I sogni

di Jacques Brel

 

Vi auguro dei sogni

in numero infinito

e il desiderio furibondo

di realizzarne qualcuno.

 

Vi auguro di amare

ciò che bisogna amare

e di saper dimenticare

ciò che bisogna dimenticare.

Vi auguro delle passioni,

vi auguro dei silenzi,

vi auguro dei canti

di uccello al risveglio

e dei sorrisi di bambini.

 

Vi auguro di resistere

a tutto ciò che vuole

farci affondare, all’indifferenza,

alle virtù negative del nostro tempo.

 

Vi auguro soprattutto

di essere voi stessi.

 

(dal discorso al Sinodo del Moderatore G. Genre)

 

Dalla parte di Abele

 

 

«... poi partorì ancora Abele, fratello di lui. Abele fu pastore di pecore: Caino lavoratore della terra» (Genesi 4,2)

Questo è l’anno europeo dei disabili. Non ci risulta che la tematica sia stata presa in particolare considerazione nelle nostre chiese. Forse non siamo lontani dal vero nel dire che queste proclamazioni universali lasciano il tempo che trovano. Sono buone intenzioni, fanno parte del “buonismo” di maniera, per cui ci lasciano abbastanza freddi e indifferenti. Dopo tutto i problemi con i quali abbiamo avuto a che fare in questi ultimi mesi hanno richiesto un grosso dispendio di energie e ci hanno preoccupati, e continuano a preoccuparci non poco. D’altra parte se grandi organismi internazionali tentano di porre questo problema al centro dell’attenzione mondiale, ovviamente esso ha una dimensione tale che non può essere ignorata da nessuno, meno che mai da una chiesa che ha fatto della diaconia verso gli ultimi una delle sue bandiere.

Sulla disabilità noi siamo piuttosto sprovveduti: finora ci siamo preoccupati essenzialmente di malati, di anziani, un po’ meno dell’infanzia (un tempo eravamo molto più attrezzati), e poco della disabilità. Anzi, non sappiamo neanche bene come nominare il problema. Non ci piace il termine disabile, ancor meno quello di handicappato, esagerato ci pare servirci dell’espressione “diversamente abile”. Insomma, non abbiamo ancora trovato il linguaggio giusto e già questo dato è sintomo di una carenza inquietante di tipo culturale, prima ancora che operativa.

Se ci rivolgiamo alla Bibbia, non troviamo alcun termine per indicare quello che oggi chiamiamo handicap. È vero che Gesù incontra ciechi e zoppi, paralitici, muti, sordi, più un certo numero di persone con handicap mentali, ma finora tutte queste persone noi le abbiamo catalogate genericamente nella categoria “malati”.

Eppure la Bibbia ci presenta fin dalle prime pagine il problema della diversità. C’è da domandarsi, per esempio, se il ben noto racconto di Caino e Abele non possa essere letto in una cornice diversa dal solito, che è quella della invidia e della gelosia che conduce Caino al fratricidio, per concentrare invece l’attenzione sulla figura di Abele.

Nel racconto di Genesi 4 Abele non parla mai. Il protagonista è Caino; Dio intrattiene un dialogo con lui, lo mette in guardia chiamandolo alle proprie responsabilità prima che compia il delitto e poi anche dopo che ha compiuto l’orribile misfatto. La voce di Abele nessuno la sente. Solo Dio ode il grido del suo sangue che sale dalla terra che se n’è impregnata.

La Bibbia è parca di dettagli, ma nel descrivere Abele ci fornisce alcuni particolari illuminanti. Anzitutto la madre non si rallegra (come invece era successo per Caino) della sua nascita. Perché questo silenzio? C’era qualcosa che non andava? Che cosa le ha impedito di commentare questa seconda nascita che in genere è sempre vista come segno di benedizione?

In secondo luogo c’è il nome che viene dato a questa creatura. Un nome strano, non spiegato, in stridente contrasto con quello dato al primogenito; un nome che esprime debolezza, fragilità, inconsistenza. Era gracile, debole, malaticcio? Che cosa aveva che non andava?

In terzo luogo il lavoro che gli viene dato è quello che un tempo nella nostra società contadina era affidato ai ragazzini, ancora privi della forza necessaria per compiere i gravosi lavori dei campi. Forse in quest’ottica va vista la figura del “pastore” e non in quella forte e nobile del Salmo 23.

Ma in tutto il racconto Dio sta dalla parte di Abele. Non è un dato casuale o occasionale. Detto in questi primi capitoli della Genesi, dove si enunciano i temi fondamentali e universali della storia dell’umanità, assume un valore paradigmatico per i secoli futuri e nello stesso tempo ci rivela il progetto di Dio. Egli sta dalla parte del debole, del diverso, di colui che non è “normodotato”. E proprio di

questa persona che è “meno” degli altri, sottovalutata, considerata inferiore da noi, i “forti” e i “normali”, la Bibbia dice che fu capace di “offrire un sacrificio più eccellente di quello di Caino (Ebrei 11,4). “Per fede”. Cioè per amore gratuito verso Dio. Colui che non valeva niente ha un valore immenso agli occhi di Dio; è “giusto” perché ha saputo rispondere gratuitamente all’ amore gratuito di Dio.

Questo rovesciamento di categorie lo ritroviamo nelle parole e nelle azioni di Gesù; anzi, lui stesso, personalmente, si trova su quella linea, assume la debolezza e si svuota della propria forza e gloria.

L’anno del disabile deve essere da noi colto come un’occasione per rileggere molte parti dell’Antico e del Nuovo Testamento in una luce diversa che ci consenta di acquisire una nuova cultura.

