A giudicare i vivi ed i morti


(testi di riferimento: Atti 1,11  Mat.25,31-46)


Il Credo, dopo tante affermazioni con verbi al passato, qui parla al futuro. Ha una versione breve nel Simbolo Romano: "di là ha da venire a giudicare i vivi ed i morti"; e una più lunga e intensa nel Credo Niceno-Costantinopolitano: "Verrà nuovamente nella gloria per giudicare i vivi ed i morti, e il suo regno non avrà fine".

Il tempo della vita terrena di Gesù può ormai esser descritto al passato: nacque, patì, fu crocifisso, fu sepolto, risuscitò; il tempo dell'inimicizia è passato, è il tempo di Ponzio Pilato che ha la sua importante funzione nel Credo. La sofferenza, anche quella che il credente vive ora, è un residuo di quel tempo, che è da considerare nel suo insieme passato, sconfitto dalla risurrezione del Cristo.

La chiesa vive in un tempo che ricorda e attualizza il passato, lo rende presente nella confessione della fede e nello spezzare il pane, ma guarda al futuro, giacché Cristo siede alla destra di Dio. Ogni credente, ogni comunità che confessa il suo nome vive attualizzando il passato che rappresenta drammaticamente la nostra liberazione e l'inizio della nostra marcia verso il futuro del ritorno di Cristo nella gloria. La nostra vita non finisce nella morte, ma comincia dalla morte e marcia verso la realizzazione della vera vita. Si può dire che è una vita nell'attesa di questa nuova realtà, che il Credo definisce, come i Vangeli, il Regno di Cristo, che "non avrà fine".

Molte parabole e racconti dei Vangeli (in particolare il vangelo di Matteo) descrivono questa attesa, che deve essere operosa. Sappiamo che i testi più influenzati dall'idea del ritorno imminente del Signore sono le lettere dell'Apostolo Paolo. Questa dimensione di attesa è essa stessa profondamente ebraica: mentre nel mondo ebraico si aspetta il Messia, in quello cristiano si afferma che il Messia è venuto, ha anticipato su di sé le conseguenze negative del peccato e della morte, ed ora la comunità che crede in lui attende l'applicazione, graduale su di sé e universale per il resto del mondo, dei benefici effetti della grazia che Dio ha rivelata.

C'è un'attesa di tipo mistico, che si ritira dal mondo e si rifugia in uno spazio a sé stante, che si pretende di Dio, ma dimentica il mondo. A volte in modo molto netto si insedia nel mondo a giudicare e governare e si sostituisce del tutto a Cristo, di cui pretende prolungare l'esistenza nel mondo. A volte si secolarizzano le attese messianiche di un nuovo mondo di cui si delineano tratti utopici di salvezza.

Come nel mondo ebraico, anche in quello cristiano il senso dell'attesa tenderebbe a sparire, ma rinverdisce sempre di nuovo; talvolta si colora di toni politici e pretende esser riconoscibile in realizzazioni umane, che si rivelano ben presto deludenti. E' allora che va ricordato che il Regno di Cristo non è quello della chiesa, né della sinagoga, non è quello dei tentativi teocratici anabattisti, né tanto meno quello del sionismo attuato nel fragile stato d'Israele.

Infatti il centro del nostro testo non è nel "ha da venire", ma piuttosto nell'idea di giudizio e di giudicare: solo Gesù è il giusto giudice del giudizio che Dio viene a fare della terra. Non c'è Regno senza questo giudizio. Il termine greco per giudizio è "crisi" che significa "decisione". Quando Dio decide cosa fare delle nazioni e del tempo umano avviene "il giorno del Signore". L'accento non è sul "quando" che suscita sempre questioni oziose e morbose, dalle quali la Bibbia ci ammonisce, ma sul fatto che Dio "ha già deciso" di intervenire con la grazia e lo ha fatto in Cristo. Gesù è l'anticipo di questa decisione e di questo giudizio: il Vangelo di Giovanni in particolare vede venire il giudizio sulle singole persone e sulle situazioni umane a seconda se hanno riconosciuto e accettato Gesù come il Signore.

Molti Salmi descrivono la venuta di Dio come Giudice del suo popolo o dei popoli della terra: non descrivono una tragedia, ma spesso l'annuncio ha il tono festoso del compimento, della realizzazione della giustizia non secondo i calcoli legalistici umani, ma secondo  la grazia misericordiosa di Dio. Gesù è Giudice, metro di giudizio e sentenza al tempo stesso. Gesù, che è il giudice del mondo, viene giudicato da Ponzio Pilato e smaschera l'ingiustizia profonda dei tribunali umani, dove trionfa il metro del più potente, la delazione, l'accordo corrotto, l'eliminazione della verità.

Il Catechismo di Heidelberg (citato a questo proposito da K. Barth) alla domanda su "qual'è la consolazione che ci porta il ritorno di Cristo per giudicare i vivi e d i morti", risponde: "Che in tutte le mie miserie e persecuzioni, attendo dal cielo a testa alta, per giudice, colui che per primo si è presentato per me al giudizio di Dio, e ha tolto da me ogni maledizione; che egli precipiti tutti i suoi e i miei nemici nelle pene eterne, ma mi riceva presso di lui nella gioia e nella gloria eterna". Tempi di forti contrapposizioni giustificano il tono che sembra un po' presuntuoso di queste parole, che però sono assolutamente giuste. "A testa alta" significa: anche se il mio cuore mi condanna, anche se la maggioranza pensa e agisce diversamente, non per mio merito, ma perché Cristo si è già presentato davanti al giudizio di Dio e ha preso su di sé la mia condanna.

Uno dei dipinti più famosi di Michelangelo è l'affresco della Cappella Sistina del "Giudizio Universale". Rappresenta una scena di alta drammaticità e di movimento che rappresenta una rottura degli schemi teologici del tempo (e di tutti i tempi). Di solito si dipingevano queste scene di giudizio rappresentando diversi piani: Dio sulle nuvole del cielo, Cristo a metà del quadro su di un trono, a destra i salvati e a sinistra i perduti; oppure in alto i salvati in paradiso, in basso i perduti all'inferno. Nel dipinto di Michelangelo Gesù appare al centro di una gran massa di persone, un groviglio di corpi, divisi in gruppetti o isolati, ciascuno è angosciato per la serietà del momento. Gesù ha un braccio alzato che sembra imprimere un moto rotatorio a tutta la scena, così che non si potrebbe distinguere chi è salvato e chi no. Tutti fluttuano nell'aria e ricevono da lui l'impulso a salire, cadono, si rialzano, faticosamente risalgono verso l'alto in un eterno travolgente movimento rotatorio intorno alla figura colossale del Cristo giudice, il cui gesto della mano alzata è il motore di tutto. E' una lettura "riformata", dove mancano le certezze della dogmatica su chi si salva e chi è perduto. Dove buoni e cattivi sono giudicati non secondo opere buone e pie, ma secondo il loro rapportarsi al Cristo.

Saremo tutti salvati? Certo Gesù è venuto per i peccatori e non per i giusti. Mentre la violenza e l'ingiustizia, la disumanità sono condannate senza scampo, Dio in Cristo vuole salvare il violento, l'empio, l'ingiusto, quando nel crocifisso riconosce il frutto della sua malvagità e la possibilità di rinascere alla giustizia della risurrezione. E' il Cristo, seduto alla destra di Dio, che farà questo giudizio e non la chiesa: sono sta scritte delle pagine molto tristi della storia, quando la chiesa si è sostituita a Cristo nel giudizio. Il compito della chiesa è far rivivere il ricordo e insegnare questa attesa, nulla di più, ma anche nulla di meno.