Patì sotto Ponzio Pilato


(testi di riferimento: Mt.27, 15-26; Gv.12,24)


 Ponzio Pilato è forse il più noto (almeno per nome) dei governatori romani di tutti i tempi, sicuramente più della maggior parte degli imperatori, a causa della sua menzione nel Credo, imparato a memoria e recitato dai cristiani di tutti i tempi e in ogni parte del mondo. Chi è stato veramente Pilato? Le sue origini sono oscure, come per la quasi totalità dei suoi contemporanei, anche più illustri e meno controversi. Alcuni cercano tracce di nobiltà nell'esistenza di una famiglia Pontia; altri vedono nel 'pileus', da dove potrebbe aver origine Pilato, un berretto rosso che veniva portato dagli schiavi riscattati, dunque siamo alla tesi opposta che gli attribuisce umili origini. L'unica cosa certa è che è stato governatore della Giudea fra il 26 e il 36 secondo la nostra datazione, mentre Tiberio era imperatore a Roma, ed Erode tetrarca della Galilea (tetrarca vuol dire capo di un territorio diviso in 4 parti) secondo le notizie forniteci da Luca 3,1 quando parla dell'inizio della missione di Giovanni il Battista e dunque poi di Gesù.

Dalla storia si sa, da Giuseppe Flavio, che ha avuto molte difficoltà a capire la stranezza degli ebrei, perché al suo arrivo avrebbe collocato a Gerusalemme le insegne imperiali, ma ne è stato impedito da una resistenza che avrebbe pagato ad oltranza con la vita dei suoi sudditi, perché non si commettesse questo sacrilegio. Pilato in questo caso ha desistito, ha tenuto fermo invece quando col danaro del Tempio ha pagato un'opera pubblica, un condotto dell'acqua, malgrado le esagerate proteste dei capi religiosi.

Nel Vangelo di Luca Pilato è anche ricordato per una strage di galilei durante una delle molte sommosse contro i romani (13,1). Sappiamo che nel 36 fu richiamato a Roma e dovette giustificarsi per un inutile massacro di samaritani in una analoga circostanza. Poi scompare e non si sa più nulla; una pia leggenda lo vuole suicida per i suoi rimorsi. In realtà la storia umana non lo condanna per gli interventi, anche pesanti, in quella che è oggi la Palestina, da sempre funestata da guerre fratricide. Un governatore è mandato per tenere l'ordine pubblico a qualunque costo, e questo Pilato lo ha fatto come ha potuto.

Pilato è ricordato universalmente per il giudizio che non è riuscito a dare su Gesù; in fondo c'è stata solo una sentenza, ma senza processo. La sentenza avrebbe potuto esser data dagli stessi ebrei, visto che si trattava di condannare un loro preteso Messia, e così avrebbe voluto Pilato senza essere lui coinvolto. Matteo descrive il suo "lavarsi le mani", a significare la sua estraneità (é anche "innocenza"? Mt.27,24). Matteo è l'unico che riferisce anche di un sogno che ha turbato la moglie di Pilato. Sappiamo che si chiamava Procula e che era figlia della terza moglie di Tiberio e forse per qualche tempo sua favorita. Molte leggende si accaniranno su lei. Qui ci colpisce lo stesso verbo che poi il Credo userà per Gesù, "ha sofferto" in sogno a causa di lui.

Dalla storia del mancato processo a Gesù si trae l'impressione di una sua certa prudenza: non vuole scontentare i capi sacerdoti e il Sinedrio di Gerusalemme, non vuole del tutto depotenziare Erode, che sarebbe il "re" locale, senza alcuna funzione reale; d'altra parte è abbastanza avveduto politicamente da non mettersi nei guai per uno sconosciuto, quando lo minacciano di denunciarlo all'imperatore.

Il Vangelo di Giovanni è quello che lo menziona più a lungo di tutti gli altri (cap.18,19), dove Pilato si coinvolge in discussioni con gli accusatori (su chi debba giudicare Gesù), con Gesù stesso sull'essere re e di quale tipo di Regno, e poi sull'autorità e da dove essa viene, e sulla verità. Su quest'ultimo argomento Pilato si mostra assai scettico. Infine il vangelo di Giovanni mette in bocca a Pilato delle involontarie profezie, o parole di gran rilievo teologico, di cui egli, come della verità, in realtà non si cura: "Ecco l'uomo!" (19,5) e l'iscrizione sulla croce "Gesù il Nazareno, il Re dei Giudei". Giovanni, fra i Vangeli, accentua che Pilato "cercava di liberarlo" (19,12). Nel Cristianesimo antico si sono date due letture diverse di questa sua ambigua personalità: nel mondo orientale (soprattutto copto) è prevalsa la leggenda del suo pentimento e del suo amore verso Gesù e Pilato, insieme a sua moglie Procula sono considerati santi. In Occidente è prevalso un giudizio negativo che fa di Pilato uno scettico, disilluso, incapace di mantenere una posizione in favore della giustizia. E' nota l'espressione di Dante "che per viltade fece il gran rifiuto" che secondo una poco nota interpretazione di G. Pascoli si riferirebbe a Pilato (e non a Celestino V). Del giudizio poco favorevole in Occidente basti pensare a detti popolari come: "lavarsi pilatescamente le mani" oppure "starci come Pilato nel Credo"...

