I Cor 15,51-58; II Re 5,1-19

Tutti saremo trasformati

 

La liturgia della domenica di oggi unisce in se due elementi: la preghiera per l'unità dei cristiani e il rinnovamento del patto. Questi elementi sono uniti a mio avviso da un unico concetto: la trasformazione. La preghiera permette di attingere dalla forza di Dio e rende possibile prima di tutto la trasformazione interiore dell'orante. Il patto tra l'Eterno e il suo popolo è il principale fattore di trasformazione della storia umana.

Il verbo greco usato nel testo I Cor 15 (allagêsometha) fa pensare alla trasformazione di ciò che è visibile. Infatti durante la settimana che corre dal 18 al 25 febbraio noi cristiani preghiamo per la sempre più palese manifestazione dell'unità della Chiesa di Gesù Cristo. Va detto subito che tale chiesa è, è stata e sarà sempre unita. Il vero problema è invece l'unità tra noi che ci chiamiamo cristiani e che facciamo parte di tante e ugualmente imperfette manifestazioni di quell'unica e indivisa chiesa. La forza trasformatrice della preghiera deve dunque agire sui nostri egoismi, sulle ambizioni sfrenate, sul malsano desiderio di primeggiare.

Dal punto di vista spirituale si tratta di gravi malattie, così come deve essere considerata grave la malattia di Naaman, capo dell'esercito del re di Siria. La lebbra sia nell'universo simbolico ebraico sia nella realtà di oggi significa isolamento, significa che ogni relazione deve essere vissuta con una certa distanza di sicurezza, impedisce o limita fortemente ogni forma di contatto fisico, deturpa il corpo.

Credo che la stessa cosa valga per i mali spirituali che affliggono i cristiani. Non c'è bisogno di scomodare la ben nota superbia propria di tanti papi e di tantissimi alti prelati. Basterebbe guardaci nella nostra piccola realtà protestante fiorentina per scoprire quanto sia rara l'umiltà e quanto sia diffuso il desiderio di primeggiare.... L'umiltà che è la principale virtù di chi vuole dialogare e collaborare realmente con l'altro. Questa umiltà sembra mancare a Naaman che giunge sulle rive del Giordano carico dei privilegi del suo rango e dei pregiudizi contro una cultura e una religione decisamente inferiori a quella siriana dell'epoca.

Egli deve spogliarsi di tutto ciò. Infatti, Naaman deve riconoscere che l'unica possibilità di guarigione dipende dal rude profeta ebreo che vaga sulle rive di un irrilevante fiume che non ha nulla da spartire con le splendide acque della Siria.

Sarà una trasformazione lunga e faticosa. La guarigione dalla lebbra pare essere quasi secondaria. Naaman scopre la potenza dell'Unico Dio che per guarirlo dalle ferite esteriori distrugge prima la sua malattia interiore, quella della superbia appunto.

È assai tenera la parte finale del racconto: Tuttavia il SIGNORE voglia perdonare una cosa al tuo servo: quando il re, mio signore, entra nella casa di Rimmon per adorare, e si appoggia al mio braccio, anch'io mi prostro nel tempio di Rimmon. Voglia il SIGNORE perdonare a me, tuo servo, quando io mi prostrerò così nel tempio di Rimmon!» (II Re, 5,18). Rimmon deve essere stata una delle principali divinità dei Siri adorato a Damasco. Questa misteriosa divinità è stata identificata con Rammanu, il dio assiro del vento, pioggia e tempesta. L’origine del suo nome nella lingua e nella letteratura siriana antica è dubbia (ramamu, "a tuono"). Nella Bibbia invece il nostro testo è l'unico luogo in cui compare questa divinità.

Ciò che mi colpisce non è l’etimologia del nome ma la riposta che Eliseo dà al neo-convertito adoratore dell'Unico Dio: Va in pace! (v. 19). Un raro esempio di tolleranza e apertura che fa invidia al nostro mondo cristiano in cui il fanatismo di stampo letteralista e integralista pretende di dominare la scena e di scatenare sempre nuove guerre di religione. Una persona realmente di Dio è più avanti della religione, scrisse nella seconda meta del XIII sec. Jalāl al-Dīn Rūmī, poeta e mistico persiano di estrazione musulmana. Noi cristiani del XXI secolo siamo invece ancora capaci di litigare sulle sfumature dei nostri scritti confessionali.

Predicazione del Past. Pawel Gajewski, Chiesa Valdese di Firenze, Domenica 22 Gennaio 2012