L'unigenito Figlio di Dio


(testo di riferimento: Gv.1,18)


Il Credo a questo punto elenca una serie di nomi e di titoli che si riferiscono a Gesù nel suo rapporto con Dio (poi si parla della sua venuta nel mondo e infine del suo ritorno). Abbiamo già detto che Gesù è il centro dell'interesse dei credenti del IV secolo che hanno formulato questa confessione di fede, operando un grande sforzo per trasmettere dei contenuti essenziali alla cultura del loro tempo, ma anche per differenziarsene e per trovare fra i cristiani unità di espressione della fede. "Crediamo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre. Per mezzo di lui sono state fatte tutte le cose". Si tratta di una serie di espressioni che vogliono parlare di Gesù e lo fanno come a ritroso, con un flash-back, che risponde alla domanda: da dove è venuto Gesù? Grandi autori usano questa tecnica per romanzi, come il vecchio film di Bergmann (Il posto delle fragole?), che comincia dal sogno/incubo di un uomo illustre molto anziano, che sta per andare a ricevere il Premio Nobel, ed anche sta per morire, per risalire a ritroso al resto della sua vita, il lavoro, le scoperte, i rapporti umani.

Così fanno a proposito di Gesù alcuni autori del Nuovo Testamento (come Giovanni) e così fa il Credo: la prima cosa che dice di Gesù è, seguendo antiche professioni battesimali di fede, che Gesù è il solo Signore (Kyrios, che traduce Adonai, e il nome impronunciabile di Dio). Poi continua con la definizione "unigenito" (monoghenes, figlio unico); è un termine raro, che si trova poche volte soprattutto nel Vangelo di Giovanni. Nell'immaginario religioso pagano c'è spesso una coppia divina, dalla quale viene generato il mondo. Il Dio di Abramo che viene confessato come unico Dio da Israele in tutti i tempi, è un Dio che non vive da solo, ma è un Dio-in-relazione. Analogamente gli autori cristiani descrivono questa Relazione come una relazione fra Padre e Figlio, fra essere e apparire, fra azione e parola. Ed ecco la Parola eterna di Dio che è con lui fin dal principio ed è lo stesso unico Dio. La Sapienza divina che è presso Dio come un "artefice" (Prov.8,30), sempre "esuberante di gioia" che partecipa alla creazione e trova "la sua gioia tra i figli degli uomini" (v.31). Quel che conta è il rapporto che lega Dio-Parola-Sapienza, Padre-Figlio-Spirito. L'unicità non vuol dire solitudine, la paternità non è sterilità, l'esuberanza di vita non è aridità. Il Credo diventa poetico nel definire Gesù: nato dal Padre prima di tutti i secoli, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero.

 Gesù è Figlio di Dio in modo particolarissimo, non come anche noi siamo figli di Dio; anzi noi veniamo adottati come figli se ci identifichiamo nella storia di Gesù e accettiamo di essere suoi fratelli e discepoli/e. Il Credo non segue un discorso teologico sistematico conseguente; non vuole staccarsi dall'immaginario biblico. Più razionale e comprensibile era il discorso di Ario, un teologo di Antiochia, che sforzandosi di mantenere l'unicità di Dio e la preesistenza di Gesù rispetto alla creazione, finisce per farne un "dio minore", un mediatore. Contro di lui un altro teologo Atanasio, ottiene dal Concilio di Nicea (325) queste formulazioni che sono più poetiche che sistematiche, ma affermano che in Gesù è Dio stesso a salvare il mondo: Dio vero da Dio vero, generato non creato. La battaglia teologica passerà alla storia come la disputa dello "iota" (la "i" greca) che permetterà di dire "della stessa sostanza" (omoousios), invece che "simile" (omoiousios) al Padre. Naturalmente sono delle espressioni forse comprensibili alla filosofia del loro tempo, ma per noi assolutamente datate. Chi oserebbe oggi parlare della "sostanza" del Padre? Chi potrà mai dire qualcosa di una sostanza di Dio? Quello che rimane di quella aspra discussione è la centralità di Cristo nella fede, l'unicità del Dio che si rivela in Cristo.

