Isaia 41, 13 “Non temere, io t’aiuto!”

 

L’intero capitolo 41 è un riassunto di molti fra i temi più salienti del Deutero-Isaia o Isaia di Babilonia, come viene a volte chiamato dai commentatori, che sono : l’unicità di Dio, il suo carattere di Creatore di una nuova realtà, che dovrà cominciare con il ritorno degli esuli, il sostegno e la consolazione a persone scoraggiate.

L’autore si rivolge agli ebrei esuli a Babilonia, che sono in pericolo di perdere la loro religione, dopo un lungo periodo di distanza dalla patria, dal re,  da Gerusalemme, dal Tempio, dai sacerdoti a cui tanto facilmente ci si abitua a delegare la fede in ogni tempo.

La gente a cui si indirizza il profeta è forse gente stanca e frastornata: l’idolatria che la circonda sembra forte, invincibile, è diffusa in tutto il mondo, con forti simboli e imperatori invincibili. Ha templi giganteschi e tentacolari, alle cerimonie dei quali è difficile sottrarsi; non sembra buona politica ritirarsi in se stessi a pensare al Dio tribale, che ha “scelto Giacobbe”, che ha chiamato Abramo “l’amico mio”. Israele è triste e solo, ed è tentato di “smarrirsi”, di sentirsi una larva o un vermiciattolo (v.14) in un contesto storico-politico gigantesco di cui non arriva a comprendere la portata. Ci sono persone ricche e potenti, come i babilonesi, che sono i suoi padroni, ma anch’essi stanno per esser spazzati via dai Persiani e con la caduta di Babilonia nel 539 viene anche l’editto di Ciro che permetterà agli esuli d’Israele di ritornare a casa.

In questo quadro si colloca il Libro delle Consolazioni, che chiamiamo Deutero-Isaia, che è destinato a ridare forza, coraggio, identità a chi l’ha quasi perduta. L’identità è quella dei padri: Giacobbe, Abramo. Questo testo usa delle parole-chiave che faranno riflettere e riecheggeranno per sempre nella storia ebraica e poi in q          uella cristiana: servo (ebed) e amico (ochavì, l’amato mio). Anche Gesù se ne è servito per parlare del suo rapporto con i discepoli e con Dio. All’identità troppo piccola che noi ci attribuiamo nei momenti di depressione (il vermiciattolo) Dio risponde con l’offerta di essere per sempre il nostro Amico: “Io sono il tuo Dio, io ti fortifico, io ti soccorro, io ti sostengo con la destra della mia giustizia” (v.10) oppure “Io, il Signore, il tuo Dio, fortifico la tua mano destra e ti dico: Non temere, io ti aiuto!”; “Il tuo Redentore è il Santo d’Israele” (v.14).

Dio è il Dio unico, che scende in contesa con gli idoli e li smaschera per la loro pericolosa nullità, che però diventa oppressione dei miseri. Lo stile è quello della diatriba giudiziaria (il “rib”) dove si espongono tutte le ragione del querelante e si attendono delle risposte da parte degli altri: “Veniamo assieme in giudizio!” (v.1). Apparentemente sono più forti e più uniti gli adoratori degli idoli, si danno coraggio a vicenda (v.5). Usano la scienza e la tecnica per “fabbricare” i loro dèi, in realtà questi rappresentano gli oppressori regnanti dell’epoca, che a volte si sostengono, a volte si combattono. Non c’è bisogno di congiura contro il Dio unico che vede e sente ogni cosa. Dio stesso li invita: “Presentate la vostra causa… esponete le vostre ragioni! (v.21), e poi dimostra che non sono in grado di prevedere e provvedere al futuro, “non sono che vanità; le loro opere non sono nulla, i loro idoli non sono che vento e cose da niente” (v.29).

