Domenica 3 Dicembre 2007, Ia di Avvento - Chiesa Evangelica Valdese di Firenze

"Confessione della speranza"

Ebrei 10,23-25

Nel linguaggio teologico cristiano si usa spesso l’espressione “confessione di fede”. La confessione di fede non è altro che una formulazione sintetica dei principali contenuti della fede; il Credo niceno - costantinopolitano, ad esempio, è una confessione di fede accettata da tutta la cristianità.

Accanto alle numerose confessioni di fede, esiste la confessione della fede. Questa espressione si riferisce a un esperienza di fede, vissuta quotidianamente. Non si tratta di una dottrina; qui il centro è la relazione con Gesù, il riferimento principale è la sua risurrezione che anticipa e annuncia la nostra.

L’autore della Lettera agli Ebrei menziona invece la confessione della speranza: Manteniamo ferma la confessione della nostra speranza. È un’espressione che compare una volta soltanto in tutto il Nuovo Testamento. Forse proprio questa è stata la ragione per cui pochissimi teologi hanno lavorato sulla teologia della speranza. Uno di questi è senz’altro il teologo contemporaneo Jürgen Moltmann. Appartiene a lui il merito di ricordare ai cristiani contemporanei che la speranza è una virtù collettiva. La fede nasce da un incontro individuale con Dio, la speranza fa nascere la comunità di credenti. Moltmann insegna ancora che la speranza riguarda il mondo è la società in cui viviamo. La fede è radicata nell’aldilà, la speranza ci mette in grado di cercare un mondo migliore, un mondo trasformato dalla Grazia già ora e qui.

Nel classico elenco delle cosiddette virtù teologali figura anche l’amore (agape). Tutte e tre, fede, speranza e amore sono strettamente collegate. Ricordiamo la celebre frase di Paolo dalla I Lettera ai Corinzi 13, 13: Ora dunque queste tre cose durano: fede, speranza, amore; ma la più grande di esse è l’amore. L’autore dell’Epistola agli Ebrei riprende l’argomento dell’amore: Facciamo attenzione gli uni agli altri per stimolarci all'amore e alle buone opere. Nella triade teologica è proprio l’amore che rende credibile la fede e visibile la speranza.

È un messaggio che coincide pienamente con la Domenica della Diaconia di oggi. È un messaggio che ci ricorda il significato della diaconia: è la predicazione dell’immensa grazia di Dio per mezzo delle opere dell’amore, opere che scaturiscono dal Suo amore e ci permettono di intravedere un mondo migliore. Sembra un ideale assai lontano dalla realtà della nostra Diaconia Valdese, perfettamente organizzata, ma anche abbastanza burocratizzata e talvolta alle prese con seri problemi di bilancio. La tentazione forte è di abbandonare la diaconia cosiddetta “pesante” e dedicarsi a quella “leggera”, fatta ogni giorno, costruita di piccole cose: visite, telefonate, ascolto e soprattutto basata esclusivamente sul lavoro volontario. Io la chiamo una tentazione “nobile” perché è un pensiero che spinge all’azione. Certo, accanto alla tentazione nobile esiste anche quella “ignobile”, in altre parole, delegare tutta la “confessione della speranza” alla diaconia istituzionale e dedicarsi soltanto alla meditazione dei contenuti della fede.

Meno male che la stragrande maggioranza di noi è abbastanza lucida per non prendere sul serio tali “tentazioni ignobili”. Può succedere tuttavia che invece la tentazione “nobile” diventi un’ideologia tesa alla totale soppressione di qualunque forma di diaconia istituzionale. Se fosse così, l’aggettivo “nobile” sarebbe fuori posto. Per me qualunque ideologia che esclude dal proprio orizzonte intellettuale pensieri e visioni alternative o complementari, che tende ad affermarsi come l’unica vera linea di azione è lontana da qualunque forma di nobiltà.

Ritorna in questa prospettiva l’esortazione alla comunione che l’autore rivolge ai destinatari del suo scritto. È un forte invito a confessare la speranza, non abbandonando la nostra comune adunanza come alcuni sono soliti fare, ma esortandoci a vicenda. L’abbandono della “comune adunanza” è spesso una reazione naturale al torto subito, alla speranza delusa, ad un sogno distrutto. Umanamente si può comprendere la decisione di rompere la comunione. Entrambi gli attori di tale dramma, la persona delusa e la comunità, devono rendersi conto che in questo modo la confessione della speranza viene meno. Si salva forse la fede personale, la speranza collettiva invece è lesa profondamente.

L’autore della Lettera agli Ebrei ci chiede di esortarci a vicenda. È un ottimo consiglio; io aggiungerei anche che bisogna pregare gli uni per gli altri, sempre – è un motivo costante di tutta la letteratura neotestamentaria che fa riferimento a Paolo.

La confessione della speranza non è soltanto legata alla contingenza. La preghiera va oltre per gettare l’ancora della speranza in quel momento della storia che il Nuovo Testamento chiama il “giorno”. È il giorno di Cristo. In quel giorno sarà rivelata la piena verità su di noi, sulle nostre azioni segnate il più delle volte dalla malvagità e dall’egoismo. L’esortazione e la preghiera sono invece i migliori rimedi contro questi pesi che ci impediscono ancora la piena e gioiosa confessione della nostra speranza.

Predicazione del pastore Pawel Gajewski, Domenica 03 Dicembre, Chiesa Evangelica Valdese di Firenze