Mat. 7, 12   “La regola d’oro”

 

“Tutte le cose che voi volete che gli uomini vi facciano, fatele anche voi a loro” questa espressione è chiamata “la regola d’oro”, perché sembra garantire a tutte le culture, in tutti i tempi e a tutte le latitudini del mondo quel minimo di vivibilità che renda piacevole la vita e sopportabili i suoi affanni. Il concetto sembra esistere molto prima di quando è stato formulato da Gesù : lo si trova più di cinquecento anni prima in Confucio, il saggio cinese che ha plasmato la cultura di quel paese, cultura altrettanto antica che la Bibbia.

Confucio, alla domanda “C’è una parola, che lungo tutta la vita possa servire da norma dell’agire?” rispondeva: “E’ la parola ‘reciprocità’ (shu): quel che tu stesso non desideri, non farlo agli altri “ (Dialoghi 15, 24). Si parla qui di rispetto, di reciproca tolleranza, ma Confucio giunge anche a parlare di “amore“. Alla domanda di un discepolo. “Cos’è il ren (umanità)”, risponde “è amare gli uomini” e alla domanda “E la saggezza?” risponde “E’ conoscere gli uomini” poi aggiunge “E’ saper scegliere gli uomini retti e porli al di sopra dei disonesti, in modo che anche questi ultimi possano essere corretti” (12,22). Qui c’è l’amore e anche il ravvedimento dei peccatori sia pure in forme non tanto esplicite ed elaborate…

Gesù molto probabilmente non ha conosciuto Confucio, invece avrà conosciuto e ascoltato la sapienza rabbinica, che non è certo da meno. I due grandi rabbini di una generazione precedenti al Cristo sono stati Shammaj (30 a.C.) e Hillel (20 a.C.), di entrambi si racconta un simile dialogo: un pagano viene a chiedere a Shammaj che gli insegni tutta la Torah mentre lui sta in piedi su una gamba sola. Shammaj lo scaccia via e lo minaccia col bastone. Poi quello va da Hillel, che invece lo accoglie come proselita e gli riassume la Torah in: “Quello che ti dispiace, non farlo a nessun altro. Questa è tutta la Legge; il resto è interpretazione di essa. Va’ e insegna così” (Shebu’ot 31 a). Lo stesso si trova in Tobia 4,15 “Quello che odii (cioè non ami) non farlo a nessuno”. Insomma se si tratta di una massima della sapienza universale umana cosa c’è di nuovo in Gesù?

La trasformazione dal negativo al positivo, dal ‘non fare’ a ‘fare’ sembra essere proprio la caratteristica di Gesù. Mentre gli altri sembrano voler semplicemente limitare la portata del male che ci facciamo reciprocamente, Gesù insegna a fare positivamente il bene agli altri prima che a noi stessi. L’essere umano resta il perno, l’io è misura dell’umano con tutti suoi desideri, l’ego resta al centro, però non è più a me, ma è a te che devo fare. In questo sembra esserci una purificazione dei desideri, perché non posso desiderare il male, il dolore, la morte di un altro, perché non lo desidero per me stesso/a.

Davanti a questo testo siamo costretti a formulare i nostri desideri in maniera chiara prima di tutto per noi stessi, in modo che possiamo applicarli agli altri: ci sarà un prima a noi stessi o un prima agli altri?  Gesù, che ci ha insegnato l’amore per il prossimo, anche per il nemico, ci ordina di realizzarli prima per gli altri che per noi stessi. ‘Ama il prossimo tuo come te stesso’ è una formula simile, che richiede ugualmente una profonda conoscenza di sé, una specie di ‘egoismo positivo’ che solo se c’è diventa capace di amare gli altri.

Che cosa desideriamo per noi stessi? ci occorre un momento di tempo per pensarci! è un lungo elenco di cose? dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore. Se sono oggetti, sono appetibili anche per gli altri e vorranno venire a prenderseli (i ladri sconficcano e rubano). Il Signore ci ha già ammonito a non farci tesori sulla terra, ma a imparare a godere di beni celesti o spirituali. Questo testo è un po’ meno severo, perché presuppone che sia lecito per noi desiderare cose che gli altri anche desiderano e imparare a condividere per esempio quello che c’è di bello e di buono sulla terra e quello che c’è di più comodo e piacevole realizzato dalla nostra tecnologia. Non è dunque l’esaltazione dell’ascesi e del sacrificio, ma una specie di “eudemonismo” generalizzato, dove l’egoismo esteso agli altri non è più vero egoismo, ma in fondo è anch’esso un po’ sacrificio, perché si trattiene dal realizzare il proprio desiderio in attesa di soddisfare prima quello altrui.

