Luca 1,46-55

L’anima mia magnifica il Signore

È un’usanza assai antica della chiesa cristiana, quella di mettere al centro della sua liturgia questo capolavoro di poesia e di teologia. Il senso liturgico del Magnificat potrebbe essere riassunto in questa espressione: la fine di ciò che era e l’inizio di della realtà che sarà. Questa è anche la ragione per cui questo inno accompagna la preghiera della sera, il vespro. In questo caso noi cristiani accogliamo pienamente il modo ebraico di contare il tempo: il nuovo giorno inizia al tramonto e non a mezzanotte. Un modo veramente saggio che diventa una perfetta metafora della vita umana: dal buio alla luce fino all’ultima incertezza del crepuscolo che precede l’eternità. Questa è anche la ragione per cui l’ultima domenica d’Avvento trova nel Magnificat il suo punto di riferimento principale.

Iniziamo la nostra riflessione da una nota di carattere letterario. È assai curioso il fatto che uno dei più grandi capolavori della poesia ebraica sia giunto a noi in greco. Sì, il testo che abbiamo davanti appartiene al cento per cento alla fede e alla cultura ebraica. Anche le persone che frequentano pochissimo la Bibbia sono in grado di riconoscere la straordinaria somiglianza con il cantico di Anna I Sam. 2,1-10. L’evangelista Luca sembra esserne consapevole: come la nascita di Samuele apriva una nuova epoca per il popolo d’Israele così la nascita di Gesù apre una nuova era nella storia dell’umanità. Nell’ambito dell’esegesi contemporanea si discute se Luca, considerato il “meno ebreo” dei suoi tre colleghi di chiare origini giudaiche fosse o meno un greco convertito prima alla fede ebraica, solo in seguito divenuto discepolo fedele di Paolo. Gli ultimi studi sul vangelo di Luca sembrano confermare tale ipotesi.

Il Magnificat, supera dal punto di vista retorico il cantico di Anna, anche perché è abilmente arricchito di alcuni pensieri tratti dai Salmi 98 e 107. Entrambi i salmi appena menzionati sono dei testi classici del cosiddetto universalismo ebraico, in altre parole di una corrente teologica che affermava che attraverso il Popolo eletto Dio si rivolge all’umanità intera.

La seconda nota di questa meditazione è di carattere teologico. Il canto di gioia che apre, di fatto, la grande narrazione lucana è la gioia, è la certezza della fede che ci trasmette la chiesa cristiana delle origini. Le parole del cantico non si riferiscono tanto alla nascita quanto alla risurrezione del Cristo in cui si manifesta pienamente il Dio d’Israele e di tutti i popoli della terra.

E alla fine una domanda. Perché tutto questo carico di idee e di bellezza è messo sulla bocca di una donna?
La donna rappresenta da sempre la dignità del dono più grande, quello della maternità e della vita. Al tempo stesso la donna è stata sempre una delle categorie sociali più umiliate e più maltrattate. Credo che queste due affermazioni traccino alcune linee dell’eccelsiologia lucana ripresa nel III sec. da Cipriano da Cartagine. Come Maria partorisce Gesù, così la chiesa ci partorisce alla vita della fede. Come Maria rappresenta la categoria dei deboli per eccellenza, così la chiesa, “perseguitata, oppressa dai reprobi talor” (Inno 131,1) è lontana dai giochi di potere impegna tuttavia attivamente nella difesa di coloro che sono perseguitati e oppressi.

Si tratta di una teologia raffinata e apparentemente lontana dalla nostra sensibilità. I risvolti nell’attualità sono però tanti. La battaglia contro la violenza sulle donne iniziata dal Consiglio ecumenico delle chiese e accolta anche dagli organi di governo è un esempio nobile di un’applicazione pratica della teologia di Luca e di Cipriano anche nell’ambito laico. L’esempio negativo è l’arroganza della gerarchia papista supportata da un membro opportunista del governo italiano che nega l’umana pietà a Eluana Englaro e alla sua famiglia.

Peccato che nella nostra vita di preghiera il Magnificat sia un po’ sottovalutato. Potrebbe essere una parola quotidiana di conforto e di giudizio perché noi valdesi oscilliamo ogni giorno tra l’alta nobiltà del nostro impegno sociale e il basso opportunismo dei nostri piccoli giochi di potere.

Predicazione tenuta dal pastore Pawel Gajewski domenica 21 dicembre 2008, IV di Avvento, Chiesa Evangelica Valdese di Firenze