Mat. 28, 1-15 “Voi non temete”

 

           Il Vangelo di Matteo ha notevoli particolari nella storia della morte e della risurrezione di Gesù che non si trovano negli altri Vangeli: terremoto (gli altri due parlano di oscuramento del sole); apertura delle tombe e risurrezione di “corpi dei santi” che dopo la risurrezione di Gesù appaiono a molti (27,53). E’ uno dei testi “oscuri” per noi; in sé e per sé invece certamente luminoso, se intende questa risurrezione come conferma e accompagnamento di quella di Gesù, anticipo della vita futura che Dio crea per l’umanità. Matteo descrive la morte di Gesù come l’evento degli ultimi tempi che chiude un’epoca, quella dell’attesa del Messia, e apre i tempi della restaurazione d’Israele e del suo compito di annunciare vita nuova al mondo.

Un’altra particolarità è la descrizione di una vigilanza armata al sepolcro (27, 62-66): i capi sacerdoti e i farisei si riunirono da Pilato per chiedergli la sorveglianza della tomba e Pilato la concede, anzi suggerisce che siano le guardie stesse del Sinedrio ad assicurarsi che non ci siano imbrogli. E la pietra viene “sigillata” (negli altri Vangeli “rotolata”).

La mattina di Pasqua (il primo giorno della settimana dopo il Sabato ebraico) occorre un altro terremoto per dissigillare la pietra, che viene rotolata via da un angelo che vi si siede sopra. La descrizione dell’angelo segue l’immaginario delle teofanie (aspetto “come di folgore”, vesti bianche): una emanazione di Dio stesso si mostra e parla alle donne. Dove sono le guardie? “Le guardie tremarono e rimasero come morte” (v.4). Infatti l’angelo non parla a loro, ma alle donne dice: “Voi non temete”.

Questo “non temete  si trova in tante pagine della Bibbia: qualcuno che li ha contati dice che ce ne sono 365, uno per ogni giorno dell’anno, compreso l’anno bisestile. Nella storia di Gesù lo troviamo a partire dalla sua nascita, nell’annuncio degli angeli ai pastori, fino alla sua risurrezione, che equivale ad una rinascita, alla vera nascita per una vita di gran lunga superiore, come quella alla quale anche noi siamo destinati. In un certo senso si può dire “non temete” solo a quelli che hanno “timor di Dio”, che comprendono l’irruzione di Dio nella vita umana e sanno quanto può venirne bruciata o trasformata. L’angelo non lo dice alle guardie, che infatti “tremarono e rimasero come morte”. Una eccessiva vicinanza del divino non produce gli stessi effetti: le donne diventano  attive testimoni, le guardie tremano di paura e appartengono al regno dei morti.

          Più tardi si racconta che le guardie vanno a riferire l’accaduto ai capi sacerdoti e vengono pagate con una forte somma di denaro per mettere in giro la diceria che  “i suoi discepoli sono venuti di notte e lo hanno rubato mentre dormivamo” (v.13). Viene anche loro garantito che qualcuno li toglierà dai guai se il governatore si dovesse risentire del loro modo di fare la guardia… Resta il fatto che le donne sono testimoni, ma le guardie no, perché la risurrezione è credibile e dicibile solo per la fede. Le donne che hanno “il timore” della fede  vengono esortate a “non temere” e ad annunciare che Gesù è risuscitato dai morti. Per le donne,  con questo incarico, doveva cominciare, e per un certo tempo così è stato, una dignità di testimoni che la storia umana aveva loro negato fino a quel momento.

Le guardie appartengono alla morte e non alla vita, perché pur messe davanti al mistero della risurrezione non vogliono credere e i loro “capi” forniscono una spiegazione razionale a tutto, dunque a costo di mentire spiegano da un punto di vista umano, l’evento che non appartiene alla storia umana o al linguaggio umano. Davanti a un miracolo che proclama la vita nuova di Dio, anche noi molto spesso ci profondiamo in spiegazioni umane, invece di “stringerci ai piedi del Risorto e adorarlo”. Questo è quello che fanno le donne e sembra essere la prima cosa, fondante e fondamentale del nuovo modo di essere con Gesù, ora che è passato dalla morte alla vita.

         La vita nuova della comunità è una vita capace di “stringersi ai piedi” del Maestro anche se per poco, o se ormai la sua presenza è spirituale; l’adorazione delle donne è muta; non sappiamo quanto dura e cosa gli abbiano detto; forse non c’è bisogno di molte parole nella preghiera, come del resto Gesù ha detto. Le parole servono per noi, ma  nel rapporto con Gesù basta l’adorazione muta. Il tema dell’adorazione di Gesù è caro a Matteo, che vi vede certamente un anticipo di quello che la comunità farà più tardi, anche nell’assenza fisica di Gesù. Se si potesse azzardare un’immagine penso a un animale domestico (un cane, un gatto) accucciato ai piedi del padrone: quanta sicurezza e pace infonde questo rapporto; fa bene all’anima sia dell’uno che dell’altro. E’ vero che non è paritario, ma quando mai lo sarebbe il nostro con Dio stesso o con Gesù?! Ma è bene trovarsi “ai piedi”, è un segno di sottomissione, ma è anche un “essere a casa”, al sicuro, amati, pieni di riconoscenza per la vita che da questo momento in poi Dio ci concede ai suoi piedi.

Un’altra caratteristica di Matteo, più accentuata che in Marco e ignorata da Luca, è che Gesù Risorto si deve incontrare “in Galilea” con i suoi discepoli. Lo annuncia l’angelo “vi precede in Galilea”; Gesù stesso alle donne ordina: “ andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea; là mi vedranno”. E poi al v.16 racconta che i discepoli “andarono in Galilea sul monte che Gesù aveva loro designato”; anche qui si dice che i discepoli “lo adorarono”, pur con dubbi. Per adorare non c’è bisogno di aver superato il dubbio; c’è bisogno di riconoscere il rifugio dove acquietare i tormenti dell’esistenza.

       Perché l’insistenza sulla Galilea? Abbiamo notato come “la Galilea”  in Matteo faccia da “altro versante” rispetto a Gerusalemme: la Galilea è una regione montagnosa, periferica rispetto alla capitale, terra di rivoltosi e briganti. Quello è stato il luogo del primo ministero di Gesù, il luogo della chiamata dei discepoli e delle discepole, il luogo delle guarigioni e delle moltiplicazioni dei pani, il luogo della tempesta sul lago e della manifestazione di Gesù come Messia.

      La vita economica e politica, le grandi decisioni umane vengono prese nella capitale, con le alleanze, i giochi di potere, le umiliazioni e gli intrighi. Il discepolato appresso a Gesù non ha bisogno di questi centri di potere: basta la montagna, il luogo della resistenza. Dalla Galilea Gesù manderà i discepoli ad annunciare la sua Parola, a fare altri discepoli, a battezzare e ad insegnare quello che Gesù ha comandato. Bisogna che la chiesa di Gesù incontri le persone là dove hanno bisogno di lei; non occorre la visibilità, non si deve contare fra i potenti della terra. Non è vero che più si è potenti, più si può donare: Gesù ha fatto il contrario e ha moltiplicato il poco che i discepoli mettevano nelle sue mani. Risurrezione è “tornare in Galilea” per cominciare daccapo a rifare l’essere umano e a partire da questo il mondo.