Non è questo un dato insignificante in un momento nel quale la diaconia “pesante” è entrata in una fase di profonda crisi. Ci può aiutare a riconsiderare il problema della diaconia per trovare nuove norme di espressione che siano predicazione vissuta dell’evangelo che risuona in tutte le pagine della Bibbia.

 

 

(Dalla relazione della Commissione Esecutiva del I Distretto)

 

UN CANTO FIORIRA’

di Oretta Nutini

 

 

 

Un canto fiorirà lungo le strade

alto e dorato come il girasole

quando guarda su al cielo e non ricade

ma si erge fiero. Un canto di parole

 

che saprà di sementi, frutti, biade,

di navi e treni, di lavoro e scuole.

Che non riecheggerà catene e spade

né fucili, né trappole o tagliole.

 

Sarà un canto fraterno d’amicizia

di solidale comprensione e pace

che s’alzerà da ogni angolo di terra.

 

Se l’amore sconfiggerà la guerra

tutti l’udranno e se l’odio si tace

ogni voce lo canterà in letizia.

 

 

Gobetti, profeta di minoranza

di Paolo Bagnoli

A Firenze, presso la Claudiana è stato presentato recentemente il libro del prof. Paolo Bagnoli, Il metodo della libertà. Piero Gobetti tra eresia e rivoluzione, Diabasis 2003. Il prof. Bagnoli è membro della Chiesa dei Fratelli di Firenze. L’interesse di parte protestante per Gobetti è dato soprattutto dalla sua analisi della “mancata Riforma” in Italia! Con il permesso dell’autore, stralciamo dal libro questo capitolo (pg. 146-150).

 

Ormai un secolo è trascorso dalla nascita di Piero Gobetti avvenuta a Torino il 19 giugno 1901.

La sua vita fu stroncata, quando era approdato a una consolidata maturità di pensiero e di intenti politici nonostante la giovane età, al pari di Matteotti e di Giovanni Amendola (1882-1926). Gramsci morirà alcuni anni dopo, stroncato nel fisico, ma non nell’intelletto, a causa di una lunga e durissima detenzione nelle carceri fasciste. Carlo Rosselli cadrà pochi mesi dopo la scomparsa di Gramsci insieme al fratello Nello (1900-1937) e con lui se ne andrà non solo un socialista innovatore e un combattente irriducibile, ma uno dei leader dell' antifascismo europeo.

Basterebbero questi nomi: Piero Gobetti, Giacomo Matteotti, Giovanni Amendola, Antonio Gramsci e Carlo Rosselli per comprendere la natura del problema italiano inteso nel suo significato più pieno, culturale storico e politico. L’unico tratto che li lega, se non altro per un destino comune che ha portato ognuno di loro a cadere per mano fascista nel corso della lotta, è naturalmente l’antifascismo, trattandosi di personalità assai diverse per cultura e ruolo politico. Matteotti, Amendola, Gramsci e Rosselli erano degli intellettuali che avevano scelto la via dell’impegno politico organizzato; dei leaders che sviluppavano la loro opera alla testa di formazioni politiche organizzate. Così non era per Gobetti, intellettuale libero da ogni vincolo di natura organizzativa. Egli riuscì, tuttavia, attraverso le proprie iniziative di giornalista e di editore, a incidere profondamente nella realtà politica del nostro Paese, grazie a una testimonianza di vita e di pensiero con la quale, nel corso del secolo trascorso, sia la cultura militante che quella accademica hanno fatto continuamente i conti. Molto meno, e quasi sempre con scarsa serietà, li ha fatti la politica che, quando si è interessata di Gobetti, ha agito per lo più con finalità strumentali, se si eccettuano piccoli gruppi minoritari quasi sempre di derivazione azionista. Da qualche tempo, poi, anche la destra sembra interessarsi a Gobetti, cosicché, pur di fronte a un’evidente scarsa conoscenza del suo pensiero e della sua reale intenzione politica, si assiste a un continuo tentativo di accaparramento della formula rivoluzione liberale ora da uno ora dall’altro schieramento, naturalmente a fini propagandistici, perché, per paradosso, se in Italia la rivoluzione liberale si fosse realizzata, non avremmo sicuramente lo scenario politico che abbiamo.

Parlando di Gobetti, abbiamo volutamente richiamato Matteotti, Amendola, Gramsci e Rosselli; non per solidarietà di martirio, ma perché proprio nel rapporto con uomini che rappresentano dei momenti alti nella lotta per la libertà e la rifondazione della politica in Italia e, come Gobetti, furono anche di livello intellettuale notevole, si comprende la diversità gobettiana. Essa, infatti ha il merito di porre, nella discussione sulla crisi italiana, per la prima volta con chiarezza e forza argomentative, un problema centrale di cultura storica e politica, utile a spiegare il contingente e a formulare le direttrici di un pensiero in grado di acquisire all’Italia quella “modernità” che le vicende storiche le avevano negato.

Il suo liberalismo, tutto incentrato e motivato dal valore fondante e creativo della libertà che agisce sul piano individuale (etico) e su quello collettivo (morale), riformula il senso interpretativo della storia, il concetto della democrazia, la funzione vitalistica dello Stato e il processo formativo delle classi dirigenti. Questo complesso di temi centrali nel suo pensiero, che è un vero e proprio “pensiero politico” hanno retto l’usura del tempo e si configurano ancora come nodi centrali della “questione italiana”, intendendo con essa un groviglio di sedimentazioni culturali, politiche e comportamentali, che hanno impedito all’Italia di costruirsi secondo canoni di una libertà libera da ogni condizionamento che non fosse quello della responsabilità, che ogni individuo deve esercitare nei confronti di se stesso e della comunità in cui vive e opera.