Dio è l’Unico e non è un idolo. Fra Dio e l’idolo passa la differenza fra essere e non essere; Dio fa essere le cose che non sono, accetta di essere l’amico del vermiciattolo, dichiara “Io, il Signore, sono il primo, io sarò con gli ultimi” (v.4). Dobbiamo immaginare questa Presenza a proteggere gli ultimi, come quando si sfolla da una casa che brucia e può essere pericoloso per chi  resta indietro. E’ quello che avverrà con il Servo Sofferente del Signore che prenderà su di sé il pericolo per salvare la vita degli altri. E’ quello che confessiamo noi in Gesù, come il Signore che ha donato la sua vita per la nostra salvezza. Con la sua presenza i vermiciattoli diventano uomini e donne a statura umana vera, capace di prendere responsabilità e di portarla per gli altri; diventano amici, creano strutture collettive comunitarie capaci di riscatto di quelli che restano indietro, degli ultimi che devono sempre e di nuovo esser salvati.

Non così l’idolo, che rappresenta sempre il potere (assoluto) di qualcuno mentre tutti gli altri sono nella più estrema miseria: in questo quadro ci sono i grandi della terra, che vivono nella prosperità, “parlano dall’alto in basso con arroganza… Alzano la loro bocca fino al cielo, e la loro lingua percorre la terra” (Salmo 73,9). E “il popolo si volge dalla loro parte, beve abbondantemente alla loro sorgente”, tanto da far gridare il Salmista “Invano dunque ho purificato il mio cuore!?”

La presenza degli idoli si vede proprio da questa disparità: le masse sono abbandonate a se stesse, non contano nulla e non decidono neanche della loro stessa vita, per non parlare dei destini dell’umanità, mentre uno, circondato da pochi viene venerato come un dio. La tentazione però è viva per le masse di adorare quell’idolo che viene osannato per le sue virtù; i ricchi diventano sempre più ricchi; chi ha potere ne ha sempre di più e gli viene attribuito anche quello che dovrebbe esser diviso fra tanti. Occuparsi degli “ultimi” non è il loro interesse primario, anzi, gli ultimi se sono tali sono degli incapaci, mentre loro sono intelligenti e svelti; se sono religiosi si sentono anche molto buoni e al servizio degli altri. Però gli altri non sono sollevati dalla condizione di vermiciattolo a quella di amico. Quando ci sono gli idoli, ci sono tanti vermiciattoli che resteranno sempre tali, con qualche albero su cui salire ogni tanto.

Dio dice “Non temere”: questa esortazione con varianti dallo stesso contenuto pare si trovi 366 volte nella Bibbia, una per ogni giorno dell’anno, compreso l’anno bisestile. L’abbiamo ricevuta da Gesù, quando i discepoli sono sulla barca e c’è tempesta sul lago; l’ha sentito Giuseppe dall’annuncio dell’angelo e i pastori con l’esortazione ad andare a trovare il bambino appena nato… Non si possono elencare i vari “Non temere”, perché sono troppi… Fino alla risposta piena di fiducia del Salmo 23 “Quand’anche camminassi nella valle dell’ombra della morte, io non temerei male alcuno, perché tu sei con me”. Se Dio dice “Non temere” sappiamo che è dietro di noi per salvarci e che non dobbiamo temere neppure la morte, perché anche se dovessimo affrontarla sarebbe con noi, come vi è già stato il Cristo prima di noi.

La descrizione della salvezza di Dio viene descritta nei termini di un nuovo inizio: Dio farà scaturire dei fiumi sulle nude alture, delle fonti in mezzo alle valli, pianterà nel deserto alberi di ogni specie (v.18-20). Il Creatore può dare inizio a una nuova creazione, discute con gli idoli, li smaschera, dà forza ai pochi suoi amati seguaci, dona la vita del suo Servo, cioè la sua stessa vita per gli ultimi, dona la sua identità a chi l’ha persa dietro agli idoli. Il Creatore del futuro dell’umanità ci esorta ad esultare per quello che sta per creare: bisogna che tutti “vedano, sappiano, considerino e capiscano che la mano del Signore ha operato e che il Santo d’Israele ne è il Creatore” (v.20).