"Tutto era molto buono!" ... e il male?


(testi di riferimento: Gen.1,31 e 2 Cor. 4, 10)

Siamo ancora nel commento del Credo, al paragrafo del "Dio Creatore"; non possiamo abbandonarlo senza una riflessione sull'esistenza del male, malgrado la buona creazione. I primi capitoli della Genesi sono dei canti di lode per la buona creazione di Dio: il primo capitolo ha come ritornello "Dio vide che questo era buono" (5 volte), ma per la prima volta della luce dice già al v.4: "Dio vide che la luce era buona" e infine dopo la creazione degli esseri umani, dice al v.31: "Dio vide tutto quello che aveva fatto, ed ecco, era molto buono". Sappiamo come al cap.3 della Genesi si attribuisca agli umani l'introduzione della disubbidienza e del peccato (ma da dove era venuto il serpente?), fino al punto di dichiarare nelle storie di Noè e del diluvio: "Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che il loro cuore concepiva soltanto disegni malvagi in ogni tempo" (Gen.6, 5). Questo testo è stato citato nei giorni scorsi dal Rabbino J. Levi, che ricordava il "dolore di Dio" per la disarmonia della creazione; la mistica ebraica medievale ha teorizzato perfino un disordine in Dio stesso, finché l'uomo non impara a vivere nella Torah per ricomporre quello che ha sconvolto.

Siamo abituati a comprendere i racconti biblici come metafore e non come resoconti di fatti veramente avvenuti; il loro messaggio è che Dio si identifica col bene, con la vita, con l'amore, con la solidarietà, con la possibilità di trasformare il male in bene e perfino di trarre nuova vita dalla morte. Quelli che rinunciano a pensare a Dio come Creatore si risparmiano la fatica di doverlo "giustificare" di fronte alla morte e al male, e dunque interpretano la venuta al mondo degli esseri viventi come un gioco di caso e di necessità, che sono di per sé ovviamente imperfetti. Il problema è fra i più gravi e difficili: se Dio è amore ed è onnipotente, perché accetta il male, la sofferenza, l'ingiustizia che sono molto evidenti e diffuse sulla terra?

E' quasi la questione più grande che ci troviamo per le mani nell'ambito della teologia e nella riflessione dei credenti. Dire che il  mondo si è fatto da solo per un gioco di casualità e di elementi non risolve un granché, perché significa in fondo fare del Caso un dio, del quale non si capiscono le intenzioni e le finalità, per cui saremmo sempre più esposti all'ingiustizia e al non-senso del vivere: saremmo una parte infinitesimale del processo evolutivo delle specie, inseriti nel gioco della sopravvivenza, parte della catena alimentare che ci vede ben piazzati, mentre milioni di specie sono scomparse o in via di estinzione; la nostra specie invece, almeno in questa fase dell'evoluzione, rischia di sovraffollare la terra e di non trovare abbastanza risorse per tutti; poi si estinguerebbe come molti altri esseri passati nei milioni di anni, lasciando poche tracce insignificanti.

I racconti della creazione, invece, che sono degli inni di lode, confessano una profonda fiducia nel Dio Creatore, che è un Dio che ama le cose che ha create ed ha un disegno complessivo per tutte le creature che vivono alla sua gloria; e in particolare Dio ama gli esseri umani, colloquia con loro nel giardino, fornisce consigli per il loro bene; tuttavia non li obbliga e non è il loro unico riferimento (ecco perché può esserci il serpente). Quando gli umani superano il loro limite (qualunque cosa possa essere il frutto dell'albero "della conoscenza del bene e del male") avviene qualcosa di irreparabile: la perdita del paradiso, con conseguenze nefaste che riguardano la perdita del buon rapporto con le altre creature e con la terra e del rapporto degli umani tra loro e con Dio. E' qualcosa di irrimediabile, come è la perdita dell'infanzia nella vita più matura della persona umana, ma non bisogna vederlo come una caduta definitiva nel peccato che ormai sovrasterebbe e schiaccerebbe gli umani, senza che se ne possano difendere. Nel racconto di Caino, c'è ancora colloquio fra Dio e l'uomo, sia prima che dopo l'assassinio, e Dio avverte Caino: "Se agisci male, il peccato sta spiandoti alla porta e i suoi desideri sono rivolti contro di te; ma tu dominalo!" (Gen.2,7).