Se questo è il fuoco dell’intenzione gobettiana, va tuttavia aggiunto che esso si inseriva dentro un insieme culturale molto più ampio e articolato, anche rispetto allo specifico rappresentato dalla cultura politica. Secondo Gobetti la cultura, intesa come dato valoriale complesso, articola e arricchisce la prospettiva morale generale, se è permeabile a tutto ciò che sia esso letteratura, poesia, pittura, filosofia, teatro serve alla formazione dell’uomo inteso come cittadino che vuole operare nel contesto sociale, economico e politico in cui vive per migliorarlo, innovarlo, liberarlo e modernizzarlo, rispetto a tutto ciò che inibisce la pratica concreta della libertà. In ciò risiede la diversità di Gobetti, un intellettuale politico che seppe pensare alla politica come a un grande ambito morale che nasceva dalla storia e che doveva misurarsi con essa, con la volontà dei tempi lunghi e l’intenzione rivoluzionaria di cambiarla nei suoi fondamenti strutturali.

Un tale lavoro Gobetti lo svolse in volontaria indipendenza, costruendosi una cultura con positivo eclettismo, senza ricorrere a nessun sistema precostituito e senza volerne assolutamente creare uno, perché ciò avrebbe contraddetto il concetto di libertà a cui si ispirava e che, prima di essere risolutivo del problema, ne voleva essere canone interpretativo. Anche Amendola, Gramsci e Rosselli furono dei pensatori politici diversa è la posizione di Matteotti, socialista che propugnava un riformismo concreto, non accomodante, intransigente ma ognuno di essi si mosse all’interno di un sistema di valori e di riferimenti politici e culturali preesistenti, pur ripensandoli e riformulando le idee e i valori che vi erano connessi in maniera profonda e originale. Amendola lo fece rispetto al liberalismo, che ripensò in termini di garanzia istituzionale e di incontro con la democrazia; Gramsci rispetto al marxismo e Rosselli nei confronti del socialismo riformista, che criticò a fondo fino a elaborare una nuova teoria, il socialismo liberale, che segna il superamento dei parametri classici della socialdemocrazia storica, rifondando il

socialismo sulla confutazione della scientificità del marxismo in un rapporto di consequenzialità con il liberalismo e la democrazia. In Rosselli si ritrovano temi e problemi del pensiero gobettiano, ma la sua iniziativa si svolge all’interno dell’esperienza storica del socialismo italiano, che supererà con il saggio del 1929 e la nascita di “Giustizia e Libertà”.

Gobetti fu, dunque, un intellettuale politico che poneva, a fondamento della propria elaborazione, una serrata critica della storia. Se non si collegano questi due aspetti, la comprensione di che cosa abbia sinceramente voluto significare diviene problematica: e ancora oggi, infatti, vi sono settori non marginali dell’intellighentsia storica e politico-dottrinale che lo criticano e lo negano nei suoi valori fondanti. Negando la natura liberale del suo liberalismo come se si potesse categorizzare il liberalismo in termini definitori, invece di riconoscere che vi sono pensatori che possono essere definiti liberali, pur declinando la concezione della libertà individuale in direzioni diversificate e con esiti di schieramento politico anch’essi diversificati si arriva a negarne l’originalità politica, fino al paradosso di riportare alla matrice gobettiana le ragioni delle insufficienze del liberalismo nostrano. E, tuttavia, anche quest’opera assai accanita di demolizione è la testimonianza di una vitalità culturale che, a un secolo dalla nascita, ci sembra rimasta intatta. Gobetti, cioè basti guardare la mole di articoli e studi che gli è dedicata anno dopo anno e come, oramai, ci si interessi a lui anche fuori d’Italia e d’Europa riesce a non scomparire dall’orizzonte dell’attenzione, nel succedersi inesorabile delle generazioni e nel tumultuoso cambiamento dei tempi. Forse non si è ancora andati al fondo di questa ragione. Noi crediamo che il motivo di tale interesse continuo, nel corso di anni che hanno segnato profonde trasformazioni sociali, culturali ed economiche e hanno macinato non poche mode e miti anche politici, sia dovuto al fatto che Gobetti rappresenta una specie di passaggio obbligato per comprendere ciò che l’Italia non riesce a essere e, quindi, per aiutare a capire ciò che essa è. Gobetti, insomma, è stato e continua a essere non tanto un ispiratore di politiche nessuno ci sembra possa definirsi un “politico gobettiano” quanto un momento dialettico di confronto per chi ha interesse a capire un Paese qual è il nostro. Inoltre, non essendo quello di Gobetti un pensiero canonizzato in un sistema tradizionale di referenza politica, esso si presta a essere anche sezionato e, quindi, utilizzato in positivo e in negativo a seconda dei casi. Va riconosciuto che molto spesso vi è stata difficoltà ad andare oltre il fascino immediato che certe sue pagine o sue formule esercitano sul lettore, per arrivare ad afferrare l’intrinseca unitarietà di un’elaborazione che è tutta irrelata da una solida coerenza concettuale.

Al grande successo culturale di Gobetti non ha fatto seguito un altrettanto successo politico. Gobetti è stato, e continua ad essere, un pensatore che ha avuto considerazione politica in gruppi ristretti e fortemente minoritari, quasi sempre perdenti sul piano della politica immediata, anche se talvolta anticipatori. E anche ciò bisognerebbe capire, smettendo, una volta per tutte, di parlare di un’attualità che si risolve solo in esercizio di retorica che sa anche di beffa, per chi crede che l’attualità ci sarebbe, in quei momenti nei quali essa risulta scomoda perché, per realizzarsi, dovrebbe sconfiggere la ritrosia italica a fare i conti con la storia del nostro Paese. Un Paese in cui la pratica della politica salvo alcune eccezioni più che una pratica di libertà è stata esercizio di governo; volontà di essere sempre, e comunque, non ciò che legittimamente distingue, ma con ciò che magari artificiosamente unisce e fa convergere.

