legge incisa su tavole di pietra. Tale sottomissione è, di fatto, l’unica possibilità di salvezza. Nel cristianesimo non è così, anche se oggi assistiamo a numerosi tentativi di presentare la fede cristiana come una sorta di gabbia costruita di precetti e divieti.

Se leggiamo con attenzione il testo Filippesi 2, scopriamo che nel cristianesimo tutto parte dal basso. La legge rimane saldamente ancorata alle vette irraggiungibili. In Cristo Gesù tuttavia Dio sia abbassa al punto di condividere pienamente la nostra esistenza con tutti i limiti e i fallimenti che essa comporta. È una lezione sempre valida per tutte la Chiesa cristiana. Le ansie e le speranze dell’essere umano e non l’osservanza della legge sono al centro della sua predicazione e dell’azione pastorale.

Un messaggio dà sollievo e non un messaggio che mortifica e angoscia! Una vera conversione a Gesù Cristo non sarà mai frutto di paure. Dio la può operare a prescindere dalle nostre azioni umane; ma l’accoglienza e amore che dimostriamo agli altri sono un terreno fertile su cui il seme della Parola può far crescere frutti nuovi, inaspettati. Tutto questo non significa che dobbiamo abbandonare dell’tutto epistole e norme grammaticali. Etica, disciplina, regole, ordinamenti, vanno curati e messi in pratica con chiarezza e franchezza. Quando tuttavia questa applicazione si dovrà confrontare con la persona umana, con la complessità della sua esistenza; qualunque appello alla conversione deve essere preceduto da un’accoglienza incondizionata, anche se tale accoglienza qualche volta costa tempo e fatica. Noi siamo una lettera di Cristo, vuol dire: noi siamo una lettera di speranza.

Predicazione tenuta dal pastore Pawel Gajewski domenica 5 ottobre 2008, Chiesa Evangelica Valdese di Firenze