Giovanni 16,23-33

Comunione, amore, paura

Il testo del vangelo dipinge un quadro particolarmente rassicurante: la comunione dei discepoli di Gesù con Dio è una realtà salda, senza ombre, senza dubbi. La preghiera nel nome di Gesù è una risorsa in grado di risolvere tutti i problemi. Il senso dell’insegnamento di Gesù appare finalmente con chiarezza, senza alcune necessità di ricorrere al linguaggio metaforico. L’assenza fisica di Gesù in mezzo ai discepoli è compensata dalla certezza dell’eterna presenza del Figlio di Dio nella storia del mondo.

In questo quadro così idilliaco s’insinua però una prospettiva assai inquietante: i discepoli abbandoneranno Gesù. Dall’altra parte dell’orizzonte si addensano invece le nubi delle tribolazioni che i discepoli dovranno sopportare.

È l’immagine della Chiesa di Gesù Cristo: tanto nell’anno 99, quanto nel 2009; l’immagine ideale (comunione, preghiera fervente) e reale (infedeltà, conflitti, persecuzioni) al tempo stesso. Finché la chiesa esisterà nel mondo la sua esistenza sarà sempre dialetticamente tesa tra queste due dimensioni.

Non vi è dubbio che la comunione con Dio sia il tema centrale del testo di oggi. Tale comunione è voluta da Dio stesso. Egli la crea con lo stesso atto creativo in cui l’essere umano comincia a esistere. Senza prendere in considerazione l’umanità di Dio che si manifesta nella sua incarnazione in Cristo Gesù, tale comunione è sempre qualcosa di misterioso, inafferrabile fino in fondo.

Se sono cristiano (e non ebreo o musulmano, le due fedi viventi più vicine alla nostra cristiana), questo dipende da un unico fatto: nella persona del Figlio di Dio coesistono perfettamente la natura divina e la natura umana e quindi il mio Dio che si rivela pienamente in Cristo Gesù e un Dio al quale io sono unito grazie alla mia umanità. Imperfetta, limitata, il cui destino ultimo però è la piena comunione con la divinità di un Dio che si è fatto uomo.

Questa alta teologia cristiana ci ricorda l’enorme importanza del termine “persona” e quindi l’imperativo categorico di amare ogni persona umana. Giovanni Calvino addirittura si è spinto a dire che nel volto di ogni persona umana traspare il volto di Cristo, divinità e umanità eternamente unite.

La nostra civiltà europea occidentale ultimamente tende però a ridurre la persona a un semplice oggetto. Proviamo a guardare qualche spot pubblicitario. L’oggetto pubblicizzato sembra identificarsi completamente con la persona, nota al pubblico o anonima che sia. In ogni caso l’oggetto è più importante della persona.

Per alcuni politici la persona è identificata direttamente con la scheda elettorale, con una crocetta tracciata con la matita sul simbolo del partito, una crocetta che deve essere conquistata ma talvolta viene semplicemente estorta o comprata.

Le manifestazioni più terribili di questa tendenza sono stati i campi di concentramento. In un campo di concentramento la persona equivale ad un numero e il suo nome viene cancellato per sempre. Auschwitz ne è simbolo universalmente riconosciuto ma l’esistenza dei campi di concentramento non è finita il 27 gennaio 1945 (la liberazione di Auschwitz e Birkenau).

È sempre in agguato la tentazione di ridurre l’altro alla particella di una massa informe, equiparata quasi a una sorta di spazzatura da evitare e da smaltire più presto possibile. Oggi questa tentazione si manifesta fortemente nel nostro rapporto con gli immigrati.

Il nostro compito come chiesa non è quello di aprire un contenzioso politico con il governo in carica. Non possiamo però non proclamare la necessità di vedere in ogni immigrato che cerca di raggiungere il suolo italiano una persona con tutta la sua dignità. Una persona che ha il pieno diritto di essere riconosciuta come tale, di essere accolta, soccorsa, esaminata. Solo in un secondo momento questa persona potrà essere respinta al proprio paese o accolta nel nostro, tutto questo però sempre e ovunque nel pieno rispetto della sua dignità e dei suoi diritti.

La Federazione delle chiese evangeliche in Italia ha aderito più di un mese fa alla campagna civile e assolutamente chiamata “Non aver paura”. È una riposta cristiana contro tutte le strategie di paura e di terrore.

È un’esegesi assai esistenziale della celebre affermazione contenuta nella Prima lettera di Giovanni: Nell'amore non c'è paura; anzi, l'amore perfetto caccia via la paura (4,18a).

Predicazione del pastore Pawel Gajewski domenica 17 Maggio 2009, Chiesa Evangelica Valdese di Firenze