L’attualità di Gobetti, tanto di solito invocata nelle occasioni dell’ufficialità, non è stata richiamata quando sarebbe stato opportuno. Nel momento, cioè, in cui la generalizzata crisi che ha investito il sistema democratico italiano, all’inizio degli anni Novanta, avrebbe dovuto far avanzare non tanto le ragioni evidenti del come, ma quelle meno evidenti del perché. Una questione, questa, che nessuno ha voluto affrontare, non sappiamo se per superficialità o per paura, ma che avrebbe gobettianamente comportato una critica storica della natura del nostro Stato, del modo di essere della nostra lotta politica, dell’insufficienza delle nostre classi dirigenti, della mancanza di una vera mentalità economico-imprenditoriale, e così via. Insomma, nessuno si è accorto o ha voluto riconoscere che quella crisi era un’altra autobiografia della nazione dopo quella rappresentata dal fascismo, proprio per usare una felice definizione di Gobetti. Non solo, ma Gobetti ci sembra ancora utile per comprendere la crisi di laicità in cui viviamo e che, nella sua essenza più recondita, rivela il vuoto profondo causato da una modernità che mai si è realizzata, perché, a un esercizio di libertà vissuta con senso etico della responsabilità, si è sempre preferito piegare la cittadinanza a sudditanza verso qualcosa o qualcuno che operasse per noi in un rapporto perverso di scambi proficui (prebende, favori, risoluzione di problemi privati...).

A un secolo dalla nascita, Gobetti si conferma profeta di un’Italia di minoranza, una mente lucida e unica che seppe coniugare il senso morale della libertà con la realtà di una storia nazionale concretamente concepita. Egli impegnò tutte le sue forze per cambiarla, fino al sacrificio estremo, mosso da ideali forti come quelli che solo un eretico può avere.

 

“IL RACCONTO DEL CASTELLANO”

1944: LA GUERRA PASSA DA CHINIGIANO

 

di Leopoldo Sansone

 

L’estate volge al termine, fa caldo e, dopo pranzo di un giorno festivo, una dormitina pomeridiana aiuta a recuperare forza e a ritemprare lo spirito.

Nella quiete della campagna attorno a Chinigiano, il rombo di un vecchio ciclomotore mi sveglia e, ancora assonnato, sento la voce di uno sconosciuto che chiede qualche informazione al nuovo vicino di casa, in quel momento affaticato nella costruzione del muretto di cinta della sua casa. Sollecita notizie di persone che un tempo abitavano nel villaggio, ma non riceve adeguate risposte perché l’interpellato è nuovo del posto e non conosce la gente che lui richiama al ricordo.

Mi alzo e, ancora assonnato, scendo in strada per incontrare lo sconosciuto col quale, quasi subito, entro in amichevole conversazione.

E’ un signore alto, magro, dall’aspetto energico. Mi dice d’essere ultraottantenne. Questo pomeriggio, annoiato dal caldo, ha chiesto al nipote di poter usare il ciclomotore con il quale, da Castelfiorentino dove abita, ha ripercorso la strada verso Chinigiano per rivedere i posti dove un tempo ha abitato.

E’ pensionato, già dipendente della Società Montecatini, una importante azienda chimica che, durante l’ultimo conflitto mondiale, aveva uno stabilimento a Castelfiorentino presso il quale lavorava come tecnico. Parla velocemente, domanda, poi racconta:

E’ tempo di guerra, inizio 1944. Molti bombardamenti aerei, il fratello lontano sul fronte di guerra, la mamma anziana e la sorella a suo carico, mille preoccupazioni. Abitare in paese non è molto sicuro. Già gran parte della popolazione, per sfuggire alle bombe, comincia a sfollare verso località meno pericolose. Anche la fabbrica rimane chiusa per mancanza di materie prime e di personale. C’è l’occupazione militare tedesca. Sebbene ancora dipendente effettivo dello stabilimento, con diritto alla paga, è senza lavoro. Per riempire il tempo, per procurare un po’ di farina o di pane, per cercare un rifugio più sicuro, si mette a girare per le campagne attorno.

Parlando con i contadini che incontra, viene a sapere che non si trova più la materia prima per produrre il verderame. Da esperto, allora, escogita un semplice sistema per produrre questo importante elemento necessario per la disinfezione dei vigneti. Va in cerca e raccoglie, un po’ qua e un po’ là, spezzoni di filo elettrico, ne ricava il rame e avvia la produzione con risultati soddisfacenti. In tal modo diventa per i contadini un prezioso punto di riferimento e di rifornimento.

Un giorno incontra la proprietaria della fattoria di Tresanti e, quando gli viene da questa richiesto una bella quantità del suo prodotto, invece del corrispettivo in denaro, in cambio, chiede l’aiuto per trovare alloggio per sé e la famiglia. Ed è così che la proprietaria terriera gli offre la sistemazione della madre e della sorella presso una famiglia di suoi dipendenti e per lui presso un’altra. Le donne una camera tutta per loro, per lui, invece, una stanza in altra casa, da condividere con un ragazzo sedicenne. Così, nei primi giorni di primavera del 1944, può trasferirsi a Chinigiano, lontano dalle bombe degli alleati e da altri guai.

Ma la guerra si fa sempre più dura e le truppe tedesche che si ritirano lentamente dal sud, incalzate dagli alleati angloamericani, cominciano a stabilirsi nella zona e il pericolo arriva anche nelle campagne. Il nostro, tuttavia, continua la ricerca di filo elettrico, produce miscela a sufficienza e riceve cibo necessario che permette a lui e alle due donne di superare la crisi alimentare. Non gli mancano i soldi perché riceve ancora la paga regolarmente. Girando per le campagne e per i paesi vicini, gli capita di investire un piccolo capitale nell’acquisto di quattro rotoli di cuoio per calzolai con l’intenzione di farne, poi, un generoso guadagno.