Nella Bibbia non c'è un trattato filosofico-teologico sull'origine del male, ma si descrive in forme incisive attraverso "racconti" i vari casi umani su cui occorre riflettere per fare delle scelte giuste: Caino sceglie il male, nel suo caso il male è un'azione sbagliata, che distrugge la vita di suo fratello. Il peccato o il male in questo caso non coincidono per le due persone implicate: sono un'azione violenta e ingiusta da parte di Caino, per Abele si tratta di un destino infausto. Dio è dalla parte di Abele (il nome significa: soffio o debole); e ancora sempre di nuovo si manifesterà dalla parte del debole, quasi a correggere la storia che è segnata dai più forti, dalle leggi naturali della sopravvivenza. Dio si manifesterà dalla parte di Abramo e di Sara, che erano sterili, invece che dalla parte dei patriarchi con famiglie numerose e potenti, dalla parte degli schiavi maltrattati e fuggiti da un potente impero, e poi dei seminomadi israeliti insediati ai margini delle aree già ben urbanizzate e così di seguito, fino ai tempi di Giobbe, quando sconfiggerà il perbenismo religioso degli amici che dovrebbero confortarlo, ma si rivelerà proprio a lui, il reietto e tormentato da un destino avverso, per parlargli e permettergli di rispondere. La sua sola presenza-viva placa il tormento dell'essere più torturato dai mali...

E' così che lo testimonia anche il Crocifisso, perché lo invoca come Padre e come Dio anche nella morte ingiusta e immeritata. Dio si identifica nel suo Figlio crocifisso e nel male del mondo, perché così lo trasforma in una vita risorta che non teme più il male. Si tratta di una vita a partire dalla morte e non di una vita che va verso la morte, come ci è stato spiegato a proposito del testo paolino della Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani. Bisogna che il vaso sia debole e fragile, perché il contenuto di forza vitale si espanda e raggiunga anche i più lontani e disperati. Bisogna che i vasi siano di coccio, perché l'attenzione si concentri sul loro contenuto (che può essere acqua o vino o olio profumato) e non sul contenitore che lo porta. Bisogna che i cocci siano tutti della stessa materia (fragile) se devono essere incollati insieme per rifare un vaso unico (fragile), che sia la vera chiesa, corpo del cristo crocifisso, portatore della Parola di Dio. I nostri vasi sono fragili a livello personale, ma come chiese sono marmo puro, o vorrebbero essere d'oro o d'argento, o d'acciaio inossidabile per resistere all'usura dei secoli... Naturalmente fintanto che saranno di materiali così diversi si scontreranno senza fondersi.

L'apostolo Paolo parla di "portare nel nostro corpo la morte di Cristo, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo". Il termine usato per "portare" (peripherontes) fa pensare alla perifericità e non alla centralità, fa parte di quella fragilità che Paolo ha vissuto nella sua persona e che Gesù ha scontato nella morte sulla croce: "soffrì fuori della porta della città" (Ebr. 13, 12). Solo attraverso la fragilità la potenza di Dio si rivela come potenza e come vita al di là e al di sopra della morte; nella durezza del marmo resteranno i suoi fregi, ci sarà l'ammirazione per l'ingegno (e soprattuttto per il potere), ma non cambierà la vita di nessuno. Noi invece viviamo del perdono dei peccati (come dice il Credo verso la fine) che commettiamo noi e della grazia di Dio che ci sceglie e accompagna anche nelle disgrazie più aspre e immeritate.

Questa è la fede nel Dio Creatore: non sappiamo perché ci siano il male e il peccato, ma sappiamo che anche e proprio attraverso queste esperienze il nostro Creatore ci ama, ci dona un futuro, ci fa intravedere una vita di pace nella giustizia che ancora di gran lunga non c'è, ma che può esserci se viviamo come vasi di coccio che conservano (osservano, servono) la sua Parola di vita. e che imparano ad amare e ad accettare di essere amati. Lo sguardo è verso le "cose che non si vedono" e che però sono quelle vere ed eterne!