Gesù, Figlio di Dio e Signore della storia – una favola abilmente inventata?

II Pietro 1,16-19

 

Confessare oggi la fede nella divinità di Gesù è, senz’altro, una delle sfide più importanti. Partiamo dall’affermazione che la figura di Gesù ha suscitato sempre (e suscita ancora) tanto interesse. Basti pensare ai libri che hanno stimolato numerosi dibattiti l’anno scorso, da Ratzinger ad Augias. Ma anche nell’ambito del dialogo interreligioso questo interesse è sempre alto. Negli ultimi trent’anni sono comparsi almeno 5-6 libri importanti, scritti da studiosi ebrei e dedicati alla figura di Gesù. I cosiddetti ebrei messianici, in altre parole gli ebrei che riconoscono in Gesù il Messia d’Israele sono oggi estremamente vivaci e questo movimento è ben conosciuto anche in Italia, grazie ai suoi particolari legami con alcune denominazioni pentecostali. Sul versante opposto, se parliamo con i musulmani scopriamo che, in ordine d’importanza, Gesù occupa un posto centrale come principale protagonista del Corano.

E quindi se noi cristiani volessimo smettere di affermare tenacemente il suo particolare rapporto di figliolanza con Dio, tutti i nostri rapporti interreligiosi, i nostri dibattiti con il mondo laico, diventerebbero più semplici. Allora? Forse corriamo veramente dietro a favole abilmente inventate? O forse siamo troppo attaccati ad alcune formule dogmatiche fossilizzate e prive di significato?

La Seconda lettera di Pietro è uno degli scritti più giovani del Nuovo Testamento. Possiamo collocarlo alla fine del I secolo dopo Cristo. Si tratta di una “lettera circolare”. Il nome di Pietro è usato come indicazione di una particolare autorevolezza di questo scritto. Si tratta, di fatto, di uno documento dottrinale, anzi apologetico. Vediamo in questa brevissima epistola una difesa strenua della “retta dottrina”. Sono particolarmente celebri i versetti 1,20-21, considerati una delle regole fondamentali dell’esegesi cristiana.

I versetti appena precedenti, cioè il testo della predicazione di oggi affermano che Gesù è veramente Figlio di Dio. Vi è un chiaro riferimento alla trasfigurazione di Gesù (Marco 9,2-10; Matteo 17,1-13; Luca 9,28-36), racconto che unisce perfettamente i tre vangeli sinottici. Si tratta di un brano particolarmente importante. Questo brano tuttavia non è semplicemente la narrazione di un fatto di cronaca. Il suo spessore è molto più grande: si tratta di una confessione di fede, espressa in forma narrativa. Questa confessione di fede è il principale cardine del cristianesimo: «Questi è il mio diletto Figlio, nel quale mi sono compiaciuto». Il termine “figlio” esprime una particolare unione delle due nature: umana e divina.

Il nostro autore usa nella sua testimonianza due termini greci che meritano una particolare attenzione: ‘dynamis’ e ‘parousia’. Possiamo tradurli semplicemente come “potenza” e “venuta”. Il loro significato greco tuttavia ci apre prospettive ben più ampie. Il termine “dynamis” indica una forza operante, non una potenza astratta. Questa forza opera nel presente, è una forza perenne che non può essere relegata al passato o rimandata al futuro.

Il secondo dei due termini è invece fonte di equivoci. Nel gergo teologico la parola “parousia” indica di solito la seconda venuta di Gesù Cristo. L’autore dell’epistola sembra non conoscere alcuna differenza tra la prima e la seconda venuta. Giovanni Diodati traduce questo termine come “avvenimento”. Il significato che attribuiamo a questo termine nell’italiano corrente è particolarmente in sintonia con il testo greco: si tratta di un avvenimento che oltrepassa i limiti del tempo e quindi questo avvenimento e attuale oggi come lo era venti secoli fa.

La garanzia di tutto questo è la «parola profetica», menzionata nel nostro brano (v. 19) e cioè una parola che rivela cose invisibili agli occhi dei più. Questa parola è paragonata a una lampada. È una metafora particolarmente pertinente alla situazione del cristianesimo di oggi. Le manifestazioni religiose oceaniche in cui brillava il precedente vescovo di Roma, raduni di centinaia di migliaia di persone in cui eccellono alcuni evangelisti della scuola di Billy Graham, l’onnipresenza dell’argomento religioso nelle televisioni italiane ma anche nella campagna elettorale negli Stati Uniti d’America, tutto questo potrebbe indurci a pensare che la Parola di Dio è oggi un sole splendente sull’intero pianeta, o, almeno, un potente sistema d’illuminazione simile a quelli usati negli stadi per illuminare le gare serali. Non è così! Se vogliamo essere onesti davanti al messaggio dell’evangelo, dobbiamo riconoscere che l’annuncio della Parola di Dio assomiglia piuttosto a una fiaccolata: tante fiammelle sparse qua e là. La sua forza sta, però, nella capacità di suscitare una fede che talvolta non è particolarmente visibile da fuori. Dentro il cuore della persona credente sorge tuttavia la stella mattutina che permette di vedere e di annunciare il grande giorno del Signore Gesù Cristo.

Predicazione del pastore Pawel Gajewski, Domenica 13 Gennaio 2008, Chiesa Metodista e Chiesa Evangelica Valdese di Firenze