Chinigiano è un gruppetto di case della frazione di Tresanti, quasi sul confine di Certaldo. Nel 1944 aveva una cinquantina di

abitanti, tutti coloni, divisi in poche famiglie. Dove ha trovato ospitalità, è la casa colonica più grande del villaggio, detta “il casone” ed è abitata da due famiglie. (La medesima poi è stata adibita a “Casa per Ferie” e a centro di accoglienza, per un certo tempo a cura delle Comunità Evangeliche di Firenze, ora di una chiesa evangelica svizzera).

Il fronte è ormai vicino e le razzie dei soldati tedeschi si fanno sempre più gravi; gli uomini, di giorno, si nascondono nei boschi per non essere presi in ostaggio. Gli alleati avanzano lentamente e cannoneggiano da lontano i vari accampamenti tedeschi, molto vicini alle abitazioni. Per salvare gli oggetti più cari e preziosi, i risparmi di una vita di lavoro (allora non c’era l’uso di servirsi delle banche!), gli abitanti, dietro suggerimento di questo giovane, decidono di nascondere tutto sotto terra. Chi ha oggetti preziosi e denaro li mette in una pentola di coccio ben sigillata, lui, che ha soltanto i quattro rotoli di cuoio, li ricopre con sacchi di juta. Però, occorre trovare il posto dove sotterrare questi tesori, dove non piova o sia umido e, soprattutto, dove non si possa sospettare di trovarli. Così si decide di scavare una grossa buca sul retro del “casone”, sotto la tettoia dove ci sono i carri e gli attrezzi agricoli e dove sono ammassati altri oggetti, legname, pali e così via. La buca viene scavata a regola d’arte, ben protetta dall’umidità, ricoperta e nascostadalla terra pressata ben bene in attesa di riaprirla quando tutto sarà finito.

Alcuni giorni dopo, un nucleo di militari tedeschi giunge sul posto, si fermano nel terreno del “casone” e scelgono la tettoia sul retro per attrezzare un’officina di riparazioni per autocarri. Sgomberano la zona, allontanando i carri agricoli, il legname e quant’altro ingombra il terreno e.... si mettono a scavare una buca, che è necessaria per accedere sotto i mezzi da riparare.

Presenti donne e bambini, nel silenzio più assoluto, nel terrore di vedere scoperto il “tesoro”, i picconi dei soldati cominciano a rompere la terra. Un miracolo! Il capo dei soldati, ordina di fermare e, prese le misure più attentamente, cambia idea e decide di scavare in altro punto, forse a soli venti centimetri dalla fine della buca del tesoro. A questo punto, anche il nostro giovane, si offre di aiutare i soldati a scavare, affinché non vadano vicini alla buca del tesoro. E tutta la “ricchezza”del villaggio si salvò!

Dopo qualche settimana il nucleo tedesco si allontana, ma ne sopraggiunge un altro, di altra natura: sono nazisti autentici. Sono in attività di rastrellamento, alla ricerca di uomini da prelevare come “ostaggi” per arruolarli in lavori bellici o per deportarli in Germania.

Verso l’imbrunire di un bellissimo giorno di fine maggio, mentre, tornato dalla consueta ricerca di fili di rame nei dintorni, conversa col ragazzo con cui divide la camera da letto, sente rumore di scarpe ferrate e urla di soldataglia tedesca.

Si spalanca la porta della camera e appaiono due giganteschi militi delle SS, armi alla mano, che gli intimano di andare con loro. C’è la finestra aperta, sotto ci sono gli stalletti dei maiali, a poca distanza un boschetto di acacie... un attimo di turbamento e di panico, la disperazione nel cuore, tanta paura. Con un salto repentino si butta giù dalla finestra aperta, piomba sul tettino degli stalletti, si lancia sull’aia vicina e, come un matto, corre verso il boschetto che raggiunge d’un soffio cadendovi dentro, in mezzo alle spine. Sulla testa fischiano diecine di colpi di mitra, urla imprecanti dei nazisti, ancora spari. Ma già si è fatto buio, la pattuglia desiste, non spara più. Il nostro amico è sempre là, nascosto nel sottobosco, pieno di strappi nei vestiti e nella pelle per le numerose spine d’acacia, quasi non respira per evitare di farsi sentire perché, dopo gli spari e le urla, si è fatto un profondo, strano silenzio. Passano ore ed ore, poi la voce della mamma che lo implora di venir fuori: i nazisti sono andati via. Ma lui non si muove, forse è un tranello perché i soldati costringono la donna a chiamare il figlio per farlo uscire dal bosco. Poi ancora silenzio. Infine la decisione di uscire da quella dolorosa situazione. E’ vero, non ci sono più i nemici, c’è soltanto la mamma in lacrime, c’è tutta la gente del posto.

Ecco arrivare l’estate, la guerra sempre più vicina, colpi su colpi di cannone raggiungono continuamente i dintorni di Chinigiano dove non ci sono più tedeschi; non si comprende perché gli alleati sparino contro chi non c’è, colpendo case civili e popolazioni inermi.