Parole o fatti? Forse molto a lungo si è trattato più di parole che di fatti almeno per la comunità dei discepoli, almeno per noi. Non certo per Gesù, che ha dato la sua stessa esistenza per render possibile a noi la vita nuova e vera dell’amore del prossimo. Una risposta che si dà su un piede solo è il nostro desiderio di essere amati, qui prevale l’aspetto più individuale, ma Dio comincia da questo e Gesù ci ha insegnato ad amare Dio con tutte le nostre forze, cuore e intelletto e il nostro prossimo come noi stessi. Sappiamo, in fondo, cosa vogliamo dalla vita; e se non l’abbiamo sappiamo che dobbiamo accostarci sempre più a Dio e sempre più al prossimo facendo noi quello che vorremmo che ci fosse fatto!

Nel nostro tempo si fa strada sempre più la convinzione, tutta umana, che sia ormai indispensabile tener conto della penuria, della disperazione degli altri non solo per amore disinteressato, ma per puro egoismo nostro, istinto di sopravvivenza pacifica, desiderio di godere in pace senza rimorso e senza minaccia. L’ideale biblico, molte volte citato, si trova per esempio anche nel famoso “Sogno” di M.L.King,, è quello di Michea 4,4 dove è detto che, dopo aver trasformato le spade in vomeri e le lance in roncole, “una nazione non alzerà più la spada contro l’altra e non impareranno più la guerra. Potranno sedersi ciascuno sotto la sua vite e sotto il suo fico, senza che nessuno li spaventi…”

La ricerca di un principio etico universale minimo (“non fare”) è trasformata da Gesù in un principio etico universale massimo (“fate”). “Pace – Giustizia – Salvaguardia del creato” è stato lo slogan più diffuso negli ultimi 20 anni, nei nostri ambienti, forse al solito più nell’ordine delle parole che dei fatti. Tuttavia in qualche modo risponde rapidamente a quell’elenco di cosa vorremmo che fosse fatto a noi; riguarda i singoli individui, la collettività, le generazioni future. Si può dire stando su un piede solo, forse vi si può aggiungere qualche commento su come realizzare alcune di queste cose.

Le nostre chiese da alcuni anni sentono il bisogno di imparare a lavorare a questo principio massimo e non più a quello minimo: abbiamo letto insieme i documenti di Accra e l’impegno solenne (il Patto) a “dar voce al grido che si leva dalla terra contro la crescente ingiustizia economica e la crescente distruzione ecologica, affinché scorra il diritto come acqua e la giustizia come un torrente perenne”. Il centro della confessione di fede è riassunto in un paragrafo che è fondamentale di tutta la dichiarazione: “Crediamo che Dio ci chiama a seguire Gesù Cristo nel portare la buona notizia ai poveri, nel procacciare salute e guarigione per coloro che sono malati, nel proclamare libertà ai prigionieri e pace in un mondo di guerra, nell’abbracciare i rifiutati e gli esclusi, nell’onorare la diversità e nel trattare donne e uomini come aventi parte eguale nella chiesa e nella società”.

Il documento finale di Porto Alegre a conclusione della IX Assemblea generale del Consiglio Ecumenico delle chiese ribadisce lo stesso impegno e si trasforma in preghiera perché Dio ci dia la forza per realizzare questo impegno:

“O Signore, ascolta i lamenti di tutta la creazione,

i lamenti delle acque, dell’aria, della terra e di tutti gli esseri viventi,

di coloro che vengono sfruttati, maltrattati, i lamenti delle vittime, di coloro che sono stati spogliati di ogni cosa e ridotti al silen­zio, mentre la loro umanità è stata ignorata,

di coloro che soffrono ogni specie di ma­lattia o che subiscono la violenza delle guer­re e dei crimini degli arroganti che si nascon­dono lontano dalla verità,

che distorcono la memoria e rendono im­possibile ogni riconciliazione.

O Signore, guida coloro che detengono l’autorità verso delle decisioni contraddistin­te dall’integrità morale. Trasforma il mondo, o Dio, nella tua grazia”.