In effetti cosa ci fa Pilato nel Credo, visto che si tratta di dichiarazioni solenni che riguardano la fede? Come abbiamo già detto per Maria, Pilato sta nel Credo perché ci dice qualcosa di importante su Gesù. E' Gesù il soggetto del verbo "patì". E non avviene per caso che sia menzionato Pilato e non Quirino (che era governatore quando è nato Gesù). Il Credo considera ben più importante la morte che la nascita di Gesù. Pilato significa che Gesù è entrato nella nostra storia e l'ha percorsa fino in fondo. La sua vita e in particolare la sua morte sono un evento incancellabile della storia, anzi l'evento di svolta della storia umana. Non vi è entrato da Dio o da Eroe, facendo gesta mirabolanti, ma nella prosaicità della carne, anzi della morte.

Le altre religioni del mondo hanno i propri valori per la visione che danno della realtà, per la carica morale che trasmettono, per la promessa di un futuro migliore o perché insegnano a gestire la vita e il corpo di ciascuno, o un corretto rapporto con la natura, ma non hanno questo radicamento nella storia umana, iniziato con l'Ebraismo e portato a maturazione nel Cristianesimo. L'annuncio principale, la buona notizia è che Dio è entrato nella storia e la storia è valorizzata dalla sua presenza nascosta, ma efficace (quanto un seme piantato in terra). Anche nel Cristianesimo si è presto deviato cercando di sfuggire alla storia, dedicando la vita apparentemente a Dio nella mistica e nell'ascesi, sono vie di fuga che non prendono sul serio l'incarnazione di Dio nel Cristo e la sua morte "sotto Ponzio Pilato".

Il Credo, di tutta la vita di Gesù, del suo Battesimo, dei suoi insegnamenti, dei suoi miracoli, delle dispute, delle visioni, tace: riassume tutto nel verbo "patì". Non perché tutto il resto non conti, non sapremmo molto di Gesù se  i Vangeli non ce l'avessero raccontato! L'apostolo Paolo parla soltanto della morte e della risurrezione di Gesù, dice che vuol sapere soltanto "di Gesù e lui crocifisso" (1 Cor.2,2). La morte di Gesù è la discesa nella storia, della quale si accetta anche il limite, la fine, anzi una fine ingiusta, dunque la meno accettabile, che contraddice la giustizia di Dio. Tutti i testi del Nuovo Testamento convergono nel descrivere la morte di Gesù: 1) non frutto del caso, ma consapevolmente accettata da Gesù e messa in conto come conseguenza del suo comportamento; 2) non destino ineluttabile da applicare ad ogni altro essere umano, quasi che la "sofferenza" sia di per se stessa la definizione del vivere.

Come il granello piantato in terra, la morte di Gesù è un atto unico e irripetibile. Molti altri sono morti da eroi, o vittime di ingiustizia, martiri. Ciascun seme porta il suo frutto. Quello di Gesù è di essere il primogenito Figlio di Dio, primogenito di molti fratelli e sorelle, che siamo noi, di passare per la morte ad una vita risorta, indescrivibile, fondata sulal fedeltà e sull'amore.

Il "patì" è la cosa più importante di questo Figlio di Dio, che ormai diventa, l'unigenito Figlio di Dio, ma non deve esser estesa necessariamente ad ogni figlio/a di Dio, come noi siamo, perché è l'evento a partire dal quale è avvenuta una rottura della storia e di tutta la sua violenza, che sembra ancora oggi necessaria e interminabile. Proprio perché il Figlio di Dio, Gesù, ha accettato di "patire" nella storia umana, la storia umana può e deve cambiare: uomini e donne fanno loro/nostra la sua passione e partecipano/partecipiamo per grazia di Dio alla sua risurrezione. Questi figli di Dio non infliggeranno più violenze e tormenti agli altri umani loro contemporanei per amore del Messia disarmato che ci ha resi membri di una stessa famiglia, la famiglia di Dio. Ora siamo responsabili dei nostri fratelli e delle nostre sorelle in ogni parte del mondo.

Se costruiamo la pace (facitori di pace) Gesù ci fa essere beati, suoi discepoli!