Nelle cantine del “casone” è stato allestito un “rifugio” rafforzato con sacchi di terra. Nella casa di fronte, la vecchia nonna, che non si rende conto del pericolo, entra nella cucina e va verso la madia, la apre e, mentre si china per prendere un po' di farina, arriva una granata contro la parete esterna, proprio nel punto dove è appoggiato il coperchio della madia. Il muro, cadendo, spinge il coperchio che imprigiona, dalla testa in giù, la buona donna intenta a raccogliere la farina. Urla raccapriccianti di paura e di dolore, che raggiungono le persone raccolte all’interno del “rifugio”. Nessuno ha il coraggio di uscire perché continuano a cadere bombe ovunque. Ma il nostro giovane non resiste alla richiesta di aiuto, d’istinto esce e di corsa entra nella casa vicina, libera la nonna dalle macerie che la soffocano, la carica sulle spalle e la porta fuori fino al “rifugio” Poi esce ancora per recuperare qualcosa lì vicino e si attarda un po’. Un sibilo tremendo, una fiammata, una gran massa d’aria caldissima investe il giovane che, fortunatamente, si ritrova ancora in piedi, quasi nudo, con brandelli di stoffa abbruciacchiati, decine di piccole ferite su tutto il corpo.

Infine, dopo qualche giorno, anche i bombardamenti cessano, la guerra si allontana, riprende lentamente la vita. Non ci sono più tedeschi, gli alleati sono verso la famosa linea gotica, tutti cercano di ritornare alla normalità di un tempo e anche il nostro giovane e la famiglia ritornano a Castelfiorentino dove, poi, riprenderà il lavoro. Tornata la pace, riaperte le speranze alla vita, in seno allo stabilimento si avvia una nuova fase di lavoro in un ambito più vasto di interessi e il nostro amico varca le frontiere per lavorare presso altri stabilimenti in varie parti d’Europa.

E’ arrivato il momento di andare in pensione e decide di ritornare a Castelfiorentino. Sono passati quasi 49 anni dal 1944, sente prepotente il desiderio di rivedere i posti dove fu “sfollato”. Però non ci sono più le persone che ha conosciuto, non c’è più l’amico con cui ha condiviso la stanza; anche se il paesaggio è cambiato, le case del villaggio sono abitate da gente venute dalla città, al posto del boschetto, che l’ha salvato dai mitra nazisti, c’è un campo con tanti olivi e un frutteto.

Racconta ancora, mi mostra la gamba destra con una cicatrice verso il ginocchio: una scheggia di granata gli fu tolta dopo trent’anni dal fatto. Ma è già sera, il sole è tramontato. Con un balzo ancora giovanile monta sul ciclomotore, mi saluta, e parte svelto sulla via di ritorno.

Da quel giorno, il nostro amico, non è più ritornato a Chinigiano, ma i suoi racconti sono rimasti e ci servono per non dimenticare, per meditare sui tempi bui, tragici di quella inutile guerra.

Quando incontro qualche anziano, che mi dice d’essere originario dei posti di cui il nostro amico mi ha parlato, difficilmente vuole ricordare: tutti hanno voluto dimenticare, cancellare la buia notte del 1944. Non credo che sia una buona scelta. Lo sconosciuto di Castelfiorentino, perché non mi sono annotato il suo nome ed indirizzo, ha riportato alla memoria momenti tristi che, in un modo o nell’altro, moltissimi hanno vissuto, in altre situazioni. Ancora oggi, molti testimoni, (a torto? a ragione?) desiderano non ricordare, vogliono cancellare.

Ma, forse, la sorte vuole che improvvisamente ci raggiungano questi ricordi perché è storia di tutti, storia di piccoli eventi, esperienze difficili, che possono stimolare ancor più verso la vita coloro che ora godono giorni di tranquillità, giorni senza guerra, per aiutare tutti nel cammino su strade di concordia e di speranza, fra tutti i popoli della terra.

(tratto dal “Libro di Poldino” ultimo capitolo)

 

PIETRAPIANA / II ‘Centro incontri'dei Valdesi aperto al mondo

«Casa Cares» per tutti

di Michele Brancale

 

Hanno trasformato uno spazio di Pietrapiana in un luogo intemazionale dove si preserva e si fa crescere l'amicizia tra gente diversa, recuperando peraltro la villa padronale della Fattoria i Graffi, dove Paul e Antoinette e i loro amici e collaboratori, dal 1983. gestiscono per la Chiesa Valdese un centro incontri noto come 'Casa Cares '. "Siamo contenti - spiegano - di essere un punto di incontro e di scambio fra persone di varie provenienze". Se ci capitavate ad esempio a fine luglio gli ospiti includevano circa 30 tra giovani e anziani della Comunità di Sant'Egidio, scappati per una settimana dal caldo feroce di Firenze; una piccola famiglia tedesca; due famiglie norvegesi, una pastora luterana responsabile di centri di incontro della sua Chiesa in tutta la Norvegia. Ma. la lista non finisce qui: un teologo canadese con la sua famiglia, un'organista direttrice di coro a Berlino, un tedesco domiciliato a Bressanone ed esperto in questioni ambientali. L'amicizia cresce guardando a valle gli spazi verdi in cui è immersa Reggello. "I nostri collaboratori, per la maggior parte residenti - dice Paul Krieg—provengono dall'Italia, dall'Ungheria, dallaGermania, dall'Austria, dalla Svizzera e dagli Usa". Ma facciamo un po' di storia. La Fattoria "I Graffi", sviluppata dalla Famiglia Quadratesi nel Settecento e nell'Ottocento, tipica fattoria toscana, venne venduta all'inizio del Novecento. "I nuovi proprietari - raccontano a Casa Cares - apportarono varie modifiche come lo spostamento del frantoio e la creazione di una spazio sotto il parco che