Qui torniamo al nostro testo del vangelo di Giovanni che ha una strana espressione (forse frutto della cattiva conservazione del testo): "l'Unigenito Dio", che è nel seno del Padre, è quello che l'ha fatto conoscere (lett.:ne ha fatto l'esegesi)". Fonti accreditate che vogliono spiegar meglio aggiungono "di Dio" a "Unigenito" e siamo già quasi alla disputa del IV sec. Il Vangelo di Giovanni conosce queste estremizzazioni, pur sempre distinguendo fra Gesù è il Padre. Nel cap. 14 è riportata la domanda del discepolo Filippo "Signore mostraci il Padre e ci basta". Gesù risponde con un lungo discorso nel quale arriva a dire "Chi ha visto me ha visto il Padre" (v.9), affermando la profonda unità fra lui è il Padre ("Io sono nel Padre e il Padre è in me"; le parole sono non sue ma del Padre, che dimora in lui), ma tuttavia sempre nella distinzione fra sé e il Padre. Non sappiamo quanto di questo sia veramente di Gesù e quanto sia il flash back di Giovanni che rilegge in maniera divina la storia di Gesù. Il Gesù di Marco che si definisce Figlio dell'uomo è molto diverso da questo.

Ma il Credo coglie il cuore del Vangelo di Giovanni: nessuno ha mai visto Dio! L'Unigenito è il suo interprete. Il desiderio più profondo di noi umani è raggiungere l'impossibile: vedere Dio. Anche Mosè esprime questo desiderio "Fammi vedere la tua gloria" (Es.33,18). Quando l'essere umano si propone come massimo desiderio quello di vedere Dio, in realtà vorrebbe disporre di Dio come di un oggetto (Bultmann). Sempre il discorso su Dio nasconde una ricerca sul significato di sé e della nostra vita. Non c'è bisogno di ascesi mistica per incontrare Dio. Si deve accettare la sua venuta in Gesù Cristo. Chi ha "visto" me, ha visto il Padre, dice Gesù. Non c'è nessun altro prima, perché con nomi diversi (Sapienza, Sofia, Logos, Parola, Luce ecc.) Gesù era già presente al principio della creazione. Non c'è nessun altro dopo, perché con nome diverso, lo Spirito Santo, il Consolatore, Paracleto, è presente oggi nella nostra vita, dall'intelligenza ai sentimenti della singola persona fino al progetto di rinascita del mondo.

Gesù fa conoscere Dio, lo "conduce fuori" (exegheistai) dal segreto dell'inconoscibilità, dalla Parola detta nell'antichità, dalla Parola testimoniata nei secoli, spesso malamente ripetuta e balbettata dalla nostra generazione. Gesù è l'esegeta di Dio. Questo vuol dire poter rileggere la Scrittura oppure esaminare anche altre Scritture di altri popoli e culture a partire dal punto di vista di Gesù, che è un rapporto di libertà: il Sabato è fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato (Mc.2,27). E' un rapporto di elezione: Ti ringrazio, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli (Lc.10,21); un rapporto di fiducia: Non siate in ansia dicendo: Che mangeremo?  che berremo? di che ci vestiremo?... il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose (Mt.7,31). Perfino davanti ai persecutori o nei tribunali: Non preoccupatevi di come parlerete... in quel momento stesso vi sarà dato ciò che dovrete dire ( Mt.10,19). Un rapporto d'amore: Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo Unigenito, affinché chi crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Gv.3,16). Il dono dell'Unigenito è il dono di sé fatto da Dio stesso, che così si fa conoscere.

Se Gesù è un Figlio del tutto particolare, perché viene dal seno (!) di Dio, anche noi siamo figli, nati di nuovo dall'amore di Dio in Cristo, "nati dall'alto" o dallo Spirito, come Gesù insegna a Nicodemo. La nostra vita comincia veramente quando veniamo a saperlo (ci viene rivelato), perché Gesù ce ne dà l'esegesi, il significato. Ora possiamo procedere verso un futuro senza ansia, perché la morte, affrontata da Cristo, è alle nostre spalle e noi finalmente capiamo noi stessi sotto questa nuova luce e capiamo gli altri esseri umani e il mondo come l'oggetto dell'amore e dell'elezione di Dio.