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Dio guida forte e affidabile

«Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si avvicinò al primo e gli disse: "Figliolo, va' a lavorare nella vigna oggi".
Ed egli rispose: "Vado, signore"; ma non vi andò. Il padre si avvicinò al secondo e gli disse la stessa cosa.
Egli rispose: "Non ne ho voglia"; ma poi, pentitosi, vi andò. Quale dei due fece la volontà del padre?»
Essi gli dissero: «L'ultimo». E Gesù a loro: «Io vi dico in verità: I pubblicani e le prostitute entrano prima di voi nel regno di Dio.
Poiché Giovanni è venuto a voi per la via della giustizia, e voi non gli avete creduto; ma i pubblicani e le prostitute gli hanno creduto;
e voi, che avete visto questo, non vi siete pentiti neppure dopo per credere a lui.

Matteo 21,28-32

Voi avete udito che fu detto: "Ama il tuo prossimo e odia il tuo nemico".
Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; poiché egli fa levare il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti.
Se infatti amate quelli che vi amano, che premio ne avete? Non fanno lo stesso anche i pubblicani?
E se salutate soltanto i vostri fratelli, che fate di straordinario? Non fanno anche i pagani altrettanto?
Voi dunque siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste.

Matteo 5, 43-48

Gesù è entrato in Gerusalemme e si trova allo scontro finale con le potenze del suo tempo. Potenze che, allora come ora, nel governare mettendo al primo posto il proprio profitto o quello della propria classe di appartenenza, creavano sacche di povertà e di sfruttamento, creavano luoghi marginali ricettacolo di ogni disprezzo e della possibile violenza, e creavano disuguaglianze sociali accentuate.

Gesù ha cercato di costruire una comunità di discepoli diversa da questa struttura sociale. Una comunità in cui ci sia condivisione e collaborazione, attenzione all’altro e mai disprezzo o sfruttamento dell’altro. Il vangelo ha presentato, soprattutto nella sua predicazione più famosa, il sermone sul monte, un Dio che porta benedizione senza condizioni, una benedizione che si estende, attraverso la creazione, a tutta l’umanità, anche senza che i singoli esprimano il loro legame con Gesù. Infatti Gesù manifesta proprio questa grazia di Dio, che a volte viene addirittura nascosta da un riferimento a lui solo che crea di nuovo una divisione tra chi ci sta e chi non ci sta, tra fuori e dentro, tra noi e loro.

Ma l’accento della parabola dei due figli è tuttavia sul legame tra credere e agire. Lo sfondo è chiaro: è quello di una società distrutta e immiserita, in cui la sessualità diventa un commercio immondo e i corrotti sono ovunque nelle relazioni con l’Impero. Gesù però vede le prostitute come donne e i corrotti come esseri umani; vede al di là della loro miseria, del loro sfruttamento, della loro perversione. Non c’è dubbio che un corrotto è una persona perversa e dipendente dai soldi. Ma Gesù vede oltre. È straordinario che in questo racconto non esiste punizione futura per coloro che la società ha già sancito con il linguaggio dell’odio. I pubblicani e le prostitute erano colpiti dallo sguardo malevolo della buona società, erano i margini e i luoghi di eccesso attraverso cui funzionava la società delle regole morali. Un certo tasso di corruzione nei lavori pubblici è ineliminabile, ci dice persino il responsabile governativo contro la corruzione, Raffaele Cantone. E la prostituzione sembra essere ineliminabile dal mondo, secondo il detto che si tratta del mestiere più antico del mondo. Salvo scoprire che vi sono culture che non hanno regolamentato il sesso negli stretti limiti della famiglia e dove quindi esso circola come elemento di reciproco sostegno e di pacificazione sociale. Oppure scoprire società in cui non esiste alcuno spazio marginale per la corruzione – e penso alle società calviniste del ‘700 o all’impresa di Adriano Olivetti.

Ma può esistere una società in cui non vi sia sanzione futura nei confronti dei peccatori? Possibile che Gesù proponga un Dio così buonista che tutti possono comparire al suo cospetto per ricevere grazia? Sappiamo che proprio nel Vangelo di Matteo è contenuto il grande discorso di Gesù sul giudizio finale. Il vangelo della grazia contiene in sé i semi della propria critica. Anche l’Impero romano dell’epoca, come si conviene a un impero capace di vendersi al meglio, afferma di aver portato abbondanza, pace, diritti e terre fertili a tutti i suoi sudditi. Certo, gli abitanti della Palestina al tempo di Gesù conoscevano il contraltare della scarsità di cibo, della miseria, della mancanza di case o di lavoro dignitoso e di una tassazione eccessiva. I discorsi di Gesù valutano negativamente l’Impero, perché lo guardano con gli occhi di chi ne sta ai margini e non ne coglie che le briciole e gli avanzi marci o consumati.

Nel nostro tempo gli economisti hanno sviluppato delle scale per misurare le disuguaglianze: basate sulla crescita diseguale dei bambini e delle bambine nei diversi paesi del mondo, nei diversi quartieri delle città, sulla circonferenza dei loro polsi; sulla maggiore difficoltà delle donne ad accedere a lavori ben retribuiti; sulla solidità o fragilità delle case di fronte agli eventi naturali e sulla proprietà latifondista dei terreni fertili; o ancora sulla mobilità sociale e le possibilità di educazione superiore per i figli delle classi svantaggiate. Sono criteri e misurazioni che ci aiutano a capire in che società viviamo e dunque ad elaborare strategie per rendere più giusto il nostro contesto. Gesù analizza la società e ne vede le disuguaglianze, poi si volge ai discepoli e chiede loro, con molta esigenza, di analizzare sé stessi. Ciò che può muovere le persone a convertire i propri modi di vita non è tanto la paura di un giudizio finale, quanto l’esempio di discepoli che vivono la coerenza proposta da Gesù. è lì che si manifesta la potenza della grazia incondizionata di Dio. Ma proprio perché la grazia è incondizionata essa si incontra anche fuori dalla comunità dei discepoli e delle discepole di Gesù.

E per noi, scorgere i segni dell’opera trasformatrice e datrice di vita di Dio in mezzo alla gente “di fuori”, nelle associazioni, nei gesti di generosità dei singoli e anche nei testi sacri di altre fedi, significa imparare a smontare la distinzione fra “noi” e “loro”. Significa anche vigilare costantemente perché alle parole seguano i fatti, perché le parole siano sempre meno delle azioni, perché non si cada nella tentazione della superficialità e della sciatteria nel nostro credere. Dobbiamo resistere ai modelli dominanti che ci riportano a quelle modalità di relazione tra persone che danno origine e si basano su sfruttamento dell’altro/a e iniquità economica. A questo fine sarebbe anche importante che noi uscissimo da questo linguaggio che attribuisce a Dio un regno, come fosse un qualunque potente umano, re-immaginando la sua capacità di guida come la forza delle stelle che tracciavano la via per i naviganti, oppure come le alternanze della fisica moderna che non impongono un modello ma ci mostrano i limiti della nostra conoscenza. Un Dio così è una guida non coercitiva, ma forte e affidabile, che ancora esprime la sua promessa e la sua benedizione verso di noi. Discepoli di parola, discepoli d’azione: siamo chiamati a esaminare noi stessi alla luce della sua benedizione.

Pastora Letizia Tomassone, Chiesa Evangelica Valdese di Firenze

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Ultimo aggiornamento: 13 Giugno 2015
 ©Chiesa Evangelica Valdese di Firenze