lsaia 55,1-3
Le ragioni ultime del
nostro agire


Il profeta che si nasconde dietro il nome di Deutero-Isaia ama infondere fiducia. Un popolo che si trova in esilio ha bisogno di essere incoraggiato. La fiducia di cui è impregnata tutta la seconda parte del libro di lsaia (capitoli dai 40 al 55) ha quindi due dimensioni: il momento presente e l’escatologia. La dimensione contingente si manifesta in una serie di esortazioni volte a rinnovare la fedeltà del popolo al Dio dei suoi padri La dimensione escatologica, quella senz’altro più affascinante, è orientata verso un mondo nuovo, completamente privo di tutti i limiti, tipici della realtà circostante. Questa nuova realtà da un lato è identificata con la Palestina che resta sempre “Terra Promessa”per gli esuli in Babilonia, dall’altro invece con il mondo intero.

Nel testo appena letto le due dimensioni si incontrano. Il primo versetto del nostro brano èun invito a una grande festa. Si tratta di un fenomeno ben noto nelle culture del Medio Oriente. Un sovrano offre cibo e bevande a volontà ai suoi sudditi, di solito in occasione di un evento speciale: incoronazione, nozze, nascita dell’erede o una vittoria militare particolarmente rilevante. Il limite principale di tale evento è la sua durata: una giornata o due, una settimana al massimo. Poi la vita ritorna alla normalità; il pane bisogna sudarselo duramente e le tasse diventano un ricordo amaro di una festa passata.

In questo invito si sente tuttavia una nota diversa. Non è il sovrano di turno a rivolgerlo. E non si tratta nemmeno di un agitatore desideroso di sovvertire l’ordine costituito. Tutto diventa chiaro quando si legge il versetto precedente (54,17). La tipica frase profetica «Dice il Signore» è un po’ nascosta, come se il redattore dello scritto non volesse esagerare con l’uso del nome di Dio.

 

Il versetto successivo riprende l’argomento della gratuità, portandolo dalla contingenza verso la trascendenza. «Perché spendete denaro per ciò che non èpane e il frutto delle vostre fatiche per ciò che non sazia?» Credo che sia importante soffermarci su questa domanda. Vi risuona una netta presa di posizione contro una mentalità abbastanza diffusa tra gli esiliati: importante che ai più, o meglio a tutti vengano assicurati un discreto benessere materiale e alcuni diritti fondamentali; il resto non èrilevante. Vale la pena spendersi per questo progetto, abbandonando i sogni di ritornare in patria e l’insistenza sull’osservanza della Torah. Nel privato ognuno la può studiare, ma nello spazio pubblico la multiforme cultura babilonese èindubbiamente superiore alle rozze credenze degli avi.

 

In una prospettiva cristiana uno stupendo commento alla domanda del profeta èla celebre frase di Gesù: Cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno date in più (Matteo 6,33). Si, ciò che sazia veramente non è riducibile alla dimensione puramente materiale.

Eppure nei tempi recenti anche tanti cristiani hanno cercato di ridurre la portata e la forza del massaggio biblico alla pura dimensione materiale. La parola “evangelizzazione” èdiventata imbarazzante, la predicazione della Parola di Dio e la preghiera sono diventate secondarie; ingenti risorse invece sono state spese per progetti volti esclusivamente ad assicurare benessere materiale - il più delle volte abituando gli altri ad un mero assistenzialismo.


Non si tratta tuttavia di tornare semplicemente indietro. Il problema sta altrove. La vescova Margot Kaamann in una recente intervista rilasciata al settimanale tedesco “Der Spiegel” ha affermato: Abbiamo speso fante energie nell’ambito sociale. Non abbiamo saputo tuttavia spiegare la ragioni del nostro agire. Alla fine queste ragioni sono diventate poco chiare anche a noi stessi.

Il nostro testo risolve la tensione tra contingenza ed escatologia usando la categoria principale della teologia biblica, quella del patto. «lo farò con voi un patto eterno».

 

Questa frase è bellissima, ma contiene in sé un carico di significati particolarmente impegnativo. Il patto non è mai unilaterale. Non è una gabbia giuridica in cui gli uni relegano gli altri per godersi dei privilegi smisurati. In tal caso si tratta semplicemente di una frode giuridica come dimostrano tuttora alcuni stati anche europei. Il patto presuppone la parità. Il patto stabilisce diritti e doveri, vincolanti per entrambe le parti. Non si può rimanere indifferenti davanti a una frase in cui Dio stesso scende all’altezza dell’essere umano con l’offerta di un patto. Nel nostro testo si tratta dì un patto rinnovato, un patto che viene definito come “eterno, perenne, sempre vivo”. Il testo ebraico parla chiaramente di un patto d’amore, un patto di fedeltà offerto alla discendenza di Davide. In una prospettiva ebraica si tratta di un patto che determina per sempre il ruolo del popolo come testimone dell’unico Dio.

 
Una lettura cristiana di questi versetti ci porta verso la riflessione su un patto sempre vivo, un patto di fedeltà assoluta stabilito da Dio per sempre nella persona di Gesù Cristo. Discendente di Davide, egli rappresenta l’umanità intera davanti a Dio e al tempo stesso mostra all’umanità la fedeltà di Dio. Nella spiritualità metodista il culto di rinnovamento del patto assume un significato speciale: ogni attività della persona credente è inserita nel grande patto tra Dio e l’umanità. È un forte correttivo contro ogni delirio di onnipotenza ma anche contro ogni scoraggiamento o frustrazione. Il patto non permette all’essere umano di considerarsi l’unico responsabile delle sorti del mondo. Al tempo stesso il patto garantisce che nel momento di fallimento dei nostri progetti non dovremo raschiare disperatamente i miseri residui delle nostre forze per rialzarci; la forza della grazia ci sosterrà e ci indicherà vie nuove e prospettive inattese.

 
C’è tuttavia anche un’altra dimensione del patto, quella sociale. Perché così spesso nel nostro paese i patti elettorali o altre dichiarazioni solenni di questo genere vengono puntualmente disattesi? Perché il rispetto per le leggi dello Stato è così scarso? Il grande giornalista Indro Montanelli individuava una delle ragioni di questo stato di cose nell’ateismo pratico degli italiani. Atteggiamenti religiosi o superstiziosi coprono, di fatto, una mentalità individualista, autoreferenziale e priva di qualunque senso di responsabiltà. Nessun rapporto sincero con Dio e quindi nessun rispetto profondo per l’altro essere umano! Giovanni Calvino esprime questo pensiero ancora meglio: “Anche se ci separiamo di poco da Cristo, la salvezza svanisce.. .dove il nome di Cristo non risuona, ogni cosa diviene stantia” (Istituzione 11.16.1).


Non si tratta ovviamente di inserire negli ordinamenti dello Stato norme giuridiche di natura confessionale; questa sarebbe soltanto un’altra forma di religiosità apparente. Il compito delle persone credenti è invece quello di interiorizzare la categoria del patto al fine di far risuonare attraverso la propria testimonianza il nome dì Cristo. Senza particolari privilegi, né garanzie giuridiche ma con tutta la franchezza evangelica di cui siamo capaci.

 

Pastore Pawel Gajewski Chiesa Evangelica Valdese di Firenze,  Domenica 5 agosto 2007