doveva servire come cantina". Dopo la seconda guerra mondiale sono arrivati nuovi proprietari ma, con la scomparsa della mezzadria, "sarebbero stati necessari notevoli impegni economici per le ulteriori indispensabili trasformazioni" e per questo, alla fine degli anni '60. gli ultimi proprietari decisero di dividere e vendere tutto. "Manca ancora una ricerca approfondita sulla storia della Fattoria - continua Paul - e certamente saremo grati a chiunque potrà darci una mano". 'Casa Cares' è stata fondata nel 1962 da un gruppo di amici da varie chiese evangeliche guidato da un pastore statuniten- se. Iniziata a Firenze, l'attività venne spostata in una sede più adatta a "una famiglia con pochi mezzi e più di 40 membri". Villa "I Graffi" fu la meta prescelta. Con doni e prestiti sono stati acquistati gli edifìci centrali e terreni e il 1° gennaio 1971 la grande "famiglia" Casa Cares si è traslocata a "I Graffi". Da allora si è progressivamente trasformata in Centro incontri e casa per ferie della Chiesa valdese.

 

(articolo apparso su La Nazione del 7 Settembre 2003)

 

Notizie dalle chiese fiorentine

 

dalla Chiesa Luterana

Concerti di Ottobre

8 Ottobre, ore 21 J.S. Bach: L’arte della Fuga, BWV 1080

Cembalo: Mara Fanelli, Olimpio Medori

15 Ottobre, ore 21 Opere di C.Ph.E. Bach, M. Reger, J.S. Bach, G. Ph.Telemann. Organo: Beata Ma dej, Flauto: Luciano Tristaino.

22 Ottobre, ore 21 Opere di N. Bruhns, Mozart, Bach, Kellner

Beethoven. Organo a 4 mani: Francesco Maurelli e Piergino Maurelli.

29 Ottobre, ore 21 Opere di J.G.Walther, G.B.Pescetti, J.C.H. Rinck, Andrea Lucchesi, J.S. Bach

Organo: Regine Strasburger

 

Concerto mattutino

Domenica 19 Ottobre il Coro St. Katharinen di Braunschweig canterà testi di F. Mendelssohn Bartholdy, J. Pieterszoon Sweelinck, H. Kaminski, J. Brahms, V. Miskinis.

 

Incontri Biblici

23.10.03: Sulle tracce del profeta Geremia

27.11.03: L’esilio babilonese e i suoi teologi: Isaia

 

Seminario teologico: dal 1 al 2 novembre il prof. Klaus Peter Joerns di Monaco parlerà sul tema: “La morte come porta della vita”.

 

E’ stato battezzato Tobia Biggeri, da Le Sieci. Si sono sposati: Nicole Boeger e Peter Klimmt di Gundelsheim, Corinna Schulz e Carl Stefan Glaebe di Hamburg, Julee Kim e Pail Seidel di Chicago.

Giornata Mondiale di Preghiera delle Donne: si è formato un gruppo che prepara la prossima ricorrenza del marzo 2004, la liturgia è a cura dlele donne di Panama. Chi vuol partecipare alla preparazione prenda contatto con la sig.a Heide Goeden.

 

Il Bazar Natalizio avrà luogo il 30 novembre a partire dalle ore 11, dopo il culto, presso la Chiesa Luterana, Lungarno Torrigiani 11. Per info: Tel. 055 2342775.

 

dalla Chiesa Metodista

 

v In occasione dell’Assemblea di Circuito, che si terrà in via dei Benci la domenica 19 ottobre, il culto, con la cena del Signore, avrà inizio alle ore 11.

v Nel culto di domenica 9 novembre la predicazione sarà tenuta dal pastore Giovanni Carrari. Sabato 8 alle ore 17 egli terrà una conferenza su John Wesley, nel 3° centenario della nascita.

v Incontri in via dei Benci

Nei seguenti mercoledì il tempio verrà aperto per incontri di informazione e riflessione comune su problematiche del nostro tempo, nel confronto con la Bibbia.

22 ottobre ore 18 – La nostra terra. Catastrofi annunciate e impegno per un futuro vivibile.

12 novembre ore 18 – L’impegno delle donne, nella Bibbia e nella chiesa.

26 novembre ore 18 – Gli apostoli ieri e i pastori oggi. Continuità e differenze.

10 dicembre ore 18 – Come e perché si viene battezzati.

v Assemblea di chiesa

Domenica 28 settembre, durante il culto, si è svolta l’assemblea di Chiesa, con l’elezione del Consiglio. Loretta Secchi Blaszczyk è stata riconfermata presidente; consiglieri Gioietta Cangini Donnini, Pier Enrico Manfrini, Letizia Vezzosi Sbaffi, Luigi Zarotti. L’assemblea ha poi eletto Margherita Gallini e Giovanna Zarotti quali capigruppo. Deputato alla Conferenza Distrettuale è stato eletto Raffaele Florio, supplente Letizia Vezzosi.

Mediante la relazione di Raffaele Florio l’assemblea ha preso atto dei temi di riflessione e linee di lavoro che il Sinodo ha affidato alle chiese e che verranno affrontati nel corso dell’anno.

v Ringraziamo Paola Reggiani che ha presieduto il culto del 21 settembre.

 

dalla Chiesa Valdese

 

Con l’inizio di Ottobre riprendono quasi tutte le nostre attività: il 4 lo studio biblico del sabato, in Biblioteca, v. Manzoni, alle 16 con andamento quindicinale. Il testo da studiare è quello iniziato l’anno scorso: Th. Roemer, I lati oscuri di Dio. Domenica 5 riaprirà anche la Scuola Domenicale, che si unirà alla Festa del Ringraziamento con canti ed animazioni. Il Laboratorio Biblico ha già tenuto un incontro: si vede il giovedì alle 18 in Biblioteca con frequenza da precisare. Siamo disponibili a gruppi di studio biblico presso le case, se qualcuno vorrà invitarci e invitare i propri amici e vicini.

