Domenica 23 settembre 2007, 17° dopo Pentecoste - Chiesa Evangelica Valdese di Firenze

"Non piangere !"

Luca 7,11-16

Il cristianesimo contemporaneo pullula di guarigioni miracolose. Non si tratta in questo caso soltanto dei grandi santuari del cattolicesimo romano, come Lourdes, Fatima, Pompei. Anche le chiese di stampo pentecostale fanno della guarigione uno dei tratti portanti della propria spiritualità. Lungi da me una critica di questo fenomeno. Credo profondamente che Dio con la sua Grazia possa operare guarigioni veramente straordinarie, del corpo e dell’anima. Provo invece forti perplessità davanti a qualunque tentativo di ostentare o di strumentalizzare una vera o presunta guarigione.

È notevole tuttavia il fatto che nessuno oggi osa affermare di avere il potere di risuscitare i morti. Molti di noi hanno sentito di alcuni casi, abbastanza clamorosi, di risveglio dopo un lungo periodo di coma o, addirittura, dopo la dichiarazione della morte clinica. Che io sappia non si è mai sentito parlare di un ritorno alla vita di un essere umano che ha varcato definitivamente la soglia della morte.

Gli scritti del Nuovo Testamento, al contrario, insistono su tali fatti. Ne conosciamo ben quattro: il giovane di Nain (il nostro testo di oggi), la figlia di Iairo (Luca 9,40-55; Matteo 18-26; Marco 5,35-43), Lazzaro di Betania (Giovanni 11,1-45) e Tabita risuscitata da Pietro (Atti 9,36-43). Di questi quattro casi Luca, nella sua opera (il Vangelo e gli Atti degli apostoli) ne racconta tre, il che fa pensare ad una sua particolare insistenza sulla capacità di Gesù (e dei suoi discepoli) di risuscitare i morti.

La storia del giovane di Nain in questa serie di racconti è particolare; essa è raccontata soltanto da Luca e allude molto chiaramente ad unico fatto di questo genere narrato nella Bibbia ebraica: il figlio della vedova di Sarepta, risuscitato da Elia (I Re 17,17-24).

Non v’è dubbio che Luca, greco di nascita, in questo racconto si rivolga prima di tutto agli ebrei. Luca, allievo del rabbino Saulo di Tarso, vuole affermare la perfetta continuità tra Elia e Gesù: Tutti furono presi da timore, e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra di noi» (v. 16). Nella visione ebraica della storia Elia è colui che deve annunciare la venuta del Messia. Nella teologia di Luca e di Paolo Gesù stesso è messia e Figlio di Dio: «Dio ha visitato il suo popolo». Quest’ultima frase allude chiaramente ai testi messianici di Isaia. Come tale, Egli ha il potere assoluto sulla vita e sulla morte.

La morte è il problema fondamentale dell’essere umano. Il sociologo della religione Peter Berger (che è anche un credente luterano) in uno dei suoi saggi (Il brusio degli angeli. Il sacro nella società contemporanea) afferma che le religioni non sono altro che tentativi di risoluzione del problema della morte. Esse sono caratterizzate da diverse strutture e gradi di attendibilità.

Per noi, credenti cristiani di oggi, l’attendibilità del racconto di Luca che stiamo meditando in questo momento è senz’altro la questione centrale. Le nostre personali esperienze di lutto ci portano ad affermare che l’unica attendibilità di questo racconto è di natura escatologica. In altre parole: noi aspettiamo la risurrezione dei morti alla fine dei tempi e questa speranza ci aiuta a superare, il più delle volte con tantissime difficoltà, la morte di una persona amata e l’angoscia per il nostro futuro dopo la morte.

Ma è veramente l’unica possibilità di applicare la storia del giovane di Nain alla nostra esistenza? Io penso che non sia così! Nel suo racconto Luca presenta un Dio-Uomo pieno di compassione per la sofferenza della vedova che ha perso il suo unico figlio: Il Signore, vedutala, ebbe pietà di lei (letteralmente: la compatì – ‘esplagchnisthê’) e le disse: «Non piangere!» (v. 13). «Non piangere!», questo annuncio è oggi rivolto a chiunque pianga la perdita di una persona cara. Quando la Chiesa di Gesù Cristo nella sua predicazione ripete questa esortazione, non lo fa dando sfogo a una semplice compassione umana. Lo fa fondandosi sull’annuncio della risurrezione di Colui che ha sperimentato l’angoscia della morte. Sì, Dio condivide con noi l’angoscia della morte! La nostra teologia trinitaria inquadra questa verità in un rapporto padre – figlio. Sia Dio Padre, sia Dio Figlio partecipano alle nostre sofferenze e preoccupazioni.

Sopra il dolore e l’angoscia domina tuttavia il gioioso annuncio della risurrezione. La risurrezione non è una realtà lontana. Quando nel Credo confessiamo la fede nella comunione dei santi noi affermiamo che i nostri morti vivono, che sono stati da Dio risuscitati nello stesso momento in cui noi piangevamo la loro morte: «O morte, dov'è la tua vittoria? O morte, dov'è il tuo dardo?» (1Corinzi 15,55). Le parole di questo antico inno cristiano sono il migliore commento alla storia del giovane di Nain e la principale fonte della nostra certezza di vita eterna.

Predicazione del pastore Pawel Gajewski, Domenica 23 Settembre, Chiesa Evangelica Valdese di Firenze