Domenica 21 settembre abbiamo ricordato Leopoldo Sansone, facendo la presentazione del “Libro di Poldino” che la famiglia ha donato agli intervenuti (molto numerosi) ed è disposta su richiesta a offrire a quanti si interessano alle vicende del vecchio Centro di Solidarietà, poi trasformato in Centro Sociale Evangelico, e alla casa Centro di Vacanze di Tresanti a Montespertoli. Si può richiederlo a questa redazione anche per posta.

La famiglia Sansone chiede si pubblichi questo ringraziamento:

 

“Attraverso Diaspora Evangelica desideriamo ringraziare tutti coloro che in questo grande momento di dolore ci sono stati vicini: siete stati veramente in tanti ed avete espresso in vari modi il vostro affetto, il vostro rispetto, la vostra riconoscenza, il vostro dispiacere, il vostro dolore, per Poldo e per tutta la nostra famiglia. Vorremmo ringraziarvi uno ad uno, e lo faremo con il tempo. Intanto mandiamo attraverso Diaspora un grosso abbraccio a tutti. Siamo certi che la grande testimonianza lasciataci dal nostro caro ci darà la forza per andare avanti. “Chi non ama il fratello che ha veduto non può amare Dio che non ha veduto”.

Un grazie di cuore a tutti,

Sara con i figli le nuore ed i nipoti”

Domenica 28 Settembre una parte della comunità si è recata a Dicomano sulla collina in cima alla quale vive la famiglia Olivieri. La strada per raggiungerli è lunga ed irta di difficoltà; poi però arrivati lassù si gode di un’aria fresca e di un panorama stupendo, ai quali si aggiungono l’ospitalità festosa e abbondante di Marcella, Ernesto e Letizia. Abbiamo trascorso insieme ore magnifiche, grazie di tutto e grazie anche per essersi mantenuto il tempo nei limiti del “nuvoloso, ma tiepido”, dopo la nostra partenza... il diluvio!

Domenica 12 Ottobre si terrà la nostra Assemblea con le relazioni dalla Conferenza Distrettuale e dal Sinodo, con la ripresa delle attività e l’elezione di membri del Consiglio che scadono o si sono trasferiti. Il culto di domenica 19 Ottobre si terrà presso la Chiesa Metodista di Via de’ Benci alle ore 11, nel contesto della Assemblea di Circuito, la chiesa di Via Micheli resterà chiusa.

 

Per le chiese valdesi e metodiste

 

ASSEMBLEA DI CIRCUITO

domenica 19 ottobre 2003, presso la Chiesa metodista di Fi renze, in Via dei Benci 9

- ore 9.15: Introduzione

- ore 9.30: I giovani come parte della chiesa (attuazione dell’atto n. 5 dell’Assemblea di maggio)

- ore 11.00: Culto presieduto dal gruppo giovani multietnico di Siena

- ore 12.45: Pranzo

- ore 14.30: Atti del Sinodo, compiti del Circuito, attività delle Chiese. Tutti fanno tutto, o divisione dei compiti? Una proposta di lavoro

- ore 16.30: Approvazione della previsione di spesa per il 2004 e dei relativi criteri di ripartizione

- ore 17.00: Chiusura

 

dalla Chiesa Battista

Da Ottobre riprendono gli studi biblici che si tengono sempre di mercoledì alle ore 17 e in replica alle 21. Tema di quest’anno “La Bibbia dalla A alla Zeta”. Siamo appena all’inizio...

 

 

Calendario delle attività comuni

sabato 4 Ottobre a partire dalle ore 15 Bazar del Sassolino Bianco

martedì 7 Ottobre ore 19.30 Dopo-Lavoro-Teologico presso la Claudiana sul Libro di F. Ferrario.

mercoledì 8 a Borgo Ognissanti Consiglio dei pastori e responsabili.

Lunedì 13 Ottobre incontro del Gruppo Ecumenico per la pianificazione delle attività dell’anno alle 18.30 in Via dei Pucci 2 c/o la Comunità di Gesù.

Sabato 18 Ottobre conferenza in v. Manzoni 19 alle ore 17 del past. Piero Bensi “Un profilo di Lutero”, per il Centro “Vermigli”

Sabato 18 Ottobre alle 21 presso la Chiesa Battista, Borgo Ognissanti 6: Florentine Gospel Choir di Nehemiah Brown in concerto.

Sabato 25 Ottobre conferenza del prof. A. Natoli sul “Problema del Male” presentato dal prof. Paolo Ricca, in v. Manzoni alle ore 17, per il Centro “Vermigli”

Sabato 25 Ottobre incontro ecumenico di giovani in via de’ Pucci 2 alle 15.30 in preparazione di un convegno internazionale sulla pace.

Inoltre si segnala fin da ora:

Sabato 8 novembre, ore 17, nel tempio di via dei Benci, per il Centro Vermigli e la Chiesa Metodista di Firenze: Conferenza – Dibattito sul tema: Rivoluzione industriale, chiesa e spiritualità

nel 3° centenario della nascita di John Wesley (1703-2003).Relatore: pastore metodista Giovanni Carrari (Trieste, membro della Tavola Valdese), Moderatore: Bruno Rostagno.

Venerdì 21 novembre: giornata dell’Amicizia Islamo-cristiana, programma da stabilire.

Sabato 22 novembre: Bazar della Chiesa Valdese in v. Manzoni a partire dalle 12.30 (Buffet e mercatino, pranzo, dolci etc.)

Domenica 30 novembre: ore 11, in Lungarno Torrigiani 11, Bazar della Chiesa Luterana. Nel pomeriggio dalle ore 15: Festa d’inverno del Gignoro.